Premio Racconti nella Rete 2025 “La statua lignea” di Carlotta Ballarin
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025La mamma, in uno dei viaggi in giro per l’Europa a caccia del pezzo d’antiquariato d’occasione, viaggi dei quali non perdeva mai occasione di lamentarsi – tuo padre va in vacanza solo per lavorare e io non mi rilasso mai – si era innamorata di una Madonna. Papà era riuscito a contagiarla e pure a lei era venuta l’ossessione per l’oggetto antico.
Erano a Madrid e lì avevano trovato, in uno dei tanti negozi d’antiquariato che avevano setacciato, una statua lignea del Quattrocento: Maria con in braccio Gesù Bambino. Ma dopo varie trattative, papà aveva gettato la spugna per le difficoltà da affrontare alla dogana.
La statua era di una bellezza inaudita: il volto della Madonna aveva dei tratti delicati e molto dolci ed era intagliato nel legno con una maestria tale da farlo sembrare di porcellana. La veste era rossa, ancora con la sua policromia originale, il panneggio del mantello inciso ad arte. Poi c’era il solito santo bebè con delle proporzioni assurde e staccato dal seno materno. Chissà perché il Bambin Gesù è sempre poco bambin e sempre tenuto a distanza dalla madre. Forse perché all’epoca pareva poco decoroso che Maria lo tenesse stretto al petto per coccolarlo. O forse perché l’artista l’aveva fatto bruttino forte – aveva il volto di un sessantenne – e lei non se la sentiva proprio di guardarlo. O forse perché, colpita da depressione post partum, aveva confessato all’artista il rifiuto per il figlio, perché tanto San Giuseppe non poteva capire.
Fatto sta che, rientrata a Venezia a mani vuote, la mamma si è intestardita, non ha mollato la presa e mi ha eletta a sua complice: torniamo a Madrid tu e io!
Avevo 17 anni, frequentavo il liceo, e la proposta di volare nella capitale spagnola, che non avevo mai visto, e di saltare due giorni di scuola, non mi dispiaceva affatto. E poi c’era il valore aggiunto del brivido perché quello che stavamo per fare era illegale.
Siamo partite all’avventura: la mamma indossava un vestito scozzese e sotto una ventriera – ovvero uno di quegli orribili mutandoni elastici che usavano allora per contenere la pancia – aveva appiattito una serie di pacchetti di banconote da portare all’antiquaria spagnola. Ricordo la paura di quando abbiamo passato i controlli alla dogana durante lo scalo a Milano: poliziotti con tanto di cani antidroga. Ma noi, gnorri gnorri, siamo passate alla grande. Anche se abbiamo rischiato di brutto, non tanto per la ventriera imbottita, ma perché io avevo portato con me tutte le paghette risparmiate senza dichiararlo né alla mamma né alla dogana. Ho pagato la mia ingenuità con una sberla di mia madre, ma non con l’arresto.
Arrivate in albergo la mamma ha messo i soldi nella cassaforte in dotazione alla camera. Io ero estasiata: nei grandi alberghi c’erano le casseforti private? Proprio quelle con i codici e le manovelle che si vedevano nei film? Ma che ragazza fortunata ero!
Come codice la mamma aveva composto il numero di telefono della casa dei suoi genitori a Düsseldorf – lei è tedesca doc – ma io lo avevo urlato a squarciagola dal bagno – ero immersa nella lussuosa vasca da bagno della nostra suite – per testare la mia buona memoria e lei, temendo che qualcuno mi avesse sentito, lo aveva cambiato. Era decisamente arrabbiata e non aveva voluto svelarmi il nuovo codice, ma io avevo indovinato sparando a gran voce il numero di telefono di suo fratello, residente pure lui a Düsseldorf! Di nuovo arrabbiata – e lì la seconda sberla della giornata – lo aveva sostituito con quello di sua sorella: Düsseldorf, Repubblica federale tedesca. E mi aveva intimato di stare zitta questa volta, perché i parenti tedeschi erano finiti.
Qualche ora più tardi abbiamo ricevuto la signora della Madonna: lei ci ha consegnato la statua e la mamma si è sgravata dei pacchetti di banconote. Il tutto in un’atmosfera losca e emozionante.
Ma io, a tratti, sentivo in fondo al petto una sensazione di angoscia e di tristezza e non ne capivo il motivo.
Che avessi paura di perdere la Madonna?
In effetti avevo già perso il mio scrittoio, il mio letto, il mio armadio quando papà li aveva venduti. Avevo pianto il divano di velluto rosso, il tavolo da pranzo e anche la statua di San Sebastiano che serviva a me e a mia sorella da giovane innamorato. Forse temevo che, in cambio di una bella sommetta, mio padre avrebbe tradito la fatica che avevo fatto per portare a Venezia la bella Madonna. E che se avessi osato protestare mi avrebbe zittito con la solita tiritera: el lavoro xè lavoro, con che schei ti credi de poder studiar? Ti ga solo da ringraziar.
Dopo che l’antiquaria se ne è andata, abbiamo sistemato la Madonna nella valigia all’interno della cassaforte, l’abbiamo ben mimetizzata tra i vestiti e, a missione compiuta, siamo uscite a cena. Quando ci siamo sedute al tavolo del ristorante, ci siamo accorte che il locale non era molto affollato, ma che i tavoli erano tutti prenotati: in Spagna si mangia tardi, lo avevamo dimenticato. Così, per ingannare il tempo dell’attesa la mamma ha ordinato una caraffa di sangria – assaggiala, è buona, c’è tanta frutta. In effetti non era niente male!
E così, a 17 anni, figlia maggiore di un padre padrone che non mi lasciava uscire la sera nemmeno a mangiare pizza e coca cola, ho preso la prima balla della mia vita in compagnia della genitrice. Non avevo mai bevuto di nascosto con le amiche, non avevo mai bevuto gli shottini coi compagni di classe prima di andare a scuola, non avevo mai assaggiato uno spritz, ma mia madre mi ha fatto ubriacare.
Che fosse illegale anche offrire alcolici a una minorenne? Stavamo collezionando illegalità.
A quel punto il dolore di aver perso i mobili della mia cameretta e l’angoscia per la possibile perdita della Madonna non sembravano più così importanti. Un senso di serenità mi pervadeva. Stavo bene. Vedevo i camerieri arrivare e andarsene, la mamma che muoveva la bocca – forse mi stava parlando – la gente ai tavoli che brindava, e tutto mi pareva così bello, così fluido.
Ad un certo punto una donna seduta accanto a noi ha tirato uno starnuto fragoroso, di quelli sguaiati e un poco imbarazzanti. La sala si è zittita, la mamma anche. Io invece sono scoppiata in una risata fragorosa. Non riuscivo a controllarmi, ridevo e ridevo, mi asciugavo le lacrime col tovagliolo, cercavo di darmi un contegno, e poi ripartivo. Lungo il tragitto verso l’hotel la mamma mi teneva per un braccio per farmi andare dritta e mi supplicava di non sganasciarmi nella hall per non farle fare una figuraccia, che già era bastata quella al ristorante. Io ce l’ho fatta, ho trattenuto il respiro fino in camera, per poi ripartire a ridere a crepapelle una volta che mi sono buttata sul letto con la stanza che girava e girava. Che balla colossale!
Per fortuna a quel punto non ricordavo più i numeri di telefono degli zii e dei nonni di Düsseldorf così non è stato necessario cambiare ancora il codice della cassaforte e usare quelli dei parenti italiani.
Intanto la Madonna e il bambino dormivano quieti nel loro loculo.
Il giorno seguente, dopo essere andate in giro a negozi e forse al Prado, ma non ne sono sicura – avevo un gran mal di testa –siamo ripartite. E lì è stata dura, perché se ci avessero aperto la valigia alla dogana eravamo fritte – giovane donna coinvolge la figlia minorenne nell’espatrio illegale di un’antica statua spagnola, olé – ma tutto è filato liscio.
E così siamo tornate a casa, eroiche e vittoriose, con il nostro prezioso malloppo. E con la fedina penale pulita.
Ora la Madonna col Gesù Bambino è lì, accanto al tavolo dove mangiavamo allora e dove mangiano tuttora i miei genitori. E con il suo dolce sguardo veglia su di loro e benedice il pane quotidiano.
Ah, papà questa non l’ha mai venduta e io non ho mai dovuto piangerla. Cioè, si dice che una volta abbia tentato, ma che lo sguardo del Gesù sessantenne lo abbia fatto desistere. Ma non so se sia vero.
Comunque, grazie alla Madonna, non sono più astemia.