Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2025 “Intransigenze” di Massimo Vezzaro

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

Lunedì dell’Angelo da mio padre a correggere compiti. Lui dorme sulla poltrona. Con le dita curvate dall’artrite stringe il bracciolo, come se rischiasse di cadere. Ormai fatica a orientarsi, anche in casa. A volte non riconosce le stanze e stenta perfino a distinguere i volti delle persone. Forse per questo spinge la sua mano in cerca di un appiglio.

Di domenica e nei festivi vengo da lui, quando i pacchi di compiti si accumulano sulla scrivania. Succede molto spesso.

Lui è contento che io sia lì. Me lo dice e parte con il sonno quasi subito. Ogni tanto un colpo di tosse lo scuote: allora increspa le labbra in una smorfia di fastidio, come se lo avessero disturbato senza necessità. Gira intorno gli occhi velati e riprende a dormire.

Sto a testa china sui fogli da più di tre ore. Tengo dritta la schiena per non cedere alla stanchezza, non voglio farlo. I muscoli del collo mi fanno male e provo a rilassarli con le torsioni. È noioso correggere, ma continuo a scandagliare le righe con un’attenzione quasi meccanica, da scanner. La palpebra dell’occhio sinistro pulsa leggermente, di quando in quando, ma sono abituata a resistere, a fare quello che devo, e continuo. Mi concedo solo un sospiro di frustrazione ogni tanto, davanti agli errori più banali, sempre gli stessi, quelli su cui ho inutilmente insistito a lezione.

Mio padre tira fin sotto al mento la coperta leggera che scalda il suo sonno, poi solleva lentamente le palpebre e guarda l’orologio a muro con gli occhi velati. Con un moto d’impazienza quasi impercettibile, dice che è tardi, che deve tornare a casa.

«Lasciami andare, Enrica!» bofonchia.

«Papà, sei a casa! E chi è Enrica?» gli chiedo, con il tono indulgente che mi viene dall’abitudine a intercettare i suoi pensieri quando la malattia toglie loro il guinzaglio. Quel nome non l’ho mai sentito.

Lui dorme già di nuovo, la sua voce si è spenta. Lascio perdere.

Ho bisogno di un caffè che mi scuota un poco. Appoggio sul tavolo il dizionario, la penna rossa e la copia della griglia di correzione che controllo per dare i voti.

Lui sente che mi sto muovendo. Si raddrizza sulla poltrona, per quanto può, e si raccomanda con un lampo di preoccupazione: «È tardi, torna a casa, da tuo marito! Se lo lasci sempre solo, ti tradirà».

La voce è un’eco fievole delle raccomandazioni che mi ha sempre fatto, immerso com’era nella sua orgogliosa rettitudine di padre: l’amore degli altri, diceva, si conquista con la rinuncia, la pazienza, la dedizione. Se dai prova di saperti sacrificare, gli altri non ti abbandoneranno. Come se ci fosse un prezzo da pagare, per essere amati. Come se fosse necessario superare dei test di privazione per non essere dimenticati, traditi.

Se fossi limpida con lui, dovrei dirgli che è già successo: io già vedevo un altro, prima di lasciare Andrea, quando finalmente ho smesso di ignorare me stessa. Lui, Andrea, già lo faceva. A papà non l’ho ancora detto, non sa nemmeno che ci siamo separati. Ho paura di ferirlo: vedrebbe i suoi insegnamenti buttati al vento, dispersi dall’egoismo arido di chi, come ripete ogni tanto, nello sconforto, non sa più amare. Me compresa. È difficile spiegargli che è cambiato tutto, che viviamo in un altro modo, che il dolore non garantisce niente.

Quando sono da lui, il caffè mi piace prenderlo nelle tazze di porcellana blu di Mason’s che la mamma voleva usare nei giorni di festa: lui le tiene in quel vecchio mobile-vetrina con le gambe a sciabola che sembra un reliquiario. Sui tre ripiani di vetro sono appoggiate una dozzina di porcellane, un po’ leziose, ma belle, ognuna legata a un momento particolare, importante e felice.

C’è la bomboniera del matrimonio, ci sono gli uccelli variopinti di Herend, che incantavano mamma, e le statuette di Sèvres che papà ha fatto arrivare per lei in occasione di un anniversario. Sulla contadinella bianca in biscuit che regge un cesto d’uova, è ancora appoggiato il biglietto con cui, a lettere di altezza impeccabilmente uguale, papà consegnò a mamma quel dono prezioso: «A Giuliana, in pegno d’amore».

Ora si è mosso al leggero cigolio dell’anta.

«Scusa papà, non volevo svegliarti. Prendo una tazzina. Vuoi un caffè anche tu?»

Non risponde. Il suo sguardo si fa vigile, ma non è rivolto a me né alle tazzine dello Staffordshire. Cerco di indovinarne il bersaglio.

Sulla ribalta abbassata dello scrittoio, che un Cristo agonizzante di legno sovrasta, c’è un portacioccolatini di porcellana. Non mi pare di ricordarlo tra le cose di mamma. Lo capovolgo con cautela per cercare il marchio: è di Villeroy & Boch. Mi solletica l’idea di tenere tra le dita le ali leggere, ali quasi angeliche, della farfalla bianca sul coperchio. Sono curiosa di vedere che cosa c’è dentro: è rimasto solo un involucro di stagnola colorata, forse di qualche vecchio cremino. Copre, ma non completamente, un cartoncino ingiallito su cui poche parole sono vergate in una grafia tonda e minuta. «Di fuori la cenere grigia, sotto arde rosso il carbone. Enrica».





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3 commenti »

  1. Una storia tenera, da essa traspare la delicatezza e dolcezza. DI UNA FIGLIA ., LA CONSAPEVOLEZZA DELL`OSCURO MALEDI SUO PADRE.bella davvero.

  2. Grazie dell’apprezzamento e del tempo dedicato. Il racconto parla di una figlia che fa i conti con il tempo. È nel pieno della vita, è già passata attraverso relazioni coniugali, tradimenti e separazioni, ha perso la madre e accudisce il padre ormai preda della demenza senile. È anche parte di un’epoca in cui l’indissolubilità dei legami d’amore è stata superata, socialmente e individualmente, dalle esperienze concrete e dal bisogno di trovare soddisfazione al bisogno di felicità. La protagonista avverte che il padre con la sua austerità a la madre con il suo amore per la casa siano figure di un tempo che non c’è più. Della madre rimangono gli oggetti di porcellana preziosa che amava, un nostalgico ricordo. Del padre la memoria dei suoi moniti sul sacrificio di sè e sull’abnegazione coniugale. Le trasformazioni antropologiche, sociali, di costume sono irreversibili. Tuttavia la figlia sì è sbagliata, almeno in parte. Nel padre c’è un doppio esistenziale: l’attaccamento alla moglie Giuliana, alla famiglia, e l’identificazione nei valori predicati spesso da un lato; il tradimento in una relazione appassionata e inconfessata con Enrica dall’altra. Il tempo si rovescia: già molto prima di quanto la figlia credesse, la complessità e la contraddittorietà delle relazioni umane era grande. La protagonista scopre di saper poco del padre, al di là della maschera d’ordine che questi ha sempre indossato: é una piccola, grande rivelazione. Grazie ancora.

  3. Molto bello, complimenti. Con poco, detto tanto!

    Una sintesi perfetta: situazioni simili, ma scelte diverse, dovute forse non solo al mutare dei tempi, ma anche alle differenze di carattere e a un personale criterio di valori non necessariamente mutuato con spirito acritico dalla società del momento.
    Come vedrà ora la figlia l’intransigenza di un padre sicuramente amato e rispettato, forse anche un po’ temuto quando era un uomo lucido e forte?
    Come vivrà la scoperta di un vissuto che inaspettatamente li accomuna, pur essendo stato affrontato in modo diverso, e che getta una luce del tutto nuova sull’uomo che la educava?
    Si chiederà forse quale delle due scelte abbia portato una maggiore serenità. Farà confronti…
    La dedizione,l’ impegno e la rinuncia seguiti dal padre rispetto alla sua libertà di scelta, della ricerca della soddisfazione personale innanzitutto.
    Due generazioni, due mondi. Così uguali e così diversi.

    Una scrittura dal tocco leggero, che stempera il dramma amoroso in una luce di pacata malinconia, nella quotidianità dei compiti da correggere, nei ricordi che affiorano dai vecchi oggetti, nella consapevolezza della vecchiaia ( e della morte) che attende tutti, che può portare un vortice di rimpianti o un pacato distacco dalle passioni della gioventù.

    Bello.

    molto bello. complimenti.
    con poco, detto tanto!

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