Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2025 “Dove comincia il Sempre” di Nabila Cini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

Nel piccolo borgo di Roccaluce, arroccato tra ulivi contorti e muretti a secco, il giorno si apre come un fiore timido. È maggio, e l’aria sa di tigli in fiore, di terra umida e pane appena sfornato. I tetti rossi brillano sotto un cielo ancora incerto, screziato di nuvole leggere che sembrano sospese in attesa. La chiesa di San Martino, antica e silenziosa, si erge con la sua facciata scrostata e dignitosa, accogliendo un giorno che sarà ricordato: il matrimonio di Viola e Matteo.

Viola avanza lungo la navata, ogni passo un battito che risuona tra le colonne. Il vestito bianco ondeggia al ritmo del respiro, leggero e deciso, come lei. Ha gli occhi lucidi, le mani fredde ma ferme. Cammina verso Matteo, ma dentro di sé percorre una strada molto più lunga: fatta di ricordi, paure vinte, sogni cuciti con pazienza. Ogni passo dice: “Sono pronta, anche se tremo.”

Intorno, il paese trattiene il fiato. I volti familiari si piegano in sorrisi, occhi che brillano, mani che si stringono. C’è chi ricorda quando Viola correva scalza per i vicoli, chi ha visto Matteo crescere tra i campi. Tutti sanno che questo amore è nato piano, come le cose vere: tra silenzi condivisi, litigi sinceri, e ritorni che non avevano bisogno di parole.

Matteo la guarda arrivare. Il cuore batte forte, ma resta immobile. Ha le mani sudate, il respiro corto, e un sorriso che gli nasce piano, dagli occhi. Quando Viola gli è vicina, il mondo sfuma. Restano loro due, e il suono quieto di una promessa che sta per prendere voce.

La cerimonia è semplice, ma densa come il profumo dell’ulivo dopo la pioggia. Le parole del sacerdote sono lente, rotonde, e si poggiano sui presenti con la leggerezza delle cose autentiche. I voti, quando arrivano, escono piano, con la voce che trema e lo sguardo fisso. “Ti scelgo,” dicono entrambi, “oggi e ogni giorno che verrà.” Non è solo un giuramento: è un salto nel vuoto fatto insieme.

All’uscita, il cielo si è aperto. Il sole irrompe come un applauso, e i petali lanciati nell’aria danzano tra le risate. I bambini corrono tra le gambe degli invitati, le campane suonano come se volessero raccontare al mondo che qualcosa è cominciato. Viola stringe forte la mano di Matteo. Il presente è un lampo perfetto.

La festa li attende tra le colline, nella villa della zia di Viola, circondata da cipressi e vigne ordinate come preghiere. I tavoli, sotto un pergolato intrecciato di glicine, sono un tripudio di colori e ricordi: tovaglie ricamate a mano, piatti spaiati ma pieni di storie, bottiglie con etichette scritte a penna. Il vento muove le tende leggere, porta con sé l’odore del pane caldo e della terra viva.

Il pranzo scorre tra brindisi e racconti, tra il profumo del basilico e quello della torta al limone. Il cugino suona la fisarmonica, e la sua musica si intreccia al ronzio delle api e alle risate che scoppiano come fuochi d’artificio. Viola e Matteo si sfiorano spesso, con gesti piccoli: una carezza sul polso, uno sguardo che dice “ci sono”.

A un certo punto, Viola si alza. Cammina tra i filari di vite che scendono verso la valle. Il sole si abbassa, tingendo tutto d’oro antico. L’aria profuma di fieno e vento. Cammina per pensare, per sentire tutto quello che le pulsa dentro. Non è solo felicità: è stupore, è gratitudine, è una leggera vertigine. Si ferma, chiude gli occhi, e ascolta il suo respiro mescolarsi a quello del mondo.

Matteo la raggiunge in silenzio. Le si avvicina piano, come si fa con le cose sacre. Le prende la mano senza parlare.

“Ci sei?” chiede, con un filo di voce.

“Sì,” risponde lei, semplice e chiara come il cielo di fine giornata. “E resterò.”

Quando tornano alla festa, il cielo è un manto di stelle timide. Le luci appese agli alberi sembrano lucciole immobili, i passi si fanno più lenti, le voci più basse. Ballano sotto le lanterne, stretti, inciampando e ridendo. Non importa l’eleganza, importa la verità: due corpi che si cercano, due cuori che battono insieme, senza bisogno di parole.

La torta ha una crepa, lo zio Alfredo canta stonato, qualcuno versa il vino sul vestito. Ma è tutto perfetto, proprio perché imperfetto. Perché l’amore vero non ha bisogno di scenografie: ha bisogno di mani che si stringono forte, anche quando tremano.

Quando la festa si spegne e il silenzio torna a riempire la campagna, restano solo loro due. Viola e Matteo, seduti su una panchina di legno, con le scarpe slacciate e il cuore pieno. La notte li avvolge con dolcezza. E in quel buio luminoso, qualcosa si accende dentro: non un fuoco d’artificio, ma una brace che scalda piano. 

È lì, in quel momento sospeso tra ciò che è stato e ciò che sarà, che comincia il sempre.

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1 commento »

  1. Grazie per questo racconto semplice e vero, con tanti spunti su cui riflettere (in particolare la frase finale).
    Da 70enne sposato da più di 35 anni, dico che è proprio vero!

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