Premio Racconti nella Rete 2025 “Un tuffo nel passato” di Marco Polcari
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Sudo, sto sudando come un maiale, porca miseria! Provo a regolarizzare il respiro. Niente. Sono in iperventilazione. Percepisco il brusio del pubblico in sala e mi assale un senso di angoscia che mi attanaglia lo stomaco. Provo a sbirciare dal sipario e capisco immediatamente che è una pessima idea. La sala è piena come la metro a Termini alle 8 del mattino e questo mi genera una specie di rigurgito, sento il sapore acre della bile tra i denti. Mi viene da piangere. Ma chi me lo ha fatto fare. “Prova, è solo un corso di teatro amatoriale”, mi dicevano gli amici. Amatoriale un cazzo. Già alla prima lezione Valerio, l’insegnante, mi aveva puntato “Però, sei bravo, recitare ti viene naturale”. “Che ne dici se aprissimo una piccola pagina su Youtube, così, per divertirci un po’ e promuovere i nostri sketch” mi aveva quindi proposto alla fine del corso, convinto dal mio ruolo di autista di bus polemico. Stupido narcisismo, invece di riconoscere i segnali di pericolo ti eri fatto lusingare da tutti quei complimenti ed avevi pensato che In fondo è solo una pagina Youtube.
E invece la cassa di risonanza della rete era stata enorme, in pochi mesi avevamo decuplicato il numero degli iscritti alla pagina. Video condivisi e ricondivisi sul web migliaia e migliaia di volte, fino ad arrivare all’occhio di Giovanni Sari, il noto autore teatrale, il quale, chissà per quale astruso motivo si era convinto del tuo talento e ti aveva offerto nientedimeno che una parte nella sua nuova commedia. Sia maledetto il giorno in cui mi sono iscritto a quel dannato corso di teatro. Come ho fatto a cacciarmi in questo guaio. Pochi mesi fa ero solo un impiegato comunale, con la mia rassicurante scrivania piena di documenti da vistare, le mie pause caffè, alle 11 del mattino e alle 15.30 del pomeriggio, e i pranzi fuori di sabato sempre nello stesso ristorante di San Lorenzo. Che diavolo ci faccio ora dietro il sipario dello Jovinelli! Sto per piangere, lo sento. Sarò ricordato nei secoli come Quello che pianse in scena con allegati miliardi di video auto-esplicativi dal titolo Debuttante entra in scena e scoppia in lacrime oppure E’ una commedia ma lui piange. Vorrei solo scomparire e ritrovarmi anni luce lontano da qui. Questa cravatta poi è troppo stretta, il Duca di Windsor deve essere stato certamente indotto da propositi suicidari per inventare un nodo così diabolico.
Provo ad allentare la morsa della mia Marinella ma non traggo alcun giovamento. Ho caldo, mi manca il respiro, sto continuando a sudare a profusione. Sento migliaia di goccioline scorrere impertinenti sulle tempie e sul collo, per il caldo e per l’agitazione, e all’improvviso ripenso a un ricordo di molti anni prima, all’immagine di me ragazzino, sudato e ansante, seduto in un canotto poco più grande di me tra le verdi acque di Capo Vaticano. Anche allora ero agitato, ero molto agitato a pensarci bene. E faceva caldo, molto caldo. Imbarazzo. Sono l’unico del nostro gruppo di amichetti a non saper nuotare. Ho già dieci anni eppure non so stare a galla senza braccioli. I miei amici e mio fratello passano giornate intere in acqua a giocare con la palla o ad improvvisare tuffi e acrobazie acquatiche ed io li osservo dal bagnasciuga, triste e solitario come Il Vagabondo di De Chirico. Eppure so come muovere le braccia, in che modo coordinare il movimento delle gambe e come regolare il ritmo del respiro per evitare di farmi prendere dal panico. Mi faccio coraggio. Entro in acqua a bordo di un piccolo canotto, fiero come James Cook all’esplorazione del Pacifico, e raggiungo i miei amici, già alle prese con schiamazzi e risate. Mi stanno aspettando. Stanno aspettando me. La sala è piena. Il pubblico è in attesa. La sala è piena e le luci sono spente. Mi sporgo dal canotto e osservo l’acqua del mare di Capo Vaticano, così trasparente che lascia intravedere il fondale. Cavolo quanto è scuro il fondale. Com’è buia la sala. Ho paura. Timidi fischi dalla platea. I miei amici rumoreggiano giocando a sette si schiaccia. Vorrei raggiungerli ma vengo travolto da una paura incontrollabile. Il mio corpo inizia a prendere decisioni in maniera autonoma. Senso di nausea. No, no, no non ce la faccio, non se ne parla di scendere da questo canotto. Vorrei essere nel mio ufficio tra le rassicuranti scartoffie. Ma se ho solo 10 anni! Sento il cuore che accelera i suoi battiti. Le mani che iniziano a tremare. La saliva che scarseggia. I miei amici mi incitano. Qualcuno nel pubblico inizia ad invocare il mio nome. Sento pulsare le tempie. Il cuore ormai è un treno dell’alta velocità. Torno indietro. No, che fai ormai sanno che sei lì. Smettila. Non puoi scappare. Voglia di piangere. Voglia di ridere. Acqua trasparente. Luci spente. Devi solo tuffarti. E’ un salto nel buio. Ma poi c’è la luce. Ti butti. Sei in gioco. Applausi.