Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2025 “Incontinenza lacrimale” di Valentina Serralunga

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

Quando ero piccola, diventavo una specie di putto abbronzato, tra le spiagge liguri. Bionda, lucida. Ma scura come una noce, dalla pelle tirata. Mi sdraiavo al sole e aspettavo che il mare mi evaporasse di dosso. Rimaneva il sale. E io lo leccavo via. Il gusto del sole sulla pelle. Il gusto dell’infanzia. Di papà.

Una luce violastra. Così, all’improvviso, che taglia la finestra come una lama. E poi… boom. Il cielo si strappa. E io lì, che penso a mia nonna. Diceva sempre che erano gli angeli che giocano a bocce. Che non c’era da avere paura. Figurati. Mio padre non avrebbe mai giocato a bocce. No, lui avrebbe fatto a pezzi il cielo con l’assolo di Hot for teacher. Lì, in mezzo ai fulmini. Ho pensato che quello fosse un buon giorno per un temporale violento, un anno esatto dopo la dipartita di papà. In quell’ultimo anno mi sono concessa solo una lacrima al giorno, non perché non volessi piangere, ma perché i miei dotti lacrimali non rispondevano ai comandi. Così ho pensato che era giusto che il cielo piangesse al posto mio. Mi sono voltata sul lato sinistro con un tonfo, sbuffante. Una carezza, un solletico. Che cos’è? Una lacrima. Neanche me ne sono accorta, mi è arrivata fino alla bocca, secca. Salata. Come il mare che accarezza quelle spiagge liguri.

Una sola lacrima. Sempre e solo una, piccola, imbarazzata, lacrima. Il minimo sindacale per ricordarlo.

“Ma che cazzo?”

Mi tocco il viso sorpresa, le guance sono tagliate da un sentiero salato che fa capolino all’orecchio sinistro. Altre lacrime.

Da quando era concesso?

E adesso piango. Sto piangendo. Cazzo. Gli occhi si alternano, le ciglia sono zuppe e il viso è un campo di battaglia. Mi allungo per cercare il mio ultimo acquisto greenwashed. Eccolo. Kleenex eco-sostenibili. Consapevoli. Riciclati. Dalla carta dei culi felici degli indigeni equosolidali. Fantastico.

Mentre rido amaramente non mi bastano più le mani per asciugarmi e strappo pezzettini di carta fradicia dalla faccia, mi accorgo che il cuscino è zuppo e il materasso inizia a gorgogliare sotto di me. Questo affluente salmastro dei miei occhi si riversa sul parquet, il legno geme, si gonfia, si solleva e si spacca. Il fiume dilaga in corridoio. In cucina i tappeti dell’Ikea galleggiano, lo spazzolino in bagno gira su sé stesso come in un acquario rotto. L’acqua si fa spazio tra le mura del condominio, il vicino di casa fa surf sulle scale con un tagliere di legno. Il panettiere sotto casa cerca di remare con un mestolo da cucina. Un’anziana è al comando di un divano che naviga. Le strade si allagano, i tombini tossiscono, poi soffocano. Piango e il livello si alza. Piango e si alza ancora. La città sembra l’Atlantide delle mie lacrime. I motorini annegano come cavalli marini in disarmo, un piccione plana e si schianta in una pozzanghera troppo profonda. Le mie lacrime si uniscono al Tevere e straborda, il Colosseo pare una ciambella di marmo che galleggia. Il sindaco dichiara lo stato d’emergenza, il notiziario blocca le programmazioni e recita – Una ragazza ha pianto troppo. Le lacrime hanno superato i livelli storici del Po, del Nilo, del Mekong. – Un prete benedice i marciapiedi, la perpetua urla disperata che è arrivata la fine del mondo. Una signora mi guarda indiavolata:

“Chiudi quei rubinetti, ragazzina!”

Ma io non so come chiuderli questi rubinetti. Non so neanche come li abbia aperti. E’ tutto fuori dal mio controllo. Piacevolmente fuori dal mio controllo. Allora mi lascio andare alle ondate di questo mio fiume, galleggio, pancia all’aria, lascio affogare le orecchie, i suoni del mondo diventano ovattati, proprio come quando ero un putto abbronzato. Chiudo gli occhi arrossati ed esausti dal duro lavoro.

Resto lì a galleggiare, l’acqua ha portato via tutto, tranne me. La marea si abbassa piano, le pareti si asciugano, il legno si stende, le cose tornano a dove stavano, e forse anche io insieme a loro. Forse è vero che non si smette di soffrire. E’ che a un certo punto, si smette di trattenere.

E da lì in poi, si comincia a vivere.

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4 commenti »

  1. Sorprendente alluvione surreale generata dal dolore di una perdita, Con una morale interessante circa il fatto che chi trattiene rinuncia a vivere. Bello!

  2. Grazie mille Massimo!

  3. bello! non aggiungo altro se non che mi ha fatto rivivere analoga alluvione lacrimale.

  4. Grazie Elisa!

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