Premio Racconti nella Rete 2025 “Lockdown” di Angela Giammatteo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025“Quando ti chiederanno dove ci siamo conosciuti, tu digli al Parco degli acquedotti. Oppure digli a Porta Portese. Oppure al Gianicolo.Ma per favore non dirgli la verità. Non gli dire che ci siamo conosciuti al Todis”.
Lorena chiude il diario e lo sotterra in un cassetto, sotto un cumulo di macerie di mutande e reggiseni di Tezenis. Tanto, se volessero, lo troverebbero comunque.
La casa, tre stanze e un bagno, è in assetto di guerra. I gemelli travestiti da astronauti urlano e saltano sul letto. Gli stracci annodati attorno alla testa sono i caschi spaziali.
I gemelli sono pazzi. Erano pazzi anche prima, ma sono talmente furbi che hanno imparato a non farsene accorgere. Ma lei lo sa. Possono fare fessi i suoi genitori o le maestre con l’ombretto celeste, non lei. Lei li conosce davvero e sa di cosa sono capaci. E adesso che da dieci giorni non vanno a scuola la loro follia è esplosa come una bottiglia di coca cola quando la agiti.
Sua madre prepara da mangiare e, nei ritagli di tempo, piange. Si è accorta ora che sette anni fa è morto suo padre. Le epidemie fanno anche questo. In tempo di tragedia, le ferite nascoste dalla quotidianità riesplodono con ferocia. La lagna si sposta dalla camera da letto alla cucina con una ritualità opprimente e metodica.
“Ohiohioi”, ripete.
Fuori c’è il sole. È il sole di marzo, pallido, un sole che non trova il coraggio.
Papà guarda i telegiornali in loop, sempre gli stessi, come se dall’edizione del pranzo a quella della sera le notizie potessero cambiare o, all’improvviso, capovolgersi.
Nonna Assunta esce di casa, anche se non dovrebbe. Le hanno detto che a 87 anni suonati non è raccomandabile con un virus del genere in giro, ma lei è una guerriera. E senza aria aperta non riesce a stare. La guerra vuole e deve vincerla. La vincerà.
Lorena esce di casa per andare al supermercato, prende posto in coda alla fila infinita. È una fila ansiosa, nevrotica, che cerca solo il pretesto per litigare.
E in quel momento lo vede: con la faccia coperta dal domopack, un ragazzo distribuisce i numeri, decidendo le sorti e le priorità della fila. Vorrebbe favorire i più vecchi, ci ha provato una volta e si è scatenata una rissa, da allora non osa più. La fila non fa sconti a nessuno. Da allora è un cerbero con il badge al petto. Con estrema imparzialità, traghetta le anime al banco formaggi. Si guardano. Si chiama Fiorenzo ed è bello come la neve ad aprile.
Roma post apocalittica. Alla TV c’è il Papa solo a San Pietro e mamma piange. Sarebbe bello se fosse davvero per il Papa, per la potenza di questa immagine che arriva addosso come la grandine e spacca tutti a metà facendoci sentire soli e indifesi, ma lei piange anche quando i gemelli guardano il cartone animato del cane fifone e allora la nonna scuote la testa, dice che è tutta svitata.
Fiorenzo stacca al lavoro alle nove, il coprifuoco parte alle dieci. Lorena sa che hanno un’ora appena per conoscersi, un’ora e un metro di distanza. Nella Roma post apocalittica non c’è nessuno e loro camminano a 92 centimetri l’uno dall’altro, 92 perché a quel metro rubano sempre qualcosa. Con la mascherina sulla faccia sono sempre scoperti a metà. Lorena non capisce mai se Fiorenzo sta sorridendo o meno, conosce poco la sua bocca e il suo mento.
La conta dei morti è un bollettino di guerra, tutti i giorni alle diciotto. La speranza è che diminuiscano, che prima o poi tutto finisca. A sedici anni, pensa Lorena, dovrei uscire baciare amare. Dovrei farmi inondare tutti i giorni dal sole. Marinare la scuola ed essere sfrontata, non vivere questa merda qui.
La casa è un sistema entropico che sta per esplodere. I gemelli diventano ogni giorno più cattivi, disubbidiscono a tutto e a tutti, la pandemia è la loro epifania, sono come quegli avvoltoi che rubano durante i terremoti, quando ormai tutti hanno abbandonato le abitazioni.
La nonna ha deciso di sfidare la morte e non ce n’è per nessuno, se proprio devo schiattare, dice, sarà a testa alta, col vento e in faccia, mica mentre mi nascondo in casa come un sorcio.
Fiorenzo vorrebbe portarla al cinema, oppure a cena, oppure a bere uno spritz, ma quello era il mondo di prima e adesso non si può fare, allora camminano fianco a fianco e raccontano di se stessi, ma di se stessi nel mondo di prima. Del mondo di adesso non si sa cosa dire.
Sua madre ha smesso di preparare da mangiare e ha spento la TV. Guarda fuori dalla finestra tutto il tempo e sembra essere invecchiata di cent’anni.
“Che cosa stai facendo?”, chiede Lorena. “Niente, aspetto che torni tutto come prima”, risponde lei. “Non sarà mai più come prima”, sbotta suo padre.
Una pandemia è un trauma, è la separazione tra un prima e un dopo. Ma il prima non c’è più e il dopo non c’è ancora, così ci si ritrova tutti insieme, disorientati e persi, in bilico sullo strappo.
“Quando tutto finisce”, osa quella sera Fiorenzo, “mi piacerebbe portarti al mare a Ostia”. E Lorena allunga la mano a prendere la sua, ma alla fine cambia idea e se la rimette in tasca.
Che bella scrittura. Un tema drammatico trattato in modo ironico e delicato, mi è piaciuto molto.
Grazie mille, Piero!
Bella storia .che rispecchia tutto quello che abbiamo vissuto in quel brutto periodo,appesi alla speranza di un miracolo
Abbiamo vissuto tutti una dimensione indefinita e, per fortuna, unica.