Premio Racconti nella Rete 2025 “La felicità non è una ricetta” di Francesco Livrieri
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Parte 1 La vita che non è la mia
La mattina inizia con un abitudine che non mi sorprende più. La luce entra nella stanza come al solito, filtrando attraverso le persiane, tingendo i muri di arancione e la giornata si apre lentamente. Mi alzo, senza fretta, il caffè è pronto, ma lo zucchero è finito. Mi fermo per un istante, ma non per più di tanto, perché so esattamente dove trovare un pacco di scorta, là, nella dispensa, anche se non ho idea di quando l’ho comprato. Una sensazione, quasi un’intuizione che non ha bisogno di spiegazioni. Lo zucchero c’è, non può mancare. La mattina scorre senza problemi.
Esco per andare al lavoro in ritardo, ma non importa. Non c’è traffico sul mio tragitto, come se la città stesse dormendo ancora, e i semafori, incredibilmente, si susseguono tutti verdi, uno dietro l’altro, come se il mondo intero avesse deciso di lasciarmi passare senza ostacoli. Non mi sorprende questo. Mi sembra il normale corso degli eventi, qualcosa che accade tutti i giorni, che non merita di essere annotato. La giornata continua: il collega mi sorride, non abbiamo mai scambiato più di qualche parola ma è sempre gentile con me, qualcuno mi chiede un favore che posso concedere con facilità e la gratitudine che ricevo è spropositata. Tutto scorre in una danza che mi è familiare, come un movimento che mi è stato insegnato a memoria. C’è una strana pacatezza in tutto questo, ma non mi fermo a pensarci troppo. Il mondo va come deve andare, e io ci sto dentro senza nemmeno sentire la necessità di dire che va bene. Mi è naturale, così com’è.
Il caffè arriva al momento giusto, anche se la stanchezza non bussa mai troppo insistentemente, e anche quando accade, un paio di respiri profondi sono più che sufficienti per riprendermi. La perfezione di questa routine è tale che non la vedo nemmeno come se non potesse che essere così. È la normalità. Nulla più. Ma nel profondo, quando mi fermo, sento qualcosa di indefinito. Un’eco leggero, quasi sfuggente, che mi accarezza la coscienza senza farmi tremare, ma che comincia a scuotermi appena un po’. Qualcosa che non riesco a definire. Una sensazione che fa capolino nelle crepe di questa vita perfetta, ma che si dissolve immediatamente quando non la guardo abbastanza da riconoscerla. È solo un pensiero, che si perde in un altro, senza che io lo afferri davvero.
Eppure, a fine giornata, quando mi ritrovo a casa, mi accorgo di non essere stanco. Mi sento sveglio, come se la giornata non mi avesse chiesto nulla. Non ho fatica, non ho ansia. La cucina è in ordine, il frigorifero rifornito. C’è una sensazione di… equilibrio, ma non come se fosse il risultato di uno sforzo, bensì come se fosse il corso naturale delle cose. Non riesco a rifletterci sopra, ma quel pensiero di «come mai tutto va così bene?» aleggia nel mio animo, senza mai riuscire a trattenerlo a lungo. Mi domando, come per gioco, se forse qualcosa sta cambiando, ma so che non è vero. Non posso fallire, non posso non riuscire. Cos’è il fallimento? Non lo so, mai provato. Mi sembra solo una parola lontana, fuori dalla mia portata, come un’idea che non è mai stata scritta sulla mia vita. Non so cosa significhi non farcela. Mentre cercavo lo zucchero questa mattina, c’era quel piccolo barlume di dubbio che non riuscivo a ignorare. Non so nemmeno come descriverlo, ma so che mi è già capitato di avere questa sensazione. L’idea che qualcosa potesse andare storto. Forse una volta l’ho provata, forse mai. Non so se sia un ricordo o un pensiero che semplicemente mi sfiora.
Parte 2 Il sogno che non sa di essere in sogno
I giorni passano con una serenità che non riesco nemmeno a cogliere. Questa routine è diventata il mio respiro, un battito regolare che scandisce ogni parte della mia esistenza, senza eccezioni. Non ci sono alti e bassi, solo un piano perfetto, dove ogni cosa sembra seguire un ordine invisibile che non ho mai avuto bisogno di mettere in discussione. C’è una parte di me che, ogni tanto, quando sono solo, si ferma per un istante e si chiede se qualcosa stia davvero accadendo. Ma è solo un pensiero che sparisce subito, come il riflesso in una vetrina che non tocchi mai. Mi sono abituato a non chiedermi troppo, perché le risposte sembrano sempre arrivare da sole, senza sforzo. La vita è semplicemente così. E io continuo a viverla con quella sensazione di avere tutto sotto controllo, che poi, alla fine, è ciò che mi fa sentire al sicuro.
Un mattino, però, succede qualcosa che non riesco a spiegare. Mentre mi preparo per uscire, noto che la porta di casa è chiusa in modo diverso dal solito, come se fosse stata chiusa con più attenzione, quasi con una cura che non mi è familiare. Non ci faccio troppo caso, ma qualcosa mi disturba leggermente. Continuo a fare come sempre, mi infilo giacca e scarpe, esco e pronto ad affrontare la giornata. Il traffico, come sempre, non c’è. Qualcosa mi dice che è strano, perché non ricordo l’ultima volta di essere stato in coda per andare da qualche parte. Però la sensazione di disagio in mezzo al caos della città mi sembra di conoscerla. Come mai? La strada è deserta, e i semafori sono tutti verdi. C’è qualcosa di strano nella quiete della città, una tranquillità che non mi appartiene, come se la città stesse aspettando qualcosa che non posso sentire. Un brivido, leggero, mi percorre la schiena, ma lo scaccio subito, convinto che sia solo una reazione del tutto personale, una qualche forma di stress per qualcosa che non conosco. Niente di cui preoccuparsi.
Quando arrivo al lavoro, la giornata sembra seguire lo stesso percorso: il collega che mi sorride, un altro che mi offre un caffè, una scadenza che sembra passare senza la minima difficoltà. Ma io non mi sento il solito. C’è una leggera disconnessione, come se fossi un po’ fuori dal flusso, ma non riesco a focalizzare bene la sensazione. Tutto sembra accadere al rallentatore, come se stessi guardando il mondo da una finestra, ma non riuscissi a toccarlo. Il vero scossone arriva più tardi, quando scendo in pausa pranzo. Mentre cammino per la strada, mi viene in mente un luogo che conosco, ma che non ho mai visitato. Una piazza, con una fontana al centro, una panchina di legno, alberi alti e ombrosi. Ci passo davanti ogni giorno, ma non ricordo di esserci mai stato. Non ho mai visto quella piazza, eppure la vedo davanti agli occhi come se fosse un ricordo. Un dettaglio così vivido che mi lascia senza fiato per un attimo. Mi fermo, mi guardo attorno. Nulla sembra fuori posto, ma quella sensazione di déjà vu è insopportabile. Come se fossi in un posto che non mi appartiene, ma che ho già visto, in un sogno o in un’altra vita. Non posso fare a meno di pensare che, forse, sono io a non riuscire a ricordare le cose come dovrei. Ma questa è una conclusione che non riesco a accettare del tutto, perché la vita mi sembra sempre troppo chiara, troppo limpida, come se ogni cosa fosse al suo posto per una ragione che non ho mai dovuto chiedermi. La sensazione di non riuscire a ricordare qualcosa cresce, ma la scaccio via con un sorriso, come faccio sempre, perché non c’è bisogno di pensarci troppo. La mia vita è così. Non ha bisogno di essere spiegata, è sufficiente viverla, come faccio ogni giorno. Forse è solo un po’ di stanchezza, mi dico. Ma quella piazza, quella fontana che non avevo mai visto prima, è già nella mia memoria. Ma non so come.
Parte 3 La rivelazione sfuggente
Gli eventi continuano a scorrere senza che nulla sembri intaccarli. Ogni mattina è simile alla precedente, eppure una lieve discordanza continua a insinuarsi, senza mai farsi notare con chiarezza. Oggi, quando mi sveglio, c’è qualcosa di diverso nel mio appartamento. Non riesco a capire cosa sia, ma c’è una sensazione di disordine impercettibile, come se un piccolo cambiamento fosse stato inserito nella trama della mia vita, senza che io me ne accorgessi. Mi guardo intorno, ma non trovo nulla che mi sembri fuori posto. Il caffè è come al solito, la cucina ordinata, la porta di casa chiusa come se avessi fatto attenzione a chiuderla in modo particolare. Nulla di più. Mi preparo, come sempre, per affrontare la giornata. Ma arrivato in bagno, un dettaglio mi colpisce: mentre mi faccio la barba, mi accorgo di avere un taglio che non ricordo di essermi fatto. Un piccolo graffio sul mento, che non so spiegare. Come se fosse il risultato di un movimento goffo, di qualcuno che non è abituato a radersi. Mi passo la mano sulla pelle, ma non c’è dolore, solo una sensazione di strano vuoto, come se il segno fosse comparso da solo, senza una causa, senza un ricordo preciso. Mi fermo un attimo, cercando di pensare. Ma è come se la mia mente non riuscisse a recuperare nulla. Ogni pensiero sembra scivolare via prima che possa afferrarlo. Un attimo dopo, però, continuo. Non c’è bisogno di fermarsi. La vita continua, e la giornata anche.
Il traffico, anche oggi, è stranamente leggero. La strada è quasi deserta, e la città sembra addormentata, come sospesa in un mondo che non ha bisogno di risvegliarsi. I semafori sono tutti verdi, la mia macchina corre senza problemi. Non c’è mai un ostacolo, mai un rallentamento. Tutto fila liscio. Ma c’è qualcosa di sbagliato, qualcosa che sento nel fondo della pancia. Non è una sensazione che riconosco, ma è lì, silenziosa, come un sussurro. Arrivo al lavoro senza pensarci troppo. Il mio collega mi saluta con un sorriso, e poi c’è il solito caffè che mi viene offerto, come sempre. Non faccio domande, non mi soffermo a pensare se tutto questo è strano o normale. Mi sento disconnesso, ma in qualche modo mi sembra di appartenere a questo mondo senza alcun dubbio. La mia mente vaga mentre il resto della giornata si svolge senza ostacoli. Tuttavia, ogni tanto, come una piccola onda che attraversa la superficie calma di uno stagno, una sensazione mi accarezza, come se fossi sospeso in una bolla.
Quando esco per la pausa pranzo, noto una cosa che non avevo mai visto prima. Una vecchia libreria, nascosta tra due edifici, a cui non avevo mai fatto caso. La vetrina è polverosa, ma non c’è alcun segno di abbandono. Mi avvicino, e senza pensarci entro, attratto da una curiosità che non capisco. Dentro, l’aria è densa di un odore familiare: polvere di libri e legno antico. Mi fermo davanti a una scaffale, senza sapere bene cosa cerco, ma qualcosa mi chiama. È solo un istante, ma mentre osservo quei libri, ho un forte senso di déjà vu. Ho già visto questa libreria, sono certo di averla vista, eppure non posso ricordare quando o perché. La sensazione è così intensa che mi dà vertigine. Forse l’ho vista in un sogno, penso, ma non sono certo di voler approfondire. È come se qualcosa stesse fuggendo da me, e io non riuscissi a seguirlo. Oppure sono io che fuggo e quella sensazione mi sta raggiungendo. Difficile distinguere. Esco velocemente dalla libreria, ma la sensazione rimane, e mentre torno alla mia auto, mi accorgo che non ricordo come sono arrivato fino a lì. Non riesco a ricordare esattamente il percorso che ho fatto. Un brivido mi percorre la schiena, ma per la prima volta, non so come affrontarlo.
Parte 4 La confusione della chiarezza
Ogni giorno che passa, sento che qualcosa non va. Non so spiegare cosa, ma è come se la mia vita fosse diventata un puzzle che non riesco più a mettere insieme. Eppure, è sempre così perfetta, e continuo a viverla senza fare domande, come se fosse un corso naturale degli eventi. Ma ormai l’aria ha un sapore diverso, come se la routine avesse cominciato a scivolare via, lasciando un vuoto che non so come colmare e delle increspature che non so riempire.
L’altro giorno, mentre passeggiavo nel parco, mi sono fermato a guardare una panchina sotto un albero. Non l’avevo mai notata prima, eppure mi sembrava che quella panchina fosse la stessa che avrei scelto se mi fossi trovato lì in un altro momento della mia vita in cui volessi stare da solo. Un déjà vu, sì, ma un déjà vu strano, come se fosse la mia mente a cercare di ricordarmi qualcosa che ho visto in un altro sogno, in un altro frammento di un’altra esistenza. Sono sempre stato convinto che non avessi bisogno di domandarmi nulla, che la vita fosse fatta per essere vissuta senza domande, ma adesso mi sento come se ogni dettaglio fosse un eco di qualcosa che non posso più riconoscere. La città in cui cammino, il cielo che guardo, la gente che incontro. Tutto sembra già essere stato vissuto, ma non sono mai riuscito a viverlo come dovrei. Mi sembra di camminare su una linea sottile, tra il qui e l’altrove. I semicolli della mia esistenza si fanno più pesanti, e io non so più quale sia la mia direzione. Incontriamo tutti qualcuno che, per un attimo, ci fa pensare a una versione migliore di noi stessi, una versione che non abbiamo mai avuto il coraggio di vivere, o che non siamo riusciti a realizzare. Eppure lui, quel qualcuno, non è altro che me. Sono io, la versione che avrei voluto essere se avessi avuto la forza di affrontare le difficoltà, se avessi avuto la voglia di cambiare le cose. Il passato, la mia memoria, ora diventa sempre più sfocato, come un quadro che non riesco a riconoscere. Non so dove sono, ma non so nemmeno dove dovrei essere. Ogni passo che faccio mi sembra di camminare su un terreno incerto, come se stessi attraversando un paesaggio che non ho mai visto, ma che non posso lasciare indietro per andare avanti.
Un altro giorno, un altro incontro. Questa volta è con un vecchio amico. Ma qualcosa in lui mi è familiare, troppo familiare. Sì, lo conosco, ma non così. Non mi ricordo il suo viso, eppure mi sembra di averlo visto tante volte. Sembra che io non abbia mai dimenticato nulla, ma so che è tutto confuso. Così mi fermo a guardarlo, come se cercassi di ricordare un sogno. Ci sediamo a parlare, e lui mi guarda, quasi sorpreso dalla mia esitazione. Mi chiede cosa c’è che non va, ma io non rispondo. Non so cosa dire. Come posso spiegargli che la mia vita sembra non appartenermi più? Come posso dirgli che mi sento come se fossi un estraneo in un mondo che mi è troppo familiare? Le sue parole sono fluide, ma io le percepisco come se provenissero da un altro tempo, da un’altra versione della mia vita. Mi fermo, e per un momento tutto tace. E mentre il mio amico continua a parlare, la sensazione di essere intrappolato in un sogno cresce in me come una marea che sale lentamente, fino a sommergermi. Mi alzo, chiedendo scusa. Non riesco a restare lì. Non riesco a restare più a lungo in un posto che mi fa sentire come se avessi vissuto tutto prima. Forse è davvero un sogno, mi dico. Ma la risposta non arriva mai, nemmeno quando provo a svegliarmi.
Parte 5 Il baratro della consapevolezza
Nonostante ogni cosa sembri filare senza intoppi, una sensazione inquietante continua a tormentarmi. Ogni mattina mi sveglio, e ogni mattina mi ritrovo a pensare che ci sia qualcosa di strano. È una sensazione che cresce giorno dopo giorno, ma a cui non ho mai voluto dare ascolto. Non ne parlo con nessuno, perché non so nemmeno come spiegarla. I giorni passano, sono sempre uguali. La stessa inesorabile solfa, le stesse azioni, gli stessi incontri. È come se la mia vita fosse una copia perfetta di se stessa, un circolo che non sembra mai spezzarsi. Ma c’è qualcosa che mi sfugge.
Oggi, ad esempio, mentre passo davanti alla pizzeria sotto casa, mi fermo un momento. L’odore del pane appena sfornato mi avvolge, come una promessa che non ricordo di aver fatto. Mi guardo intorno, e in un attimo, mi sembra di aver già visto tutto questo. Le persone che camminano lungo il marciapiede, i volti che incrocio, persino la luce che filtra attraverso le foglie degli alberi. Mi sento come se fossi in un posto che già conosco, ma in cui non ho mai messo piede prima. Il respiro si ferma e un brivido mi percorre la schiena. Un altro déjà vu sta arrivando. Ma non è uno di quelli normali. Non è come quando ti svegli da un sogno e ti rendi conto che qualcosa ti sembra familiare. No. Questo è diverso. È come se, da qualche parte dentro di me, sapessi che quella scena che vedrò l’ho già vissuta. Cerco di ignorarlo, di continuare a camminare, ma è come se un velo sottile si stesse alzando tra me e la realtà. E poi, mentre giro l’angolo, vedo qualcosa che non dovrei vedere. Un riflesso. Mi fermo di colpo. È il mio viso, ma non è il mio. I contorni sono sfocati, come se il mondo intorno a me fosse diventato un quadro che non riesco a mettere a fuoco. Ma quella figura che mi guarda… è davvero me? Non lo so. Ma c’è qualcosa di strano. La barba leggermente incolta, le occhiaie scure che segnano il viso, come segni di una fatica che non avevo mai provato prima. La pelle, che doveva essere liscia, appareva grinzita, come se il tempo fosse passato su di me senza che me ne accorgessi. Il mio sguardo è più stanco di quanto ricordassi, e i lineamenti sembrano più duri, più segnati. Quel volto, più vecchio, più segnato, mi osserva senza dire una parola, con un’espressione che non riconosco. È come se mi stesse dicendo qualcosa, ma non voglio ascoltarlo. Non ora. Non posso. Non voglio. La luce intorno si fa più sfocata, come se il mondo intero volesse ritirarsi in se stesso, lasciandomi solo con quel volto che sembra parlarmi.
Mi alzo, sbatto contro una vetrina, e il riflesso svanisce, lasciando spazio alla mia faccia conosciuta. Quando sono caduto? Mi guardo intorno, come se fossi appena uscito da un sogno, e la realtà sembra troppo fluida, troppo insicura. Rientro a casa nel pomeriggio, ma la stessa sensazione mi assale di nuovo. Quando entro, trovo che le tende sono state mosse, come se qualcuno le avesse mosse per oscurare la luce. Ma sono certo di non averle toccate. Sono certo che quando sono uscito non erano così. Un altro piccolo indizio. Una piccola discrepanza, che non dovrebbe esserci, ma c’è. Non riesco a credere a ciò che sento dentro di me. In quel momento, la voce che mi ha sempre parlato dentro la mia testa inizia a farsi più forte, come un eco che si amplifica fino a sopraffarmi. È come se quella voce stesse cercando di dirmi qualcosa che mi rifiuto di ascoltare. Non voglio sapere. Non voglio affrontare la realtà, perché se davvero tutto questo non è vero, se sono io ad essere dentro un sogno, cosa succederà quando mi sveglierò? Dove sarò? Chi sarò? Mi fermo, sento il battito del mio cuore accelerare. Una strana consapevolezza comincia a farsi strada nel mio cuore. Non è chiara, non è definita, ma la sento come una piccola fessura che si sta aprendo dentro di me. Ho paura. Paura che quella fessura diventi un baratro, un baratro che mi inghiottirà. Ma, allo stesso tempo, non posso ignorarlo. Non posso più far finta di non sentire questa verità che mi sta tormentando. Eppure, la domanda continua a girare nella mia testa, come un pesante pendolo che non riesco a fermare. Se è un sogno, che cosa accadrà quando mi sveglierò?
Parte 6 Il risveglio
E così, passo i giorni seguenti con la mente avvolta da un’inquietudine crescente. Ogni piccolo dettaglio sembra sfuggirmi, come se il filo che tiene tutto insieme si stesse lentamente spezzando. Continuo a fingere che nulla sia cambiato. Ogni mattina mi sveglio, ogni mattina mi guardo allo specchio, e per un attimo, tutto sembra essere come prima. Ma quella sensazione di estraneità cresce dentro di me come un cancro che si diffonde, distruggendo lentamente ogni certezza.
Oggi è un giorno come tanti altri. Mi alzo, mi vesto, faccio il caffè, eppure c’è qualcosa di diverso. Non so cosa. Forse è il silenzio in casa, un silenzio che non avevo mai notato prima, o forse è il fatto che non riesco a smettere di pensare a quella figura, al mio riflesso. C’è una parte di me che non vuole fare i conti con ciò che è successo, che non vuole accettare che la mia vita non è come la vedo, che tutto ciò che credo di sapere su di me potrebbe essere una menzogna. Mentre mi preparo per uscire, vedo una foto sul mobile all’ingresso. È una vecchia foto di famiglia, scattata molti anni fa. Mi avvicino, e noto qualcosa che non avevo mai visto prima: c’è una persona che non riconosco, una figura dietro di me, appena visibile. Non è una persona che faccia parte dei miei ricordi, eppure quella foto sembra essere parte di me, di una storia che non ricordo. Qualcosa mi si spezza dentro. Mi sento sopraffatto. Non voglio pensare a questa cosa, non voglio aprire quel vaso di Pandora che sembra voler scivolare fuori da me. Mi siedo, chiudo gli occhi per qualche istante ma dentro di me c’è un’urgenza. Una necessità di comprendere, anche se non so se voglio davvero saperlo.
Il giorno continua come sempre, ma il peso di quella sensazione mi segue, mi ossessiona. Alla fine, non posso più ignorarlo. Mi ritrovo davanti allo specchio, come tante volte prima, ma questa volta, mentre guardo il mio volto riflesso, non vedo più la stessa persona. Non vedo più quello che credo di essere. La persona nello specchio è una versione di me stesso che non conosco, eppure mi sembra di averla vista mille volte. Le sue mani sono più grandi, più dure. I suoi occhi sono più scuri, come se avessero vissuto un dolore che non mi appartiene. Il suo volto è più segnato, più vecchio. E la barba, quella barba che non ho mai lasciato crescere, è lì, di un colore diverso, come se fosse cresciuta in una vita che non è la mia. Mi sento come se fossi dentro un sogno da cui non posso più svegliarmi. Ma, come tutte le cose, il sogno prima o poi finisce. E io ho paura di quello che troverò quando mi sveglierò. Perché se questo non è reale, cosa mi aspetta dall’altra parte del velo? Un pensiero insidioso inizia a farsi largo nella mia mente. Forse questo non è il mio corpo. Forse questa non è la mia vita. Ma allora, se non è così, che cosa sono io davvero? E soprattutto, cosa vorrò essere? Il pensiero mi strangola, mi opprime, eppure non posso fermarlo. Una strana consapevolezza comincia a sussurrarmi dentro, più forte di ogni altra voce. Mi sta dicendo che tutto ciò che ho vissuto, tutto ciò che credo di conoscere, potrebbe essere una proiezione di una vita che non è mai stata la mia, un sogno che ho vissuto per troppo tempo. Improvvisamente l’inquietudine mi sorprende, mi sovrasta, e quasi non riesco a respirare. Non riesco più a sopportare l’idea che tutto ciò che ho visto, tutto ciò che ho toccato, sia solo un’illusione. Ma il pensiero di svegliarmi, di affrontare la verità che non voglio conoscere, mi paralizza. Ho paura di svegliarmi. La paura di ciò che potrebbe accadere quando finalmente mi renderò conto che questa vita non è mia, che non è mai stata mia. Paura di perdere ogni ricordo, ogni certezza, ogni pezzo di ciò che pensavo di essere. E mentre la paura mi travolge, la stessa domanda mi scivola fuori dalle labbra, come un sussurro.
Parte 7 La realtà
Mi sveglio e la luce che entra dalla finestra non è più dorata. C’è un angolo di oscurità nella stanza che mi avvolge, il silenzio è pesante. Non c’è il profumo del caffè che mi aspetta nella cucina luminosa, come nei sogni, ma un odore stantio che non so spiegare. La stanza è fredda, ma il letto è caldo e umido, come se il corpo non volesse abbandonarlo, come se sapesse che quando esco di qui, tutto cambierà. Mi alzo, ma i piedi non toccano immediatamente il pavimento. Non c’è nulla di morbido, di accogliente. È tutto grezzo, l’odore di polvere che mi fa accapponare la pelle. Il terreno è freddo, e la sensazione mi risveglia del tutto, ma non mi basta. Le mani tremano leggermente mentre cerco le pantofole che non sono lì, ma nell’armadio disordinato. Disordine. Non c’è ordine in questa casa, in questa vita. Mi guardo allo specchio e vedo un volto che non riconosco. I capelli, scompigliati, hanno bisogno di essere sistemati, ma non lo faccio. Ho la barba leggermente incolta, il viso segnato da giorni in cui non sono riuscito a fermare il tempo. Le occhiaie sono marcate, come se avessi corso troppo a lungo e fossi arrivato al limite. Il viso che vedo non è quello che avrei mai voluto, eppure è la mia realtà, la realtà che non ho mai voluto vedere. Le mani sono spesse, callose, eppure le guardo con una sorta di inquietante distacco, come se non mi appartenessero davvero. Esco dalla stanza. Non mi interessa più di tanto dove vado, ma devo. Devo uscire. Non so perché, ma lo faccio. Il mio passo è pesante, il corpo più stanco di quanto ricordi. La porta sbatte dietro di me e mi assicuro che sia chiusa bene, come sempre. La mia vita è un groviglio di errori, di mancanze, di opportunità perdute.
La strada è uguale a quella che ho sempre percorso, ma lo scenario non è più lo stesso. Il traffico è intenso. Il freddo mi morde la pelle, provo ad accendere i riscaldamenti ma non funzionano. Arrivo in ritardo a lavoro, ma non è il solito posto fisso. Non sono mai riuscito ad avere un lavoro stabile, come quello che credevo di fare nei sogni. E la mia vita sociale, ormai inesistente, è una collezione di conversazioni che non sono mai state vere. Non ho amici. Non ho nessuno. O forse ce l’avevo, ma è come se il tempo se li fosse portati via.
Nel pomeriggio, il medico mi aspetta. L’uomo con cui parlo ogni mese, che mi ascolta e mi prescrive le pillole, quelle stesse pillole che mi avevano regalato il sogno di quella vita che sembrava perfetta. Ma la realtà è più brutale, più cruda. Il farmaco, che dovrebbe farmi stare meglio, sembra avermi spinto a sognare la vita che non ho mai avuto, quella che non potrò mai vivere. Mi dà la ricetta e mi dice che devo continuare, che è l’unico modo per affrontare il buio che ho dentro. Quando esco dal suo ufficio, mi chiedo se questa sia davvero la mia vita. Se quello che ho vissuto finora sia stato reale. E mentre percorro la strada, una sensazione che non posso ignorare mi scava dentro. Forse tutto ciò che ho vissuto finora è stato una proiezione, una fuga da un mondo che non posso cambiare. E io non so più quale sia la realtà.
Parte 8 La decisione
Le giornate continuano a scorrere, ma ogni momento sembra essere più pesante del precedente. Il rumore della pioggia che batte contro la finestra, la monotonia che avvolge ogni passo, ogni movimento. Ogni respiro è come un peso che si aggiunge alla mia esistenza, ma c’è qualcosa che non riesco a scacciare, un pensiero che mi ossessiona. Un pensiero che non posso ignorare più. Cammino per la strada, i passi che rimbombano nel silenzio. Ogni angolo che giro sembra un passo più lontano dalla vita che credevo di conoscere, quella in cui tutto sembra essere perfetto, senza difficoltà. Nel sogno, tutto andava come doveva, senza ostacoli, senza dolore. Ma non è la realtà, non è mai stata la realtà. La vita vera è tutt’altra cosa, eppure, ogni volta che ci penso, c’è una parte di me che vorrebbe sprofondare in quella perfezione, in quel rifugio lontano dai fallimenti e dalle delusioni. Ma la vita che vivo ora è la mia. Brutta, disordinata, imperfetta. Ma è la mia. Sento il peso della realtà addosso come una camicia troppo stretta, che non riesco a togliere, che non riesco a ignorare. Ogni volta che mi guardo allo specchio, vedo un corpo che non mi appartiene completamente, un volto che non riconosco più. I miei occhi sono spenti, segnati da un’apatia che non avevo mai visto prima, o che forse era sempre stata li. Lontano da me, c’è quella vita perfetta che ho visto nei sogni, ma ora non riesco nemmeno a toccarla. Il medico mi ha dato la ricetta, come sempre. Le pillole che mi fanno sognare la vita che non ho, la vita che mi è stata tolta. La vita che non ho mai avuto il coraggio di vivere. Ma sono solo pillole. La verità, per quanto dolorosa, è l’unica via. Non posso continuare a fuggire, non posso rimanere a vivere in un sogno. Torno a casa, ma questa volta non è più un ritorno. Ogni passo che faccio mi sembra più pesante, come se stessi camminando nel mio stesso passato. Non è un passato che posso cambiare, non è una vita che posso rivivere. La casa che mi accoglie non è la stessa che avevo immaginato nei sogni. Ogni cosa è fuori posto, ogni angolo è un vuoto che non riesco a colmare. Il tempo sembra essersi fermato qui, proprio dove io non sono riuscito ad andare. Mi siedo sul divano, gli occhi fissi nel vuoto. Il mio corpo è stanco, la mia mente confusa. Mi sento più solo di quanto mi sia mai sentito, eppure, in questo silenzio, una domanda cresce dentro di me, sempre più forte. Una domanda che mi prende, mi stringe come un cappio attorno al collo. Che cosa voglio veramente? Quella vita perfetta, che ho vissuto nel sogno, sembra così lontana, ma la sua ombra mi segue ogni passo che faccio. Ma i sogni non durano per sempre. La vita vera, quella che ho vissuto finora, è fatta di difficoltà, di sogni infranti e di scelte sbagliate, ma è l’unica che ho. E forse, è l’unica che mi permetterà di crescere e di andare avanti. Non c’è un’altra via. Nel soggiorno la foto di famiglia sul mobile mi guarda, quell’uomo dietro di me non c’è più. E solo ora capisco. Avevo visto quella parte di me che ho perso nel corso degli anni a furia di errori. La domanda ora stringe il suo nodo: torno nel mondo dei sogni o resto alla realtà?
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Bravissimo , sei riuscito a farmi entrare nella tua dimensione che tra l’altro è molto profonda. Ti auguro di arrivare in alto!
Bello. Un racconto importante La felicità non è una ricetta, importante perché tocca un tema, o forse IL tema, che ci riguarda tutti: cosa fare della nostra vita, cosa ne abbiamo fatto, cosa avremmo potuto farne. Sono domande senza punto interrogativo perché forse sono, alla fine, domande senza risposta: la vita è quella che ci capita, oppure la vita è sogno, come scriveva Calderon. Un racconto molto ben scritto, per certi versi perfino ipnotico e, almeno fino a un certo punto, direi “ovattato”, come a rendere quella sorta di allucinazione o illusione procurata al protagonista dalle medicine: uno stato d’animo reso molto bene, così come anche il progressivo passaggio/ritorno alla realtà, dove la voce mentale della lettura sente il bisogno (a me è capitato proprio così) di prendere un altro tono e un altro ritmo: notevole! Incrocio le dita per questo racconto. Complimenti e in bocca al lupo:-)
Ciao Giulia, sono felice di essere riuscito a farti entrare in questa dimensione tanto complicata e profonda quanto bella! In alto è quello a cui sto puntando e farò del mio meglio per riuscire a raggiungerlo. Grazie!
Ciao Ugo, ti ringrazio tantissimo per i complimenti e per aver apprezzato il mio racconto. Sono molto felice che il tema centrale del mio racconto sia stato visto così profondamente e che anche l’atmosfera ti sia arrivata sotto questi stati d’animo, era la mia intenzione! La sfida che più mi rende motivato a scrivere è riuscire a rendere partecipe il lettore di quello che succede all’interno delle storie che racconto, in modo da lasciare una piccola emozione a fine lettura. Grazie ancora! 🙂