Premio Racconti nella Rete 2025 “I piedi di mia madre” di Rita Anna Maria Stella Fantini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025
-Che traffico! Mi soffoca; avrei voluto fare tutto con calma e mi ritrovo a truccarmi qui dentro, ferma ad un semaforo, con quello della macchina a fianco che mi guarda e sorride… Lì, all’incrocio, quell’altro sta telefonando mentre corre come un pazzo!
Odio questa vita che non ho scelto: uno stipendio che serve a pagare il mio diritto a vivere, una macchina scassata dove, ad un semaforo rosso, vi arredo una estemporanea toletta con tanto di specchio retrovisore atto a controllare che il rossetto non sbordi fuori le labbra.
Ed io, anima incerta, intontita dal frastuono di regole che non ho scelto, che cerco la bellezza in ogni cosa, per non affondare.
Cara Mamma, ti vorrei tanto telefonare.
Mi servirebbe sentire la tua voce che è silenziosa da 7 anni.
Basterebbe uno stordimento illusorio: rendere reale e vibrante quello che non potrà mai avverarsi, basterebbe un salto dentro la follia guaritrice di cui nessuno parla mai…
Squilla il cellulare e contemporaneamente scatta il semaforo verde; con un sobbalzo, butto il rossetto nel sedile del passeggero e riprendo a guidare, mentre rispondo come un giocoliere che sbaglia e lancia all’aria i birilli e la sua abilità.
“Pronto, ciao Cri, sto ancora in mezzo al traffico. Stasera andiamo a vederci quel filmetto al cinema? Ok, ci mettiamo d’accordo più tardi”.
La telefonata finisce presto, la mattina parlo poco…e poi stavo pensando a te, Cara Mamma.
Sai che mi è successo poco fa?
Ho sentito che mi sopraggiungeva un pensiero obliquo, che non sapevo bene da dove partisse, strampalato, che si mescolava alla visione veloce della macchina che passava ed il pedone con le scarpe da ginnastica gialle che stava attraversando la strada: mi sono apparsi i tuoi piedi in quella modalità bizzarra con cui li agganciavi l’uno all’altro, quando riposavi nel tuo letto, il pomeriggio.
E ho sentito un dolore come se tu fossi morta mezz’ora fa.
Il pomeriggio mi affacciavo nella tua stanza, e dall’uscio intravedevo i tuoi piedi che navigavano in quella distesa di letto: si annunciavano conserti ed eleganti in quell’aggancio dato dall’incrocio delle tue caviglie.
Riposavi su quel letto, dando le spalle alla porta e piegavi le tue gambe magre, che l’età aveva reso ossute ed angolose, mentre agganciavi la tua mano sotto il cuscino.
Mi soffermavo, intenerita, ad osservare la tua schiena ricurva e morbida che scivolava, senza fretta, sul tuo sedere di donna.
Giravo lentamente intorno al tuo corpo e mi fermavo sui tuoi occhi un po’ strizzati da un sonno necessario.
Avevi delle caviglie strane, che lievemente si allargavano verso il calcagno. Soltanto in te notai quella divertente anomalia.
Nicchiavo su quell’uscio, non so perché, ma mi piaceva guardarti.
Quando ti accorgevi che ero vicina, che frugavo nel tuo sonno, con gli occhi socchiusi, sbiascicavi frasi tipo:” Vai di là, adesso lasciami dormire…fra un po’ mi sveglierò”.
Sorridevo lievemente mentre guardavo il tuo maglione di turno, con rifiniture argentee o dorate, deposto sulla poltrona rosa cipria, accanto al letto. Avevi questa strana esuberanza nel vestire che tendeva ad esprimersi, nel vestiario, con un brio un po’ barocco.
Mi aggiravo per casa oziando felicemente e, nei pomeriggi sonnolenti e grigi dove quella dimora viveva in una penombra silenziosa, nel lungo corridoio che divideva la mia stanza dalla tua, galleggiavano ancora i sapori del pranzo consumato, mescolati ad i profumi immaginari di quello che avresti preparato per cena.
Dalla mia camera ti sapevo lì, poco distante e che non mi saresti ancora sfuggita per le tue giornate di beneficenza che riprendevano intorno alle 5 pomeridiane.
Io ero giovane e tu mi apparivi eterna.
Mi sarebbe giunto, dopo un’ora, un’ora e mezzo, il tuo ciabattare che avanzava verso la cucina.
Quel ritmo confuso dei tuoi passi si mescolava allo scroscio dell’acqua che fuoriusciva dal rubinetto, pronta a tramutarsi in tè di lì a poco ed insieme annunciavano che ci avresti raggiunto per offrirci quel solito infuso su un vassoio lucente.
Facevo il solito gioco: chiudevo la porta della mia stanza, aspettando che tu l’aprissi.
“Mi scusi se l’ho urtata, non volevo”: così mi rivolgo ad un barbone che mi sta venendo incontro sul marciapiede di via Venti Settembre. Lui neanche si accorge di me, mentre io continuo a mangiare un kebab avvolto di pane arabo che sapeva di piadina romagnola.
Cammino frettolosamente lungo la strada principale, trascinandomi una sciarpa che, abbandonatasi per una estremità, ripulisce ben bene il marciapiede.
C’incespico sopra e per poco riesco ad evitare una caduta, inventandomi un saltello da acrobata circense.
Sono sudata sul collo, mi asciugo con l’altro lembo lanoso che è adagiato sulla spalla. Ho lasciato la macchina in un parcheggio tranquillo, ma corro, corro perché, come al solito, sono in ritardo.
Nevrotica e stanca, varco finalmente il “Palazzo con i vetri tutti neri” mentre, con un sincronismo da gara, inghiottisco l’ultimo boccone di kebab.
Entro come una furia, ma vengo bloccata da uno dei custodi in tuta trasparente che espone le sue primizie anatomiche, senza reticenza e mi viene da pensare che li mettono lì per crearci il buon umore.
“Signora, si fermi! Deve aspettare il visto prima di procedere, Poi dovrà passare la prima doccia sasmostica, per poter entrare nel Palazzo. Non ricorda il procedimento?” e con aria spocchiosetta, piroetta quello splendido corpo, reso argenteo dalla tuta trasparente, in direzione di una consolle di pulsanti luminosi e, con disinvoltura, ne preme uno.
Poco dopo, arriva il tizio in tuta blue, con il viso coperto e gli occhi di ghiaccio e vengo affidata alle sue cure. Firma un foglio e mi prende in custodia.
La mia cartella personale è deposta sotto la sua ascella e con fare sbrigativo mi tratta come un’appestata, conducendomi immediatamente nella zona per il trattamento sterilizzante.
Mi spoglio nella solita cabina che sa di sole abbagliante.
Deposito, gli abiti e le scarpe, in una scatola dorata lì a fianco; poi salgo su una pedana leggermente riscaldata e, dalla base, si alza una gettata di vapore caldo così denso che i miei piedi cominciano a scomparire. Continua a salir fino a vestirmi completamente.
Dopo 5 minuti m’incammino verso il corridoio di piastrelle bianche per raggiungere una ulteriore terapia purificatrice: entro dentro una grande sfera e vengo irradiata da una doccia di luce verde che pulisce meglio dell’acqua.
E che sarà mai? Mi fanno sentire sempre una malata di peste bubbonica che, se non verrà “trattata” in tempo, arriverà a contaminare tutto il mondo?
Come al solito sono esagerati. Tutte le volte che entro dentro quel Palazzo, mi depurano il corpo e mi riservano un approccio di “ripulitura” al limite dell’allarmante.
Dopo il trattamento sulla pedana riscaldata e la sfera con la doccia pulsante verde, entro nella cabina 7B ed il mio corpo passa attraverso due rulli che roteano avvolgendomi addosso una garza imbevuta di un liquido trasparente che sembra mi sbianchi un po’ la pelle.
Poi mi lasciano finalmente andare, mentre la garza si slega dal mio corpo, cadendo a terra.
Devono cancellare tutte le tracce della nostra vita fuori di lì, per poi procedere con il “vero trattamento”.
Entro, subito dopo, nell’altra stanza, quella tutta metallica, dove sulla parete di sinistra ci sono tanti pulsanti illuminati di vari colori.
Procedo adagio, dopo che dietro di me si sono richiuse 4 porte a soffietto. Quel sibilo che accompagna la chiusura mi fa pensare che ormai sto in tenuta stagna.
Comincio a sentirmi un’altra persona, mi sembra addirittura di pesare pochissimo, come se l’aria intorno a me mi sollevasse un pochino.
Strano, questa volta comincio a sudare e accuso delle vertigini strane.
Finalmente arrivo nella sala azzurrina, quella più importante, ma, nel” Palazzo dai vetri neri”, ce ne sono disseminate un po’ ovunque.
In queste sale ci sono le piattaforme.
In ogni stanza ce ne sono circa 30. Hanno la sagoma di un sarcofago e, appena ti ci poni frontalmente, si aprono dal centro perché il coperchio si ritrae magicamente fino a scomparire.
Mi accomodo all’interno di una piattaforma.
Dovete sapere che, presa la posizione supina, abbiamo l’urgenza di collegarci a svariati tubi che sono laterali alle pareti della piattaforma e dobbiamo sbrigarci a concludere l’operazione perché c’è una voce esterna, metallica ed impersonale, che ci sollecita a farlo.
La piattaforma, a tal punto, si richiude diventando trasparente e delle telecamere roteanti controllano tutte le nostre attività biofisiche.
Vi è un gran silenzio e poca luce, ci sono già sei persone che dormono con i tubi collegati nella stanza che ho scelto.
Ho il sospetto che ci sono cose che non ci dicono.
Al fianco della mia postazione, vi è un individuo che sta supino nella sua piattaforma e, attraverso il vetro trasparente, mi guarda: fa strani gesti con la testa, come se fosse attraversato da scosse elettriche, ma a tratti mi sorride…forse per tranquillizzarmi.
Ho preso l’abitudine a rimuovere subito quello che non capisco: mi rende la vita più semplice.
I nostri tubi sono rossi trasparenti e dentro ci passa quel rigenerante che serve per non invecchiare, per non morire.
Rimarremo eternamente giovani; saremo giovani insieme ad i nostri figli. I nostri genitori avranno la nostra età, ed anche i nostri nonni, i nostri bisnonni.
Ho chiesto loro se è possibile tornare indietro, per prenderti nel programma, Cara Mamma.
Ormai questo trattamento è collaudato: sono passati 2 anni e non abbiamo avuto effetti collaterali, solo un leggero bruciore alla testa che sopraggiunge la prima sera, dopo il trattamento.
Altro non so.
Mi hanno detto che la situazione più difficile, nel tuo caso, è andare a ritroso nel tempo e riprenderti nella vita, proprio nel momento in cui sei stata per trapassare.
Mi hanno dato grandi speranze.
Hanno voluto tante informazioni su di te, addirittura anche se avevi le vene e le arterie in buono stato.
Forse riescono a riprenderti dalla morte.
Qui dentro camminiamo senza scarpe, sono vietate. I capelli sono superflui, anche i peli: siamo tutti levigatissimi.
Poi ci aspettano 24 ore in cui nessuno ci disturberà.
Quando finirà il trattamento ci riapriranno quelle porte a soffietto e riusciremo a rivedere il cielo, le nuvole, il sole, la luna.
Ritorneremo ad essere fragili, umani, ma aspetteremo con ansia un’atra settimana per poter ripetere il trattamento.
Si, siamo diventati immortali.
Mi hanno detto che stanno lavorando per poter resettare i nostri pensieri quando diventano troppo ingombranti o dolorosi.
Penso che ne approfitterò presto, anche perché il corpo sta in ottima forma, ma la mente non migliora, anzi spesso piango e noto anche di più la discrepanza.
Questa novità, di volerci ripulire i pensieri, diminuirà di molto il dolore della nostra esistenza.
In cambio che vogliono? Non lo so, non abbiamo concordato ancora nulla.
Certe giornate sarei disposta a dare in cambio anche l’anima pur di allentare quella morsa.
Non mi è tutto chiaro.
Ci dicono di portar pazienza perché si stanno organizzando.
L’importante, comunque, è che riescano a recuperarti, Cara Mamma.
Sarebbe proprio bello poterti riabbracciare.
Ho lasciato la tua stanza immutata, non ci vorrebbe molto per risistemarla. Manca solo il letto che ho tolto perché mi ricordava quanto avevi sofferto, ma ci vuole un pomeriggio per rimontarlo nella stessa posizione in cui stava. Anzi te ne comprerò uno nuovo, è meglio.
Ti conoscerei giovane come ti ho visto solo nelle foto.
Riavresti le gambe tornite dei tuoi 20 anni e con papà usciresti la sera per andare a ballare.
Nessuno morirà più, vuoi mettere che non soffrirò più nel pensare ai tuoi piedi?
Interessante il passaggio improvviso dalla quotidianità percorsa dalla nostalgia per la mamma (bello il particolare delle caviglie!) alla ambientazione fantascientifico/futuristica. Mi rimangono due dubbi: gli uomini sono tutti immortali? Ma se è così, perché l’agitazione che si percepisce nella prima parte? E chi ha reso gli uomini immortali? Altri uomini? Alieni?
Grazie per l’attenzione dedicata al mio racconto.
Nello scritto ci sono due temporalità che sono divise da un passaggio di circa due anni: nella prima parte sono ancora mortale ed addolorata dalla morte di mia madre; nella seconda parte sono passati quei due anni che ci hanno regalato l’immortalità…e lì tento di sconfiggere “la Grande Signora” recuperando mia madre, morta appunto prima della rivelazione dell’immortalità.
Ormai da due anni gli uomini sono tutti immortali e chi non è morto, non morirà più. Si sono salvate le tre generazioni dei nonni, genitori e figli ed in alcuni casi anche i bisnonni. E’ difficile il recupero di chi è morto in tempo più remoto.
Chi sono a guidarci? Sembrano alieni, ma siamo noi! Noi che, in questa smania di progresso, abbiamo distrutto la natura nel senso più ampio del termine, e siamo riusciti a snaturalizzare anche la morte, il nostro grande avversario.
C’è chi dirige il gioco del perverso progresso e chi, come me, lo accetta senza capire molto, ma basandosi solo su degli efficaci risultati.
Grazie della risposta!
Due racconti in uno – il primo nostalgico e tenero, il secondo medico fantascientifico – ne viene il disorientamento incuriosito che questa divisione può generare nel lettore, inducendolo ad arrivare fino alla fine (e arrivare fino alla fine, anche nella narrativa breve, non è scontato). Poi, al momento giusto, ecco la magica e armoniosa fusione dei due momenti nel finale, dove si rivelano i sentimenti più veri. È proprio una bella storia questa, pensata e scritta con grande accuratezza e allo stesso tempo senza pedanteria. Si coglie consuetudine alla scrittura, sicuramente nutrita da buone letture e, soprattutto, sorretta da una grande sensibilità (nella seconda parte si avverte, secondo me, anche un sottile filo di ironia). Del resto, se ho letto bene, lei è una poliedrica artista: esprimersi è la sua natura, quale che sia l’arte. Complimenti di cuore
La devo ringraziare:lei è riuscito a spiegare così bene il mio racconto che , alcuni passaggi , mi sono finalmente più chiari. Giuro che è vero! Grazie per aver analizzato ogni cosa con perizia e passione. I suoi pareri sono preziosi, mi creda.?
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Volevo mandarle un fiore , ma mi si traduce tutto in punti interrogativi. Pardon
Gentile Rita, grazie di cuore per il pensiero