Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2025 “La campana non suona più” di Tess Romano

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

1

Il bus si fermò nella piazza centrale con uno sbuffo. Saverio Mantovani scese con passo lento e regolare, il borsone a tracolla e lo sguardo fermo. Il paese sembrava uguale, ma più invecchiato. Castelvecchio. Ci era nato. Ci era scappato. E ora ci tornava per una firma dal geometra e una cantina da svendere. Il resto era polvere.

Quando si avvicinò al bar, notò la serranda mezza abbassata. Il neon tremolava.

Entrò. La campanella suonò, ma il barista non si voltò subito.

«Un caffè,» disse Saverio.

Solo dopo che la macchina iniziò a borbottare, il barista parlò.

«È per Don Julio, vero?»

Saverio lo fissò.

«Chi?»

«Il parroco. Quello nuovo. Lo hanno trovato morto ieri. Seduto alla scrivania. Giovane. Moderno. Un tempo stava nella moda, dicono. Poi… è venuto qui a farsi prete.»

Saverio strinse la tazzina tra le dita. Il sapore del caffè era lo stesso. Ma la campana…

«La campana non ha suonato.»

Il barista annuì.

«Prima volta. Neanche il giorno del terremoto mancò un rintocco. Don Julio la faceva suonare lui stesso. Diceva che era il battito del paese.»

Saverio uscì senza dire altro. Guardò verso la chiesa. Il campanile era muto. Come se sapesse qualcosa che nessuno voleva raccontare.

2

Il giorno dopo, Saverio si presentò allo studio del geometra.

«Serve il certificato catastale originale del terreno in collina,»disse l’uomo sfogliando carte.

«E purtroppo… l’unica copia è quella della parrocchia. Risale al passaggio dalla Diocesi alla sua famiglia, negli anni ’40.»

«Parrocchia?»

«Canonica. Don Julio teneva tutto in perfetto ordine, anche i registri più vecchi. Forse Rosanna le fa dare un’occhiata.»

Saverio annuì. Andò a piedi. 

La canonica era accanto alla chiesa, con le imposte chiuse e l’intonaco screpolato.

Bussò una volta. Rosanna Bernardi aprì. Occhi piccoli, mani curate, abito nero.

«È per…?»

«Documenti catastali. Il geometra mi ha mandato. Mio padre acquistò da Don Ferrando un podere nel ’43. Pare che l’unica copia del passaggio sia qui.»

Lei lo squadrò per un istante, poi fece un cenno asciutto.

«Don Julio teneva tutto nello studio. In ordine. Ma sbrighi.»

La casa profumava di cera e pino. Nel corridoio, foto di santi, un crocifisso in legno scuro, e qualche quadro moderno. Nello studio: una scrivania lucida, scaffali alti, una sedia spostata. Sopra un cassetto semiaperto, un bicchiere e una boccetta di farmaci.

Saverio cercò le cartelle segnate “Patrimoni – 1930-1960”.

Trovò il documento. Lo mise da parte. Poi un dettaglio attirò lo sguardo.

Una foto incorniciata — non appesa, ma appoggiata dietro i libri. Don Julio, più giovane, elegante. Smoking nero. Accanto a lui, una donna affascinante. Sorridono. Lei ha lo sguardo tagliente. Sul retro: “Milano, 2007. R\&M – backstage.”

Saverio la infilò nella tasca interna del cappotto. Quando uscì, Rosanna lo seguì con lo sguardo fino al cancello. E la campana, ancora una volta, non disse nulla.

3

La casa dei Donati stava in fondo alla via del mulino, semi nascosta tra due pini.

Saverio salì la scalinata con passo incerto, la foto ben piegata nella tasca. Letizia Donati aprì la porta prima ancora che bussasse. Era come nella foto: lo stesso taglio netto dello sguardo, ma ora ammorbidito da anni e silenzi. Indossava un maglione semplice, ma si vedeva che ogni dettaglio era scelto.

«Lei è il maresciallo Mantovani,» disse.

«Non sapevo fosse tornato.»

«Neanch’io ne ero felice.»

Letizia fece un mezzo sorriso.

«Entriamo?»

La casa era calda, curata, con libri ovunque e una parete con polaroid sfocate. 

Offrì un tè. Saverio rifiutò.

«Sono stato in canonica. Ho trovato questo.»

Le porse la foto. Lei la guardò senza sorpresa.

«Me lo aspettavo. Julio non buttava mai nulla.»

«È stata scattata nel backstage di…?»

«Russo & Marquez. Presentazione autunno 2007. Io disegnavo accessori. Lui… era il direttore generale.»

Saverio rimase in silenzio.

«Era il più bravo, il più lucido. Ma anche il più solo. Crollò all’improvviso. Scomparve. Due anni dopo, seppi che si era fatto prete.»

 «Come lo ha presa?»

«Come una liberazione. Per lui, intendo. Per me fu uno schiaffo. Avevo pensato… che saremmo rimasti legati.»

Letizia si voltò verso la finestra.

«Ma Julio era così. Sapeva togliersi dalla scena senza rumore. E quando è tornato a Castelvecchio, mi ha scritto solo una volta. Poi, silenzio.»

Saverio la osservò.

«Secondo lei… qualcuno voleva quel silenzio?»

Letizia si voltò.

«Ha già deciso che è stato un omicidio?»

«Ho imparato che i preti non muoiono mai per caso. Solo per segreti.»

Letizia tornò al tavolo. Prese una cartellina.

«Mi lasci qualcosa in cambio.»

Dentro, una foto più recente. Don Julio — stavolta in tonaca — accanto a un ragazzo giovane, abbracciato a metà. La foto è sfocata, ma lo sguardo è intimo. Inquieto.

«Chi è il ragazzo?»

«Si chiamava Dorian. Modello. Scomparso nel 2012. Alcuni dicevano che Julio l’avesse aiutato a uscire dal giro. Altri, che avesse fatto sparire qualcosa di troppo bello.»

Saverio prese la foto.

«Lo troverò?»

«Magari è più vicino di quanto pensi.«

Lei lo accompagnò alla porta.

«Un’ultima cosa, maresciallo. Julio aveva un diario. Non cartaceo. Usava una vecchia macchina da scrivere. Olivetti. Diceva che solo il rumore meccanico lo aiutava a stare zitto.»

Saverio la salutò.

Quando tornò verso il paese, si voltò una volta sola. La casa era scomparsa dietro la nebbia.

Ma il profumo — quel misto di lavanda e carta antica — lo seguiva ancora.

4

L’officina di Marcello Mura era al margine del paese, stretta tra una siepe di rovi e un distributore di benzina spento. Saverio ci arrivò verso le sei. Il cielo cominciava a imbrunire.

Dentro si sentiva il rumore metallico di un martello. Un ritmo regolare, quasi ipnotico. Marcello spuntò da sotto un cofano con la fronte sudata e le mani nere. Trentott’anni, occhi quieti, viso scavato. Sembrava uno che aveva smesso di correre molto prima dell’arrivo.

«Posso aiutarla?» chiese, asciugandosi le mani con uno straccio.

Saverio non si presentò.

«Lei era vicino a Don Julio, giusto?»

Marcello esitò.

«L’ho conosciuto. Lo rispettavo.»

«Qualcuno dice che passava spesso da qui.»

Marcello annuì.

«A volte veniva per parlare. Non di Dio. Di scelte. Di tempo perso.»

Saverio indicò il retro.

«Posso dare un’occhiata?»

Marcello non rispose, ma fece un cenno con la testa.

Il retrobottega era buio e profumato di olio e gomma. Ma c’era qualcosa che stonava: un manichino a grandezza naturale, avvolto in una giacca da passerella, lucida, vistosa, cucita a mano. Sopra, l’etichetta ormai sbiadita: R\&M – Sfilata Tokyo 2011

«Un ricordo?» chiese Saverio.

Marcello si avvicinò lentamente.

«Un debito. Un’eredità. Era di un ragazzo. Julio cercava di togliergliela dalla pelle. Ma certi tessuti si cuciono troppo profondi.»

Saverio si voltò.

«Parla di Dorian?»

Marcello abbassò lo sguardo.

«Non so niente.»

«Lo ha mai visto qui, nel paese?»

«Mai. Ma a volte Julio parlava di un ‘angelo caduto’. Uno che non voleva essere trovato. O che non sapeva più chi era.»

Saverio si avvicinò al manichino.

«Perché lo tiene qui?»

«Per ricordarmi che la bellezza, da sola, non salva nessuno.»Saverio prese una foto dalla tasca. Gliela mostrò. 

Marcello impallidì. Poi si sedette su uno sgabello e si mise una mano sulla bocca.

«Non era solo bellezza. Era fame.»

Saverio gli lasciò la foto.

«Se qualcosa le torna in mente, mi cerchi.»

Uscì in silenzio. Fuori, la nebbia si stava chiudendo come un sipario. E la campana, ancora una volta, restava zitta.

5

Il cimitero di Castelvecchio era appollaiato sul crinale nord, esposto al vento e agli sguardi. Saverio ci arrivò al mattino, quando l’aria era ancora tesa e il ghiaccio screpolava le aiuole. Aveva con sé la foto del ragazzo e la mappa catastale che ancora doveva consegnare al geometra. Ma non era quello il motivo della visita. Aveva bisogno di vedere dove fosse sepolto Don Julio. E magari, chi gli riposava accanto. Il parroco era stato tumulato nella cappella laterale, accanto al vecchio Don Ferrando. La lastra era sobria, elegante, incisa con cura. Ma fu un’altra lapide, qualche fila più in là, ad attirare l’attenzione.

Nessun nome. Solo una data: 18 aprile 2023.

Niente foto, nessun fiore. Nessun segno del passato, né del presente. Saverio si chinò.

Toccò il bordo della pietra. Era fredda, liscia, come appena posata.

«Era volontà del parroco.» La voce arrivò da dietro.

Rosanna, in piedi, con un mazzo di crisantemi gialli tra le mani.

«Chi è sepolto lì?» chiese Saverio senza voltarsi.

«Un’anima sola. Julio ha detto che voleva dargli riposo. Ma senza memoria.»

«Come si chiamava?»

«Non lo ha mai detto. Solo che aveva camminato troppo.»

Saverio si alzò.

«Le è mai capitato di vedere un ragazzo alto, magro, straniero forse… girare per il paese?»

Rosanna non rispose subito. Poi disse:

«Julio aveva una stanza chiusa. Al piano di sopra. Diceva che era per la meditazione. Ma io non ci sono mai salita.»

Saverio annuì.

«Perché non ha detto nulla di quella tomba?»

«Perché era un segreto. E i segreti… quando vengono svelati, smettono di proteggere.»

Nel pomeriggio, Saverio tornò in canonica. Rosanna lo lasciò entrare con riluttanza. Salì lentamente la scala interna. Al piano superiore trovò la porta in fondo al corridoio.

Serratura forzata. La stanza era spoglia. Un materasso, una lampada, un libro aperto su una sedia. Il libro era “Il ritratto di Dorian Gray”, con una nota a matita:

“Non era il volto che invecchiava. Era la colpa.”

Saverio lo chiuse. Il ragazzo sepolto senza nome non era sparito. Era stato protetto, fino alla fine. O nascosto? E Don Julio aveva pagato per questo.

6

Il giorno successivo, Saverio trovò una busta infilata sotto la porta della pensione.

Carta spessa, nessun mittente. All’interno, una lettera scritta a mano, calligrafia elegante:

“Don Julio sapeva. Aveva scoperto che i fondi destinati alla canonica erano stati dirottati.

Chieda al sindaco. Lo aveva minacciato.

Non doveva suonare quella campana.”

Saverio rilesse il biglietto tre volte. Poi lo bruciò nel lavandino, con la stessa lentezza con cui bruciava le sigarette ai tempi del servizio.

Il municipio era semivuoto. Saverio si annunciò da solo. Gianni Della Rocca lo ricevette nel suo ufficio, con un sorriso finto e le maniche arrotolate.

«Che piacere rivederla, maresciallo.»

«Anche per lei?»

Gianni rise, ma non troppo.

«Posso offrirle un caffè?»

«Preferisco le risposte.»

Il sindaco si irrigidì.

«Di cosa si tratta?»

Saverio posò un foglietto sul tavolo. Una copia della voce di bilancio comunale 2022.

Fondi per “ristrutturazione canonica”: 37.000 euro

«Don Julio mi disse che aveva ricevuto solo 5.000 euro per sistemare il tetto. Il resto?»

Gianni incrociò le braccia.

«Abbiamo avuto emergenze. Priorità. I fondi sono stati riassegnati.»

«Il parroco non sembrava d’accordo.»

«Il parroco… era troppo curioso. Aveva idee sue su tutto. Anche su come si governa un paese.»

«È vero che aveva minacciato di rendere pubblico il bilancio durante la prossima omelia?»

Gianni sbuffò.

«Può darsi. Non glielo avrei permesso.»

Saverio si alzò.

«Peccato. Sarebbe stata una bella predica.»

Nel pomeriggio, Riccardo lo aspettava all’ufficio anagrafe con un foglio in mano.

«Lei aveva ragione,» disse.

«Io tengo copia delle lettere ricevute in archivio. Una settimana prima di morire, Don Julio ha depositato qui un documento siglato, non ufficiale. Dentro: copia del bilancio, note a margine, e la frase ‘da leggere domenica 23’.»

«Il giorno prima della sua morte,» mormorò Saverio.

Riccardo annuì.

«E la campana… quel giorno non suonò.»

Quella sera il paese sussurrava. Qualcuno diceva che il sindaco fosse stato convocato in procura. Altri, che fosse stato visto partire in auto, con lo sguardo basso. In piazza, la gente parlava del parroco con voce più alta, come se un peso si fosse sciolto. Ma Saverio no.

Saverio era seduto sulla panchina accanto alla chiesa, a fissare il campanile immobile. Era tutto troppo ordinato. Un colpevole perfetto. Un movente preciso. Eppure…

Il ragazzo sepolto senza nome. La stanza chiusa. La macchina da scrivere. E una sagrestana troppo devota per ignorare il peccato.

7

Saverio tornò in chiesa la mattina presto, quando la luce filtrava ancora azzurra tra le vetrate. Salì le scale del campanile senza farsi annunciare. Conosceva ancora il cigolio esatto dei gradini. In cima, lo trovò. Il meccanismo era stato disinnestato manualmente. Un cavo scollegato, avvolto con cura dietro la struttura in ferro. Non un guasto. Un gesto preciso. Scese con la calma di chi ha appena capito una cosa troppo grave per dirla a voce alta.

Rosanna era in sacrestia, intenta a piegare tovaglie d’altare.

«Rosanna,» disse Saverio, «chi ha scollegato la campana?»

Lei non si voltò.

«Non lo so.»

«Sì che lo sa.»

«Era giusto così.»

Si girò, finalmente. Gli occhi rossi, ma non da pianto.

«Don Julio aveva lasciato che l’impurità entrasse in casa. Un ragazzo… con un passato vergognoso. Lo proteggeva. Gli dava da mangiare. Pregavano insieme.»

«Quel ragazzo si chiamava Dorian?»

Rosanna annuì, appena.

«Non c’è più. È morto una notte, in silenzio. Julio lo ha vegliato. Mi ha chiesto di aiutarlo a seppellirlo. Senza nome. ‘Un’anima pulita che il mondo ha sporcato’, ha detto.»

Saverio la fissò.

«E lei ha staccato la campana, il giorno dopo.»

«Perché non si può suonare a festa quando Dio tace.»

Nel pomeriggio, Saverio andò da Marcello. Il meccanico lo aspettava con le mani in tasca.

«Rosanna ha parlato,» disse Saverio. «Ora tocca a te.»

Marcello sedette sul gradino dell’officina. Sembrava più giovane, senza rabbia.

«L’ho conosciuto anni fa, a Milano. Io facevo da assistente luci. Dorian… era già un corpo perfetto. Ma fragile. Julio lo ha strappato a quel mondo. Ma non del tutto. Era tornato da lui.

Nel silenzio. E qui… l’hanno fatto morire senza toccarlo.»

«Chi?»

Marcello scosse la testa.

«Forse solo la vergogna. Forse… qualcos’altro.»

«Julio non è morto per i fondi pubblici,» disse Saverio.

Marcello alzò lo sguardo.

«È morto perché aveva scelto la misericordia, e qui dentro… nessuno gliel’ha perdonata.»

Quella sera, Saverio tornò in cima al campanile. Ricollegò il cavo. Sistemò la leva. Poi, lentamente, fece vibrare il battente. Un solo rintocco. Profondo. Lungo. Come una voce che torna dopo troppo silenzio.

8

Rosanna Bernardi non fuggì. Quando Saverio bussò alla porta della sua casa, la aprì come se lo stesse aspettando.

«È pronto a scrivere il rapporto?» chiese con voce ferma.

«No,» rispose lui. «Sono venuto per ascoltare la verità. Quella vera.»

Si sedettero in cucina. La tovaglia aveva motivi floreali. Una teiera fumava in silenzio.

«Lo ha avvelenato,» disse Saverio. «Non tutto in una volta. Ma a piccole dosi. I farmaci per l’emicrania… erano alterati.»

Rosanna non rispose. Poi prese una bustina da una scatola. La poggiò sul tavolo.

“Belladonna. Anticamente usata per allargare gli occhi delle nobildonne.

E per fermare i peccatori, quando era necessario.”

«Perché?»

«Perché Julio non era più lui. Aveva fatto entrare il male nella casa di Dio. E lo chiamava amore.»

«Lei non ha mai capito che Dorian era già morto dentro,» disse Saverio. «Che Julio lo aveva salvato, non contaminato.»

Rosanna lo guardò.

«Non toccavano i corpi. Ma si toccavano l’anima.»

«Lei ha tolto la vita a un uomo che cercava solo perdono.»

«Il perdono non si dà a chi insulta l’altare.»

Saverio si alzò. Guardò la stanza. Ogni oggetto era al suo posto. Un ordine spietato.

«Julio aveva una macchina da scrivere,» disse. «Dove sono le sue pagine?»

«Bruciate. Nessuno leggerà quelle parole.»

Saverio uscì senza arrestarla. Ancora no. Prima passò da Riccardo. Il giovane genealogista aveva recuperato l’atto di morte di Dorian, redatto a mano da Don Julio, non protocollato.

Con una sola frase finale:  “Gli ho restituito un nome, anche se il mondo glielo ha tolto.”

Saverio lo prese con sé.

L’ultima mattina a Castelvecchio, si recò dal geometra per firmare la vendita del podere.

La pratica fu rapida.

«Così torna in città?» chiese l’uomo.

«Non ancora.»

Quella sera, Saverio rimase seduto in chiesa fino al tramonto. Aveva con sé la pagina salvata dell’atto di morte. Salì per l’ultima volta sul campanile. Tirò la corda.

Tre rintocchi.

Uno per Don Julio.

Uno per Dorian.

E uno per chi aveva ucciso nel nome di Dio.

Poi scese, lentamente. E lasciò Castelvecchio, senza voltarsi.

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