Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2025 “Mugello 1982” di Stefano Bini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

Prima ancora dell’estate la Ferrari numero 27 decollerà per l’ultimo volo portandosi via, oltre alla vita di Gil, la spensieratezza dei miei vent’anni.

Ma oggi, adesso, ignaro, seduto a terra sulla collinetta che sovrasta la pista, con la faccia rivolta al timido sole di Marzo, mi sento forte, invincibile.

Chino il capo ed apro gli occhi: davanti a me la San Donato, a mio avviso la curva più bella dei circuiti italiani, e sicuramente una delle più belle al mondo.  Si trova alla fine del rettilineo dei box, le auto arrivano a mille all’ora, la staccata è da incubo, ma ancora più da incubo è percorrere la curva, a destra, in salita; vedi solo l’ingresso, non percepisci l’uscita fino a quando non ci sei, e solo in quel momento comprendi se hai impostato bene o se hai sbagliato traettoria, e se hai sbagliato è troppo tardi x correggere. Bene che vada ti passano in due o tre, male che vada esci di pista e tanti saluti. Non che lo sappia per esperienza personale, ho la patente solo da un paio d’anni, me lo ha raccontato Gianni, il commissario di pista amico di Claudio.

Pagato il biglietto entriamo, prendiamo lo stradello sterrato sulla sinistra e la mia 128 amaranto si avvia caracollando verso la mèta: dopo diversi minuti ed altrettanti saliscendi in sterrato, con il rischio di impantanarci nel fango residuo delle piogge dei giorni scorsi, parcheggiamo ai piedi della collinetta e ci avviamo verso la cima, il punto di osservazione che preferiamo: niente tribune, solo erba e fango, però riusciamo a vedere la fine del rettifilo, tutta la San Donato e l’ingresso alla numero 2. Quando arrivano sparati dopo la partenza è raro che qualcuno non esca, e se siamo fortunati  ne vediamo uscire anche 5 o 6. Stamani no, erano bravi, nella gara mattutina non è uscito nessuno, solo qualche sbaglio di traiettoria ma non sono nemmeno andati fuori della pista, una noia … ma nel pomeriggio, con la Formula 3, sarà tutto un altro discorso, sai che sportellate.

E adesso siamo qui, mezzogiorno, fino alle tre niente gare, ci tocca aspettare. Anche i commissari di pista, giù, lasciano la postazione e si avviano con l’auto di servizio verso i box, a pranzare con i piloti, cazzo che fortuna. Gianni invece saluta gli altri commissari ed inizia a salire a piedi verso di noi, strano, oltretutto non abbiamo niente da condividere per il pranzo.

“Allora ragazzi, che ne direste di un giretto veloce in pista?”

Mi volto verso Claudio, compagno inseparabile delle domeniche al Mugello, e lo guardo con aria interrogativa

“In che senso?” abbozza Claudio,

“Dai, che mi rompete da quasi un anno, il momento è arrivato, i capi vanno a mangiare fuori dal circuito, non c’è quasi nessuno a controllare in pista, vi lascio il cancello laggiù aperto, fra una mezz’oretta scendete con l’auto, entrate in pista e vi fate un giretto veloce veloce ed uscite subito. Anche se qualcuno vi sgama non ha il tempo di corrervi dietro, basta che quando uscite dalla pista richiudete il cancello e non vi riprendono di sicuro.”

Io e Claudio ci guardiamo attraverso i Ray-Ban di ordinanza, e malgrado il verde bottiglia delle lenti scorgiamo reciprocamente il lampo che ci attraversa l’iride.

Alle 12, 30 in punto la fedele 128 è davanti il cancello il cui lucchetto è stato “sbadatamente” lasciato aperto da Gianni. Claudio leva la catena e spalanca il cancello: la rossa (pardon, l’amaranto) con un filo di gas entra nello spazio di fuga, Claudio lascia il cancello aperto e si fionda al posto del passeggero.

Sempre con un filo di gas attraverso tutta la via di fuga, scavalco il cordolo di cemento ed entro in pista.

I Ray-ban si guardano nuovamente

“Vai, vai…vaiiii”

Frizione giù, prima, frizione su e contemporaneamente acceleratore tutto giù, lamento delle gomme e ci involiamo verso …

Verso dove? Ma verso la n. 2 , ancora in salita, seconda e terza marcia in rapida successione, staccata ed inserimento a sinistra, verso la n. 3, che arriva quasi subito, e poi il breve, brevissimo rettilineo in falsopiano verso la Materassi, e dalle tribune fra le due curve qualche raro spettatore alza la testa al nostro passaggio, rimanendo con il boccone di pane e mortadella in bocca ad osservarci mentre spariamo, fiondati verso le altre curve.

I problemi arrivano alle due Arrabbiate, troppo difficili per un inesperto come il sottoscritto, la 1 in discesa e la 2 in leggera salita, anche questa senza visuale d’uscita. La 128 non ha certo le gomme adatte per tirare al massimo in curva e poi il battistrada è troppo stretto, e forse chiedo troppo anche al telaio: all’uscita della prima Arrabbiata il muso ha un brutto scarto, perdo aderenza sull’avantreno, ci ritroviamo con un inizio di testa-coda … la riprendo con un controsterzo d’istinto, un culo mostruoso, e scodando riesco a rimanere in pista. Da questo momento in poi, sino al rettilineo, tiro i remi in barca, se combino un casino chi lo sente mio padre stasera a casa. Tutta la seconda parte del circuito, in discesa sino al rettifilo, è tranquilla, così come più sereno mi pare Claudio al mio fianco, che subito dopo il mancato testacoda a momenti vomitava pure l’anima.

Ultima curva ed ingresso in rettifilo, finalmente posso sfruttare tutta la potenza (si fa per dire) del 4 cilindri 1100 cc Fiat: già prima di arrivare davanti ai box siamo in quarta, fuori giri (all’epoca di quinta sulle auto non se ne parlava proprio). Il contachilometri segna 130  (Di contagiri nemmeno a parlarne sulle 128),  il motore urla di dolore, ho paura di vedere i cilindri schizzare fuori dal cofano da un momento all’altro (mi accadrà davvero alcuni anni dopo, con la mitica Alfasud che sostituirà il 128, ma questa è un’altra storia). I pochi addetti rimasti ai box guardano stupiti quella 128 amaranto che arranca verso la San Donato, mentre a bordo siamo convinti di andare ad una velocità prossima a quella della luce, tipo l’Enterprise del capitano Kirk.

Appena passati i box realizzo all’improvviso cosa sia quello strano rumore che sento sotto l’auto da quando siamo entrati in pista: stiamo seminando fango sulla pista, il fango raccolto nello sterrato intorno all’autodromo si sta staccando dal battistrada dei pneumatici, una parte rimane sotto la 128 ma la maggior parte ricade in pista, come mi conferma una rapida occhiata al retrovisore.

In fondo al rettifilo non accenno nemmeno la curva, mi butto direttamente nella via di fuga, alzando schizzi di fango altissimi, meno male che vista l’ora nessuno è presente. Mi fiondo dentro il cancello mentre Claudio si getta fuori a richiuderlo e a rimettere al suo posto catena e lucchetto. Non lo aspetto e porto l’auto il più lontano possibile dalla pista, nascondendola nel boschetto dietro la collina.

Ritorno a piedi alla collinetta dopo una ventina di minuti, Claudio è steso sulla coperta che dormicchia.

Mi metto a sedere accanto e getto un occhiata laggiù, alla pista: si vede benissimo la traccia fangosa dei pneumatici di un idiota che è entrato in pista dal cancello: che casino.

Il cielo è terso, l’aria frizzante, osservo alcuni uccelli che sorvolano la collinetta dirigendosi verso Est.

Inforco i Rai-Ban e nuovamente rivolgo il volto al sole: ancora una volta insieme al calore vengo pervaso dalla sensazione di onnipotenza tipica dei vent’anni … ignaro di ciò che verrà.

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