Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2025 “Rosso ciliegia” di Cristiana La Capria

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

Tirò un sospiro di sollievo: era appena finita l’ultima ora di lezione di quel venerdì fermo e invaso dalla pioggia. Mentre stava sistemando i libri nella borsa diede un rapido sguardo al gruppo delle splendide che dovevano avere organizzato un altro dei loro  party esclusivi; il gruppo di sportivi invece aveva già pronto lo zaino per andare a giocare a calcetto. Loris di sicuro avrebbe raggiunto la fidanzata che lo aspettava fuori dalla scuola e Rosa era già volata in biblioteca a leggere romanzi russi.  

Dani, invece, non aveva fretta di uscire dall’aula, non amava leggere e non aveva nessuno ad aspettarla. Appena uscì calcò il cappuccio dell’impermeabile sulla testa ma le goccioline continuavano imperterrite a fermarsi sugli occhiali, li tolse e li mise in tasca. A quel punto la strada le apparve appannata ma non importava, la conosceva a memoria. Si fermò dal pasticcere e prese una piccola torta alla panna e una candelina. Salì le scale fino all’ultimo  piano, entrò in casa. Si fece una doccia, andò a prendere la foto dal comodino e la sistemò sulla scrivania, accese la candelina infilandola al centro della piccola torta e fissò l’uomo che appariva di fronte a sé  – Un anno che non ci sei più – sospirò – Buon compleanno, nonno.

Soffiò sulla candelina, tagliò una fetta di torta e la mangiò a piccoli morsi girandosi intorno con lo sguardo: le pareti rosa, l’armadio di legno chiaro, la poltroncina, il letto sotto la finestra che dava sui tetti. Era solo merito del nonno se aveva un posto dove stare; con la paga del ristorante dove lavorava ogni sera non si sarebbe potuta permettere nessun posto decente.

Finito il festeggiamento, pensò che sarebbe stato utile portarsi avanti con i compiti.

La pioggia si era fermata, uscì con i libri ordinati nella borsa.

Entrò nel campo vasto appena oltre la strada di casa, camminò a lunghe falcate, calpestando i fili d’erba che trovava sul suo passaggio. In lontananza scorse un cane dal manto simile al fieno consumato; era accucciato sotto la panca  vicino al faggio ma, non appena realizzò che qualcuno stava andando nella sua direzione, sgusciò dietro l’albero.

Lei si sedette sulla punta della panca sporgendosi in avanti per controllare se il cane si fosse mosso, riconobbe il profilo di un orecchio proprio dietro il tronco. Sorrise.

Si sistemò meglio, sfilò dalla borsa il libro di letteratura e si mise a leggere la vita di Italo Svevo su cui quasi sicuramente sarebbe stata interrogata il lunedì successivo. Doveva essere promossa ad ogni costo, doveva chiudere l’ultimo anno e trovarsi un lavoro a tempo pieno. Mentre era occupata a sottolineare il testo avvertì un fruscìo, si sporse in avanti per controllare e sorprese il cane fissare verso di lei, immobile, gli occhi nocciola si intravedevano dietro la tendina pelosa. Avrebbe voluto avvicinarsi ma non volle spaventarlo. Finto il compito, rimise tutto in borsa e si avviò verso casa.

Il cane si accertò che la ragazza fosse scomparsa dal suo orizzonte e poi riprese il suo posto sotto la panca. Stava per diventare buio, fece cinque giri intorno a se stesso e poi si sistemò sul suo letto di erba ancora umida.

Il pomeriggio successivo il sole era tornato, Dani, felice per il successo dell’interrogazione, non volle chiudersi in casa e decise di ritornare nel campo, non prima di aver comprato una pallina rosso ciliegia.

Sotto la panca riconobbe il cane che, appena la vide, sfrecciò via facendo ondeggiare il pelo color fieno. Lei non si fermò a sedere sulla panca, questa volta, ma gli andò incontro – Ciao, io sono Dani e tu?

 Il cane indietreggiò abbassando le orecchie. Lei allora si inginocchiò e tirò fuori dalla borsa la pallina, allungò il palmo della mano, il cane si spostò ancora più lontano. Dani lasciò la pallina in mezzo all’erba e andò a sedersi sulla panca. Tirò fuori il telefono e cercò Fly me to the moon, la preferita di suo nonno. Alzò il volume con gli occhi  verso il cielo.

Vide con la coda dell’occhio che il cane si era spostato verso la pallina, la stava puntando. Gli andò incontro a passi lenti, lui abbasso le orecchie e si mosse rapido nella direzione opposta. Dani aspettò inginocchiata per qualche secondo – Pelo – lo chiamò d’istinto – vieni qui: voglio solo essere tua amica. Ma non riuscì a convincerlo. Si risollevò e andò a prendere posto sulla panca.

Dopo alcuni minuti Pelo ritornò sui suoi passi e, protetto dall’albero, spiò Dani che si stava allontanando. Riprese  possesso della panca, anche se quella sera non ebbe bisogno di usarla come tetto, il cielo era illuminato dalla luna e le stelle rallegravano l’atmosfera. Si accucciò sul prato aperto e si addormentò con la pallina color ciliegia sotto il muso.

Il pomeriggio successivo Dani arrivò puntuale, sotto la panca trovò solo la pallina. Il cane era seduto all’ombra dei rami, con sguardo attento – Ciao Pelo! –  disse e gli lanciò la pallina che atterò a pochi centimetri dal suo muso. Lui la addentò. – Vieni qui! – incoraggiò lei inginocchiandosi in mezzo al prato. Ma lui si ritirò dietro il tronco, la pallina tra i denti. Dani rimase ferma e allungò il braccio con la mano aperta verso Pelo che si decise a spostarsi verso di lei fino a metà strada, poi lasciò cadere la pallina tornando dietro il suo nascondiglio. La pallina arrivò di nuovo vicino al suo muso, il cane la afferrò senza spostarsi, Dani incrociò le gambe, non si spostò neppure lei. Un metro di prato li separava. Mentre il sole scendeva oltre l’orizzonte i due rimasero a guardarsi, gli occhi di lei protetti dalle lenti e quelli di lui da una manciata di peli.

Non appena si fece avanti il crepuscolo, Dani si sollevò – Allora io vado, ci vediamo domani? – Pelo la fissò conservando la pallina tra le zampe. Dani si immerse tra i lunghi fili d’erba inspirando l’aria profumata della primavera e andò via.

Pelo si sollevò e, tenendo stretta la pallina, seguì Dani a distanza,  come se un guinzaglio lungo due metri lo guidasse. Intanto le ombre dei lampioni accesi si riverberavano sul marciapiede e il cielo era diventato nero. Dani aprì il portone di casa che si chiuse alle sue spalle, lasciando fuori Pelo, seduto davanti all’ingresso. La luce si accese illuminando la finestra dell’ultimo piano, Pelo sollevò lo sguardo e rimase così, seduto sul marciapiede, senza fare nulla tranne respirare.

A un tratto una pioggia improvvisa lucidò l’asfalto, il cielo scuro coperto di nuvole non smetteva di far cadere acqua. Sotto la finestra ancora accesa Pelo era rimasto seduto stringendo tra i denti la pallina rosso ciliegia. Il colore del suo pelo inzuppato di acqua era diventato grigio come l’asfalto. Lampi, fulmini, tuoni e secchiate d’acqua scendevano dal cielo senza posa. Pelo si arrese, mollò la pallina davanti al portone e si rintanò sotto una scatola gettata tra i rifiuti, a pochi passi da lì.

Quando un tuono prolungato fece tremare l’aria e si trascinò dietro altra acqua, era ormai notte fonda. Il portone si aprì e uscì fuori Dani che impugnava un piccolo ombrello con cui difendersi dal vento contrario, dalla cascata di acqua, dal furore dei tuoni. Davanti a sé aveva un pensiero preciso che la portò nel campo: cercò Pelo sotto la panca, arrivò fin dietro l’albero, si voltò intorno, e si arrese. Ritornò verso casa con l’umore floscio come i capelli e i vestiti appiccicati alla pelle. Davanti al portone apparve la pallina. Si piegò per recuperarla e si accorse della scatola, ci trovò lui: il manto, perso il suo volume a causa dell’acqua, rivelò il corpo scheletrico. Non appena la vide, Pelo spalancò gli occhi e scivolò  senza freni tra le sue braccia. Rimasero stretti sotto la pioggia.

 A casa si scaldarono.  Pelo mangiò due ciotole di carne. Prima di andare a dormire Dani gli passò le mani tra il manto tornato vaporoso. Capì che in quel momento aveva smesso di sentirsi sola.

Si sdraiò e crollò in un sonno profondo, lasciando Pelo acciambellato sul cuscino ai piedi del letto.

All’alba il cuscino ai piedi del letto era vuoto. Dani aprì gli occhi e avvertì sulle gambe un peso: era lui, che aveva scelto un cuscino migliore.

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2 commenti »

  1. Un racconto molto dolce in cui mi sono rivista, grazie. Mi ha ricordato quando, anni fa, ho salvato dalla strada quello che è diventato il mio gatto domestico. Anche io l’ho adottato che era magrissimo!

  2. Grazie Alice per le tue parole. Il racconto di emozioni condivise permette di unire chiunque le prova

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