Premio Racconti nella Rete 2025 “Galeotte furono le rose rosse” di Lisa Bove
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025In un afoso ma tranquillo pomeriggio d’estate, precisamente di un sabato del mese di luglio, mentre pensavo che la maggior parte degli abitanti del mio paese era fuori per trascorrere un sereno week- end al mare, in montagna, o in qualsiasi località, poco importava, l’essenziale era che fosse all’ insegna del divertimento e del più totale relax, lontani dalla solita routine quotidiana e dal caos cittadino, io non potevo che concedermi un salutare riposo casalingo, considerando che gli impegni lavorativi mi tenevano a dovuta distanza dallo svago.
Me ne stavo sdraiata su un comodo sofà di vimini, rivestito di stoffa di colore blu intenso, situato in un angolo del giardino di casa, circondato da vari tipi di piante e sorseggiavo una rinfrescante bevanda al succo d’ananas, quando, all’ improvviso, nel silenzio più assoluto, un insolito squillo di cellulare ma magico, che stravolgerà il mio immediato futuro sentimentale.
Chi l’avrebbe mai detto che, di lì a poco, avrei conosciuto il mio “principe azzurro“, quello che sognavano tutte le donne, quello di tutta una vita.
Erano le 15:30 e mi chiedevo chi fosse a quell’ ora del pomeriggio, poiché il mio uso del cellulare era strettamente limitato a motivi di lavoro e a pochi amici. Presi il telefono, guardai il numero a me sconosciuto, scorsi velocemente nella rubrica ma mi accorsi di non averlo in memoria e, per giunta, aveva un prefisso che non apparteneva all’ Italia.
Chi sarà? Ripresi a sonnecchiare, anche se una voce dentro di me non mi dava pace.
Dopo mezzora ricevetti un altro squillo seguito da un messaggio, oserei dire, molto banale.
– Scusami, penso di aver sbagliato numero, parlo con Lisa? -.
Dopo averlo letto rimasi stupita, quasi divertita, non riuscivo a capire se si trattasse di un semplice errore o effettivamente questa persona mi conoscesse. Comunque stava di fatto che mi chiamava per nome e chissà quante cose sapeva sul mio conto.
Infatti insistei molto nel chiedere chi fosse stata la persona che gli avrebbe dato, in maniera del tutto gratuita, il mio numero di cellulare e scoprii, come avveniva in questi casi, che si trattava di un amico in comune.
Passammo l’intero pomeriggio a conoscerci tramite messaggi, un modo comunemente diffuso tra i giovani al giorno d’oggi, anche se ero contraria, ma era l’unico che avevamo a disposizione in quel momento per comunicare, in quanto il mio interlocutore si trovava in Albania per una missione, si chiamava Mario, eravamo coetanei, era un maresciallo dell’arma, lavorava nella caserma di Udine e il motivo che ci incoraggiava di più in tutta questa faccenda era che abitavamo nello stesso paese.
Da quel dì trascorse una settimana priva di squilli e di messaggi; da un lato, mi dispiaceva, perché, in cuor mio, avevo l’impressione che si trattasse veramente di una persona interessante da scoprire; dall’ altro, pensavo che questo tipo di relazione, basata semplicemente sullo scambio di alcuni sms, non avesse alcun senso, magari era uno dei tanti che ci provava e trovava in ciò un piacevole passatempo.
Il sabato successivo, approfittando del periodo dei saldi, ero intenta per negozi a fare compere, quando, ad un tratto, sentii un bip.
Aprii la borsa, presi il cellulare e vidi un messaggio ricevuto.
Lo lessi meravigliata – Ciao Lisa, scusa se in questi giorni non mi sono fatto vivo ma sono stato impegnato in situazioni di emergenza in Kosovo. Per i primi di agosto ho ottenuto una settimana di licenza, che nè diresti di vederci di persona?
Ero in preda all’ emozione, nella mia mente trovavano ampio spazio mille domande, non pensavo che si facesse vivo, che mi mandasse un messaggio e, soprattutto, che si ricordasse ancora di me…
Cosa potevo rispondergli, in fondo lo speravo tanto!
Gli inviai un messaggio dicendo che mi richiamasse al rientro per organizzarci meglio.
Così fu fatto. Passammo quasi tutte le sere di quella settimana insieme, trascorremmo anche un intero giorno al mare ma eccoci alla fatidica e ultima sera, piena di emozioni, un susseguirsi di sguardi intensi, come se volessimo imprimere lo sguardo di ciascuno negli occhi dell’altro; di abbracci interminabili, come se non volessimo più staccarci l’uno dalle braccia dell’altro, di baci tenerissimi e un’unica ma indimenticabile notte di passione.
L’ indomani ci salutammo e lui ripartì.
Che dire! Era l’uomo per me, che avevo sempre sognato, brillante in ogni situazione, estremamente intelligente, preparato, con un gran corso di studi alle spalle, serio, determinato, competente nel suo lavoro che svolgeva con tanta passione, con uno spiccato senso dell’umorismo; infatti non mi annoiavo mai di sentirlo raccontare aneddoti e barzellette che ci facevano scoppiare dal ridere e, soprattutto, era dolcissimo. Il suo hobby preferito era quello di scrivere poesie e fu soprannominato da me “il poeta “.
Sembravamo che ci conoscessimo da sempre ed io già lo amavo alla follia.
Ci sentimmo per quasi tutta l’estate, tramite messaggi e telefonate, parlavamo di tutto, dei nostri piccoli problemi quotidiani, ci confidavamo i nostri segreti e, di consueto, ridevamo di buon gusto. Con miei grandi stupore e, al contempo, delusione non ebbi più alcuna notizia di lui, se non quella di apprendere dal nostro amico che Mario non era in grado di ricominciare una nuova storia d’ amore, in quanto da poco aveva chiuso con una ragazza albanese di nome Stella, che non era riuscito ancora a dimenticare e che sarebbe tornato al paese per le vacanze natalizie.
Io ritornai a Prato, vicino a Firenze, dove lavoravo in una scuola statale, come insegnante.
Il tempo passava velocemente tra impegni scolastici, riunioni, corsi di formazione e di aggiornamento ma non bastava tutto ciò a farmi dimenticare il mio poeta o il maresciallo, come l’avevo soprannominato, e il mio cuore era colmo d’ amore.
Natale era alle porte ed il 23 dicembre, ultimo giorno di scuola, partii per il mio paese nel pomeriggio. Nonostante seppi che Mario era lì, non ebbi il coraggio di farmi sentire o, meglio, avevo paura di un suo rifiuto.
Passate tutte le feste in maniera serena in famiglia e tra amici, prolungai il mio periodo di vacanze, purtroppo, per spiacevoli eventi e mi ricordai che il compleanno del maresciallo ricorreva il 12 gennaio.
Volevo a tutti i costi riallacciare i rapporti con lui ma, in sordina, come una persona che cammina in punta di piedi, dopotutto non immaginavo nemmeno se potesse ricordarsi ancora di me.
Mi venne un’idea brillante, volevo stupirlo. Chiamai di mattina il fioraio, dove solitamente mi servivo, e ordinai un mazzo dei suoi fiori preferiti, le rose rosse con un biglietto augurale allegato e glielo feci arrivare direttamente a casa verso mezzogiorno.
Nel tardo pomeriggio ricevetti una telefonata di ringraziamenti da parte sua, dicendo che era stato il regalo più bello che avesse ricevuto in quel giorno.
Parlando del più e del meno, avevo il cuore che mi batteva in gola, ero emozionatissima, tanto da paralizzarmi nel sentire la sua voce così dolce mentre lui colloquiava con me in maniera pacata, senza far trasparire nessuna emozione.
In quel momento mi chiesi se fossi stata una semplice avventura, una sorta di chiodo- scaccia- chiodo per distrarsi dalla storia amorosa albanese che aveva avuto o se avesse provato qualcosa di più importante per me, che poi si era concretizzata in quell’ unica ma intensa settimana passata insieme? Questo dubbio mi tormentò per tutta la sera, quando intorno alla mezzanotte, lessi un suo messaggio: – Le rose le ho fatte mettere in camera mia. Che bello addormentarsi e svegliarsi, guardandole e sentendo il loro profumo, è così rilassante. Prepotenti e gentili, timide e sfacciate, vanitose e modeste, cattive e dolci, un po’ come me, grazie.
Non feci in tempo a rispondere al suo messaggio che né arrivò un secondo.
– Ciao Lisa, so che ti hanno riferito della mia storia con Stella ma ti assicuro che è stata meno importante di quanto tu possa immaginare. Ho bisogno di parlarti con estrema urgenza, i motivi del mio silenzio sono ben altri e voglio che tu li sappia-.
Non sapevo che cosa dire né che cosa fare, ero completamente stordita, come se mi fosse passato un uragano addosso, senza rendermene conto ma apprezzavo la sua sincerità.
Mi chiese un incontro l’indomani al solito bar, vicino a casa sua.
Quando lo vidi ebbi un tuffo al cuore ed il primo impulso fu quello di buttarmi fra le sue braccia ma questa volta non mi sbagliai, la mia impressione fu quella giusta, lui avrebbe fatto lo stesso con me. Fu l’occasione per svestirci del nostro orgoglio e mettere a nudo i nostri sentimenti: ci amavamo.
Ma se ci amavamo, tanto da perderci in lunghi abbracci e baci che avevamo quasi paura di staccarci, perché non potevamo stare insieme?
Ecco il perché. In pratica mi parlò dei suoi progetti futuri, tra i quali io non facevo parte, o meglio, né facevo in parte.
Il maresciallo mi disse che doveva partire per una missione in Afghanistan per un intero anno.
Sentii come se la terra sprofondasse sotto i piedi, una sensazione di vuoto allo stomaco.
Ma aggiunse: – Lisa, non voglio perderti. Una persona dolce, sensibile e speciale come te l’ho sempre cercata e queste occasioni capitano una sola volta. Ti prego, aspettami, voglio che tu sia la donna della mia vita.
In quel momento l’odiavo con tutta me stessa, come poteva chiedermi una cosa del genere.
Infatti, con le lacrime agli occhi, dopo aver discusso animatamente, lo baciai e scappai via da lui forse per sempre.
Quella notte non riuscivo proprio a dormire, mi giravo inutilmente nel letto, ripensando a quello che ci eravamo detti.
Mi resi conto che stavo soffrendo per amore, forse anche lui, perché ad un tratto, arrivò un messaggio, una delle sue poesie, dedicatami con amore.
– I sogni di un bambino, le piume delle ali di un angelo, il velluto delle rose, il candore della neve, il miele delle api, la fierezza di un’aquila, la felicità di una mamma, l’innocenza di una vergine, l’immensità del mare, ciò è quanto ruberei per fartene dono. Ti amo. Mario -.
Nei giorni successivi erano più le volte che il cellulare era spento.
Ogni volta che lo accendevo, in memoria, c’era sempre un suo pensiero dolce per me.
– Ti amo cucciola, come se ci conoscessimo da sempre, come quando facemmo l’amore, come se conoscessi l’odore del tuo respiro, come se avessi visto la profondità dei tuoi occhi, come se avessi ascoltato la poesia del tuo cuore e quando penso a te sono felice, come un bimbo la notte di Natale, come pulcinella a Carnevale, come gli uccellini in un giorno di sole. Le tue rose sono state l’inizio di un incantesimo fatto di lunghe chiacchierate al telefono e da tanto mistero. Ti amo, il nostro amore è come un bambino appena nato, che ancora non vede ma ama sua madre, Noi ci amiamo così.
Ormai eravamo alla fine di gennaio e arrivò l’ultima sera della mia permanenza al paese.
Erano quindici giorni che non sentivo il maresciallo, quello che mi chiedeva era un sacrificio troppo grande e non potevo accontentarlo ma sapevo che doveva ritornare in caserma a Udine, prima di partire definitivamente per l’Afghanistan, l’indomani, nel mio stesso giorno.
I miei amici più cari mi organizzarono una cena a sorpresa in un locale molto carino del paese per un ultimo saluto ma fu tutto fin troppo carino, compreso loro, che mi trattavano come se fossi una bambina a cui non bisognava rovinare la festa. Cosa sapevano che io ignoravo?
Eravamo al momento del dessert, dopo aver gustato una “signora cena “.
Sul tavolo si diede una ripulita per far avanzare un’appetitosa torta. Rimasi esterrefatta e dissi:
– Ragazzi, ma è possibile che abbia dimenticato il compleanno di qualcuno? – . Tutti risero.
Ad un tratto si avvicinò il cameriere con un mazzo di rose rosse.
Lo guardai e dissi: – Credo proprio che abbia sbagliato persona -.
Lui ribadì: – No, signora, è per lei-. Inoltre c’è una persona fuori che l’aspetta -.
Dalla presenza delle rose rosse qualcosa avevo intuito.
Nel bel mezzo del bouchet c’era un biglietto.
Un saggio disse: – La felicità spesso si insinua attraverso una porta che non sapevi di aver lasciato aperta -.
Incitata dagli amici che già sapevano tutto e continuavano a dirmi “Vai, forza, muoviti! “e ad applaudire, uscii fuori e trovai il maresciallo seduto sul bordo della fontana che si trovava al centro del giardino.
Si alzò, ci guardammo, da lontano, intensamente, pochi passi, e ci ritrovammo abbracciati.
Avrei voluto chiedergli tante cose, come, ad esempio, avesse fatto a trovarmi ma, in quel momento, le parole erano superflue, capii solo che non partiva più.
Ci promettemmo amore, amore e ancora amore e che avremmo costruito insieme la nostra favola: quella di una principessa con il suo principe.
Finalmente il nostro sogno si avverò, era scritto nel destino.