Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2025 “Intrecci” di Anna Maria Grillo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

Alcuni incontri si trasformano in legami profondi. Intrecci che nessuno potrà mai sciogliere.

Vanni e Claudio si sono incontrati a Milano quasi per caso. Due vite distanti, eppure, intrecciate tra loro nel caos cittadino. Vanni, 37 anni, anima di teatro e paladino di sogni. Claudio, 34 anni, autista di anime e sognatore. L’asfalto è l’unico testimone del loro passaggio, un intreccio crudele che li legherà per sempre.

Milano (La Sciura), a primo impatto, può sembrare altezzosa e sempre “in piega” come le sue “sciure”, quelle benestanti signore milanesi un po’ patinate. Però, se proviamo ad osservarla più a fondo, come un’immagine impressa sulla tela, La Sciura ha le sembianze di una grande ragnatela, che dal Duomo – suo cuore pulsante – si allunga fino alla periferia. Un groviglio di anime e strade, che diventa un intreccio grigio e indissolubile. Gli occhi di Vanni, oggi, osservano così La Sciura… dall’alto.

Vanni, in sella alla sua bici, era partito dalla Toscana macinando sogni e chilometri. Aveva conosciuto La Sciura per amore del teatro e di Simona, sua compagna di vita. Da sempre, un vero paladino di sogni e loro voce narrante. I suoi occhi erano neri e profondi, forse, rubati ad uno dei quadri del Caravaggio: a loro nulla era mai sfuggito. Erano vere calamite di esseri viventi che, al momento giusto, diventavano riflettori per dare luce a chi non ne aveva o l’aveva persa per strada…

Ogni giorno, Vanni percorreva infiniti chilometri con la sua bici, districandosi nell’intreccio tagliente dei binari del tram. Sempre con il sorriso sugli occhi.

Mentre Claudio tagliava la città con il suo tram, trasportando anime bizzarre e dannati sognatori come lui. Claudio conosceva ogni angolo della Sciura, ogni groviglio e suo capriccio. Poco più che ventenne, aveva già conseguito il “master” di tutte le patenti. Allo stesso tempo, era poco incline agli studi universitari, così decise di diventare tranviere. I suoi occhi scintillavano, quando, il primo giorno salì in guida al “Gamba de Legn”. Era il più giovane tranviere di tutti depositi milanesi e lo stesso presidente dell’azienda trasporti, aveva elogiato questa sua passione.

Sono passati tanti anni da allora. I tram in legno, ormai, sono una rarità: oggi, anche loro, sono diventati intelligenti. Il vecchio manettino in ferro ha lasciato il posto ad una moderna consolle, affollata di tasti luminosi e comandi digitali. Ogni luce ha il suo “enter” ed il suo “exit”. La cabina guida sfavilla di luce, quasi fosse sempre Natale.

Sul tram succedeva di tutto e a tutte le ore. Claudio era il custode di vere leggende metropolitane, alcune gloriose, altre meno. Oltre a custodire leggende e viaggiatori leggendari, il viaggio era la sua vera sfida.

La strada e il traffico milanese non ammettono disattenzioni, nemmeno per un istante: così, ecco dietro l’angolo, un massello del pavé che fa lo sgambetto a qualcuno o qualcosa; un monopattino sfreccia come supereroe dell’asfalto; per non parlare del pedone che attraversa senza guardare, concentrato, alla guida del suo cellulare perché tanto “la precedenza su tutti e su tutto è mia” – questo è il suo mantra.

Claudio non solo era un tranviere, ma soprattutto era veggente. Prevedere il pericolo, era uno dei master che aveva conseguito insieme alle numerose patenti.

Anche Vanni ogni giorno, in sella alla sua bici, sfidava il traffico. Ogni pedalata affondava nel cuore, energica e vigorosa. Aveva una missione troppo importante da realizzare, questa era la vera sfida! Era paladino di un sogno davvero grande: dare vita, insieme alla Sciura, ad una nuova forma di “fare teatro”. No, non era solo recitare in modo magistrale, lasciare tutti a bocca aperta. Era un progetto di vita. Cresciuto con lui passo dopo passo, sulla strada e per la strada.

Vanni aveva iniziato la gavetta di attore partendo dalla strada: prima come burattinaio e giocoliere, fino a diventare attore di teatro. Nella periferia sud di Milano, in un quartiere senza nome e senza tempo, perché abbandonato da tutti, aveva trovato “il luogo” per il Sogno.

Il teatro sarebbe stato lo strumento di rinascita e di identità. Così, aveva iniziato ad intrecciare sogni sull’asfalto, quasi per gioco. Grazie alla complicità dei bambini della zona, aveva dipinto i primi fiori tra le crepe sulla strada e sul cemento: lì, nei punti dove erano più aride al tatto e il malessere squarciava ogni speranza di futuro.

Claudio era l’autista di quelle anime dannate che, spesso, bazzicavano nel quartiere. Non conosceva i loro nomi, ma sapeva tutto di loro: abitudini, tic e fissazioni. Soprattutto conosceva i loro sguardi sfuggenti, taglienti, timorosi, sognanti. “Del resto, sul tram, non si deve mai parlare al conducente.” Come recita il regolamento. Così Claudio durante i suoi percorsi, da un capolinea all’altro della città, aveva affinato il senso della vista; imparando a vedere oltre le parole. In fondo, il suo animo, era quello di un artista. Attento a tutto ciò che agli altri è invisibile. Sensibile osservatore: capace di scorgere la goccia che, in una pozzanghera, dipinge quadri di infinita maestria. Claudio aveva due grandi passioni, fotografare e viaggiare. Passioni che, spesso, facevano a cazzotti con la sua quotidianità. Una realtà che, troppo spesso, lo vedeva schiavo del suo tempo, o meglio, dei turni massacranti come tranviere. Per lui il giorno e la notte avevano lo stesso valore, come i giorni di festa, ormai, cancellati dal calendario.

Per essere tranviere a milano, ci vuole innanzitutto coraggio. Addentrarsi nella ragnatela della Sciura, non è facile. Seguire per ore senza sosta quel groviglio, e la sua fitta rete di strade, è come offrirsi ad una mantide religiosa: la minima distrazione nel traffico, diventa fatale.

La prima settimana di giugno, La Sciura apre i battenti alla stagione estiva. Complici il ponte del due giugno e fiere di quartiere, Milano diventa un immenso specchio per le allodole e la ragnatela è ancora più intricata.

Quella domenica Claudio aveva il primo turno. Avrebbe trascorso il pomeriggio a casa, insieme a Camilla, da qualche mese, suo prezioso rifugio. Non vedeva l’ora di finire. Era l’ultimo giro.

Il ticchettio del semaforo scandiva gli ultimi momenti della sosta, prima di ripartire.

Dopo l’ultimo sorso d’acqua fresca, Claudio, allungò lo sguardo verso il cielo, soffermandosi, sulla forma delle nuvole. Finalmente sentì gli occhi si alleggerirsi, insieme ai pensieri. Pian piano, anche la stanchezza scivolava via dalle spalle. La fine di quella giornata era vicina.

Dall’altro capo della città, Vanni si era alzato più frizzante che mai. Era un giorno speciale, da vivere insieme ai suoi bambini del quartiere. Finalmente si andava in scena!

Con Simona avevano già sistemato tutto la sera prima, costumi, copione e musiche. Solo gli ultimi ritocchi alla scenografia si erano prolungati fino a notte fonda. Le mani di Vanni erano consumate. Segnate da solchi profondi per completare il prato di fiori. Ma ogni ferita, sulle sue dita, sanguinava di gioia per ogni sorriso che avrebbe regalato a quei bambini. Le crepe sull’asfalto erano scomparse. Un immenso prato di fiori riempiva ogni angolo del quartiere, con un arcobaleno di vita e di colore.

“Bimba, allora vo’” Vanni non stava più nella pelle.

“Sembri proprio un bambino, nel giorno di Natale” aggiunse Simona, mentre con le mani gli scompigliava i capelli.

“Simo sai che non mi garba stare così con le mani in mano… allora meglio che vo.’”

“Via, vai testone. Tanto so già che stravolgerai qualcosa, come al solito” Gli occhi di Vanni, si allargarono in un immenso sorriso.

Un bacio, prima di uscire in sella alla sua bici.

Vanni pedalava con il cuore leggero e sprizzante, quasi sgomitasse per uscire e urlare a tutti la sua gioia. Ancora poche ore e poi finalmente il primo spettacolo. Tutto era luminoso e brillante. Anche l’asfalto rifletteva una luce nuova.

Claudio buttò l’occhio sull’orologio, era ora di partire. Mentre si accingeva a salire, un tonfo assordante gli bloccò le gambe. In equilibrio sul gradino, si girò di scatto. Un corpo inerme era solo sull’asfalto. Alcune macchie rosse iniziarono a divorare ogni piccolo spazio sul cemento…

Dopo qualche secondo di sbandamento, con il cuore in gola, Claudio si fiondò verso quel corpo. Quei pochi metri sembravano infiniti, mentre le tempie premevano per esplodere. In quell’istante, d’improvviso, il suo sguardo intrecciò quegli occhi grigi adagiati sull’asfalto. Occhi inermi e fissi. Claudio iniziò ad urlare con voce stridula e tremante, afferrando il cellulare per chiedere aiuto.

Vanni, abbandonato a sé, non capiva cosa stesse succedendo. Sentiva un peso immenso che lo bloccava a terra. Tutto era ovattato e confuso. Più cercava di ribellarsi e tirarsi su, più sprofondava verso quella macchia rossa che lo attirava a sé. La bici, sua compagna di strada, era accanto a lui riversa per terra, vicino al suo cuore.

L’asfalto emanava un odore acre e ferruginoso. Era rovente e bruciava le guance, mentre nel corpo sentiva un gran freddo. Vanni non sentiva altro. Quel gelo, si allungò vorace intrecciando i corpi di Vanni e Claudio in una morsa stretta e soffocante. Mentre, i loro sguardi, affondavano uno nell’altro nell’asfalto.

Claudio urlava e senza rendersi conto. Sballottava il cellulare quasi per farsi sentire o vedere. Era solo e il vuoto, intorno a loro, li divorava. Alcune macchine continuavano a passare, incuranti della scena, quasi fosse la normalità. Per Vanni e Claudio, invece, ogni secondo non era normale e pesava come macigni.

Claudio sentiva la testa scoppiare e suoi occhi schizzare via. Vedeva i tendini delle gambe di Vanni penzolare fuori, senza senso, come un vecchio manichino senza vita. Buttò dentro l’aria, proprio quando un conato stava divorando la sua anima. Strinse forte a sé i pugni, ormai violacei e anestetizzati. Si stropicciò con violenza gli occhi, quasi volesse scacciare via ogni immagine. D’istinto si inginocchiò davanti a quella scena, così cruda eppure così reale.

Ancora un lungo infinito respiro, prima di parlare…

“Non muoverti, sono qui vicino a te” rassicurava Vanni, quasi a voler rassicurare più sé stesso.

“Mi chiamo Claudio. Ho chiamato i soccorsi.”

D’un tratto pensò che fosse meglio sdraiarsi, lì accanto a lui. Doveva far sentire la sua presenza. Nel mentre, dal tram, una voce da lontano insistente tuonava “Señor, señor.”

Ma Claudio non aveva più orecchie. Erano cancellate dal rimbombo del sangue, che ribolliva dentro il suo corpo come un cavallo impazzito.

Si sdraiò piatto e lungo l’asfalto, cercando lo sguardo di Vanni. Doveva sentire. Doveva capire. Un altro respiro profondo e poi sussurrò

“Stanno per arrivare i soccorsi, ma è meglio che stai fermo”

Sentì uno stritolio farsi largo tra pelle e tendini, ormai sommersi da una maleodorante coperta di sangue.

“No ti prego non muoverti. Sono qui con te” supplicò Claudio.

Gli occhi neri e profondi di Vanni erano quasi un ricordo, mentre svanivano nella luce. Fissavano dritti gli occhi grandi e marroni di Claudio. Occhi vividi e pulsanti. Così vicini e così stranieri. Sentiva tutto il peso della strada e le ultime parole di Simona che, con leggerezza, scompigliavano i suoi pensieri. Sgranò gli occhi, nell’ultimo tentativo di afferrare Claudio. Era cosciente di tutto. Del sogno bloccato come il suo corpo. La bicicletta a terra era ferma, come pian piano il suo cuore. Sentiva bruciare dentro. Allo stesso tempo, aveva freddo. Le immagini davanti a lui si susseguivano troppo veloci per alzarsi e seguirle. Il ricordo della voce di Simona e i suoi baci avvolgenti come abbracci, sfiorarono il suo corpo, così stretti da perdere il fiato. Davanti a sé i sorrisi dei bambini, che pian piano diventavano lontani, luminosi e immensi come i loro occhi. Percepiva l’odore di trementina, come quando diluiva il giallo dei fiori dipinti sull’asfalto, che ora stava divorando anche lui. Poi una fitta. Sgranò gli occhi, ancora più forte, per ricercare altri occhi caldi, ma stranieri. Solo uno come Claudio poteva capire quelle parole di sguardi.

“Lo so. Ho capito, le dirò tutto. Ora cerca di stare tranquillo, le porterò il tuo messaggio.” Cercò di rassicurarlo nell’ultimo intreccio, poi tutto diventò buio.

Oggi, su quell’asfalto sono tatuati i loro sguardi, le paure e i sogni di quell’istante.

Quella piazza ha il nome di Vanni. È luminosa come lui, sempre tappezzata da disegni e fiori. Simona e Claudio non si sono mai guardati negli occhi, ma il messaggio di Vanni è stato consegnato. Il teatro è realtà e i bambini nel quartiere crescono in quei laboratori, sognando.

Claudio si è licenziato e non guida più il tram. È fotografo, ma solo per passione. Oggi è l’autista di altre anime, cuori fragili che hanno perso la luce. Ogni giorno si prende cura di loro, con travestimenti goliardici e musica. Anche i suoi occhi sono diventati delle calamite di esseri viventi che, al momento giusto, si trasformano in riflettori per dare luce a chi non ne ha o l’ha persa per strada…

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3 commenti »

  1. Straordinario. Una storia di dolore e morte che trasuda amore e vita! Mi hai fatto venire i brividi. D

  2. È un racconto scritto molto bene, con alcune immagini sorprendenti ma, soprattutto, è una storia commovente. Molto commovente. Grazie 🙂

  3. Anna Maria ti voglio fare i complimenti per questo racconto. Sei riuscita a dipingere la vitalità di una città metropolitana come Milano, dove ogni giorno tantissime vite inconsapevoli si scontrano l’una con l’altra: incontri brevi destinati a separarsi nuovamente, oppure dei veri e propri intrecci perenni come nel caso di questa tua storia. Mi hai fatto pensare ai fili colorati di un tappeto, destinati a incontrarsi, intrecciarsi e separarsi sui passi della fantasia della stoffa.

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