Premio Racconti nella Rete 2025 “Sveva e la statua” di Cristina Di Claudio” (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Il cielo plumbeo di Copenaghen galleggiava opaco sulle barche immobili e i turisti chiusi in opprimenti cappotti. Sveva percorreva la Langelinie, il litorale della città, affidando al mare il suo sguardo malinconico. La ragazzina arrestò il suo incedere lento, proprio di fronte alla piccola statua che giaceva ancorata al suo scoglio. Come Sveva, la Sirenetta volgeva gli occhi alla profondità e alla limpidezza di quelle acque increspate. Era ritratta nell’attimo esatto in cui la pinna lasciava spazio a due gambe di donna. La contemplò afflitta: anche lei sapeva bene cosa significasse sentirsi intrappolata in un corpo nemico. Una folata di vento minacciò il suo già precario equilibrio costringendola a indietreggiare. Si appoggiò con vigore alla stampella, cercando la stabilità perduta. Tirò su il cappuccio, ma nell’istante in cui inquadrò l’aumentare della pioggia, l’uragano divampò rabbioso. Il suo urlo irruppe nei silenziosi canali, dilagando tra rami spezzati e cartelloni abbattuti, dimenandosi tra biciclette in fuga e case colorate sbiadite di paura. Sveva arrancò sullo scoglio che ospitava la statua. Sentiva l’acqua esondare e gocciolare nella pelle, il freddo investire le ossa, il rumore sordo dell’angoscia straripare nelle orecchie. Nella mente come flash immagini veloci: la palestra, le scarpette, la maestra di danza. E poi l’impatto, l’urlo, quel dolore lancinante. Infine, il silenzio. Fu una frazione di secondo, un battito di pinne e il frastuono intorno a lei si placò. Sveva aprì timidamente gli occhi, stordita da quell’improvvisa quiete.
Si guardò intorno smarrita. La statua non era più accanto a lei. Il grigiore della foschia man mano lasciava il posto a colori tenui e distensivi. Percepì l’aria farsi calda e profumata e il suo corpo stranamente asciutto immergersi in una mite primavera. Di fronte a lei, non più l’incombere ostile del mare in tempesta, ma una distesa verde. Esterrefatta si alzò in piedi, accorgendosi di non avvertire alcun dolore alla gamba. Dapprima mosse pochi passi, poi iniziò a correre finalmente libera. Si diresse in mezzo al prato e lì si abbandonò a salti e capriole. Le sembrava di volare, e forse era proprio quello che le stava accadendo. Una luce catturò la sua attenzione. Fluttuando nell’aria, decise di raggiungerla. Più si avvicinava e più il bagliore diventava intenso, tanto che dovette chiudere gli occhi per non rimanerne abbagliata. Lentamente il chiarore si affievolì, e permise a Sveva di ammirare l’imponente e meraviglioso castello che si ergeva su una collina verdeggiante. Era proprio come quello descritto nelle favole: aveva torri merlate, un ponte levatoio che guadava il ruscello, mura di pietra grigia scintillanti e finestre ad arco dai vetri luminosi. Un ampio giardino lo circondava, e fiori dai colori sgargianti profumavano l’aria di magia e mistero. Si avvicinò ammaliata per sbirciare dentro. Guardie e damigelle gironzolavano in quell’oasi di pace e bellezza, tra fontane incantate e uccelli variopinti che svolazzavano eterei. Fu allora che la vide. Gli occhi di Sveva si soffermarono sulla ragazza che passeggiava al centro di quel quadro perfetto. Un meraviglioso abito ornato di strass e pietre preziose le fasciava il corpo, e una coroncina di brillanti le ornava i fluenti capelli che le scendevano fin sulle spalle. Come se lo avesse saputo, la fanciulla si girò e si diresse verso di lei. Quando furono l’una di fronte all’altra, non ebbero bisogno di parlare: i loro visi esprimevano da soli la gioia nel potersi finalmente incontrare. Sveva avrebbe riconosciuto quello sguardo tra mille. Uno sguardo non più malinconico, ma colmo di felicità per l’aver potuto realizzare il suo sogno. La Sirenetta era riuscita a sposare il suo Principe, e a trasformarsi in una creatura umana per sempre. In quel mondo idilliaco, non si era dissolta in spuma di mare. La prese per mano, e la condusse all’interno. Scivolarono dentro stanze lussuose, decorate con arazzi, tappeti preziosi e tende ricamate d’oro. Salirono i gradini di un’elegante scala, ed entrarono in quella che a Sveva sembrò essere l’ingresso della sala principale. Quando varcarono la soglia, si accorse di essere dentro un teatro. Il loro ingresso fu accompagnato da un caloroso applauso proveniente da un folto pubblico che sembrava le stesse aspettando. La Sirenetta la accompagnò fin sul palcoscenico. Si dispose al centro della scena, accorgendosi di avere indosso il suo amato tutù. Ai piedi, le scarpette da punta. L’orchestra iniziò il suo concerto e Sveva si abbandonò alla musica. Echi di passi lontani riemerso vividi nei suoi movimenti sicuri. Fece quello che da tempo desiderava tornare a fare: ballare. Volteggiava armonica, danzando sulle note di ?ajkovskij che le inebriavano i sensi e scandivano piroette e pliés in un melodioso altalenarsi. Su quel palco la sua Odette prese finalmente vita, come un cigno che dispiega maestoso le sue ali. Ora aveva di nuovo tutto quello che desiderava. Ringraziò in cuor suo la Sirenetta, che l’aveva accompagnata in quel luogo senza tempo, dove le Sirene possono diventare principesse e le ragazze infelici possono di nuovo tornare a sorridere.
Il giorno dopo, a Copenaghen si contavano i danni provocati dal terribile uragano abbattutosi sulla città. Le strade erano allagate e ovunque il forte vento e l’acqua avevano lasciato segni del loro impetuoso passaggio. Si cercavano i dispersi e tra loro una ragazzina di tredici anni. Tutti conoscevano la triste storia di Sveva: ammessa alla scuola di danza dell’Opéra di Parigi, una rovinosa caduta l’aveva costretta ad abbandonare una carriera che sembrava già scritta. Fu un ragazzo a ritrovarla. Era distesa in una piccola insenatura non molto lontana dalla statua della Sirenetta. Si chiese come avesse fatto ad arrivare fin lì del tutto indenne. Ciò che più lo colpì, fu l’espressione serena che aveva sul volto. Sembrava avvolta in un sonno consolatorio. La adagiò sulla barca e tentò di rianimarla. Sveva si destò confusa. Il freddo di quella giornata invernale la restituì subito alla realtà. Sentì i denti battere e la fitta alla gamba farsi insistente. Lacrime amare le solcarono il volto, mentre l’imbarcazione si allontanava per ricondurla a casa. I suoi occhi vagavano mesti lungo la riva, quando intravide qualcosa in lontananza. Non ne era sicura, ma chiese di poter essere riportata indietro. Scese e si avvicinò per guardare meglio. Sporche di terra, mare e salsedine, quelle che ora stringeva tra le mani erano un paio di scarpette da punta. Quel paio di scarpette da punta. Si asciugò le lacrime e guardò il mare. Adesso lo sapeva: era successo davvero. La cercò tra le onde, e anche se non la vide ebbe la certezza che la Sirenetta era lì da qualche parte per ricordarle che non doveva arrendersi, proprio come aveva fatto lei.
Un sorriso di speranza scaldò il gelo che aveva addosso. Avrebbe continuato a inseguire il suo sogno.
Tenera storia,bella
Ciao Giovanna, grazie per il commento e per il tempo che hai dedicato alla lettura