Premio Racconti nella Rete 2025 “Lo strano portagioie” di Alessandra Di Graziano
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Bynx non era un demone di alto rango, ma neanche di basso rango; era esattamente del rango necessario per avere i privilegi indispensabili per vivere una vita comoda e scansarsi i disagi più seccanti.
Per questo si era sentito immensamente onorato quando il Signore Supremo dei demoni lo aveva convocato alla sua presenza per assegnargli un incarico speciale: quale onore!
Al suo arrivo, gli venne comunicato che il Signore Supremo dei demoni era stato trattenuto da un’incombenza inattesa, quindi Bynx sedette nella saletta che precedeva la sala del trono, e aspettò.
E aspettò…
E aspettò ancora.
Infine l’udienza non si potè tenere, ma arrivò un funzionario e Bynx ricevette il suo incarico: salire in superificie tra gli umani, infiltrare l’Artefatto che gli era stato affidato in una bottega, e rientrare; l’artefatto, uno strano portagioie, avrebbe dato il via alla fine del mondo. Quindi Bynx fu congedato perché potesse partire per la sua missione.
Arrivato sulla Terra con un travestimento, Bynx aveva percorso le strade fino a trovare la bottega che gli era stata indicata come luogo più idoneo per piantare l’Artefatto. La bottega sembrava un po’ vecchia, decisamente trasandata e, stando al cartello che penzolava da dentro la porta, chiusa. Perfetto, pensò Bynx, e con le sue magie da demone si introdusse nella bottega, lasciò l’Artefatto sullo scaffale che gli sembrò più adeguato, e poi fece rientro negli inferi.
La missione era compiuta, ora rimaneva solo da attendere l’annuncio che la Fine stava avendo inizio.
*****
Carlo era in piedi sconsolato davanti alla porta della bottega, a litigare con il catenaccio semi-arruginito. La morte del vecchio prozio era stata una brutta sorpresa; lo amava molto, malgrado si fossero visti pochissimo da quando Carlo era partito per l’università fuori, ma per quanto avesse amato quella bottega da bambino, e per quanto fosse stato lusingato di essere stato nominato nell’eredità, quella bottega costituiva più un peso che altro. Tasse arretrate, pizzo arretrato da pagare allo strozzino della zona, impianti vecchi e malmessi… Carlo era laureato in economia, ma non sarebbe servita una laurea per capire che quello non sarebbe stato un investimento conveniente.
La cosa più sensata, aveva deciso, era recuperare qualsiasi cosa fosse ancora vendibile, e poteva ancora essercene, visto che lo zio era stato un abile artigiano, metterlo all’asta per coprire le rate arretrate, e magari cedere l’immobile allo strozzino perché ne facesse ciò che voleva, in modo da coprire il debito. Avrebbe tenuto con sè solo qualche pezzo, per ricordo del prozio e per regalarli a sua moglie e sua figlia.
Così dedicò i giorni successivi a catalogare i beni, scoprirne il valore, e preparare le scartoffie per la casa d’aste; era giusto dedito a queste attività, quando rinvenne da uno scaffale una strana scatola: sembrava un portagioie in legno, ma si discostava dalle altre scatole per gioielli realizzate dallo zio, in primis per il fatto di non avere un carillon, in secundis lo stile era decisamente più… gotico, rispetto a quello prediletto dallo zio. Era interamente laccato di nero, con delle zampette artigliate alla base e numerose alcove che contenevano pietre inquietantemente simili ad occhi; lo aprì: non c’era specchio all’interno del coperchio, e l’intero spazio dove sarebbero dovuti andare i gioielli era rivestito di un materiale che a Carlo ricordava in maniera raccapricciante la pelle umana. L’intero oggetto metteva a Carlo un’intensa inquietudine.
Non poteva essere altro che un oggetto commissionato, visto quanto era diverso dallo stile del prozio, ma per quanto avesse cercato tra le carte del negozio, non riuscì a trovare nessun dovumento che si collegasse allo strano portagioie. Decise di metterlo di lato e proseguì con il lavoro di inventario.
Quando tutto il vendbile era stato venduto, le rate erano state saldate, e la proprietà del locale era stata ceduta a tutti gli effetti a Don Maurizio, Carlo torno a casa portando con sé le poche cose che aveva deciso di tenere per la propria famiglia, e lo strano portagioie che continuava a costituire un mistero; nessun artigiano aveva voluto esprimersi sulla fattura peculiare e nessuna casa d’aste aveva voluto venderlo, e tutte le persone che Carlo aveva consultato in merito condividevano con lui il profondo senso di inquietudine che egli provava nei confronti dell’oggetto.
Fu solo dopo aver condiviso i regali e i racconti con sua moglie e sua figlia che Carlo apprese da quest’ultima che la rete pullulava di artisti che si specializzavano in artigianato macabro, dove oggetti del quotidiano venivano scolpiti e modificati in maniera che sembrassero usciti da racconti degni di H.P. Lovecraft; lo chiamavano “Occulto Chic”.
Carlo, che da ragazzo aveva lui stesso amato lui stesso l’occulto e i misteri di Cthulhu e i grandi antichi, lo trovava un po’ eccessivo, e anche se ora aveva trovato un nome allo stile dell’oggetto non si spiegava ancora come un pezzo Occulto Chic fosse finito nella bottega del vecchio prozio. Forse un apprendista eccentrico?
Ad ogni modo non aveva molta importanza, perché non aveva intenzione di tenere in casa quel portagioie un minuto più a lungo del necessario; il cane aveva iniziato a ringhiare alla scatola dal primo istante in cui era entrata in casa, e la cosa poteva diventare ingestibile molto velocemente. Dovendo scegliere tra la scatola e il cane, Carlo decise di mettere la scatola in vendita su E-bay inserendo nei tag tutti i termini suggeriti da sua figlia sull’ Occulto Chic, e dopo appena due giorni la spedì ad un eccentrico cantautore americano; questi si era innamorato a prima vista dell’occetto e gli aveva promesso di dedicargli uno shout-out nel suo programma internet dedicato all’arredamento gotico. Qualunque cosa fosse uno shout-out, Carlo era sollevato che la questione fosse risolta.
*****
Bynx non si capacitava del perché l’annuncio dell’inizio della Fine tardasse così tanto ad arrivare. Aveva ricontrollato meticolosamente e quasi ossessivamente i dettagli della missione per accertarsi di non aver commesso errori e aver messo l’Artefatto al posto giusto, ed ogni volta gli risultava che fosse andato tutto nel modo giusto. La nuova convocazione al cospetto del il Signore Supremo dei demoni lo spaventò molto, perché egli non era noto per perdonare gli errori con clemenza, ma Bynx non poteva rifiutartsi di presenziare, e quindi si presentò.
<<Bynx>> esordì l’imponente figura sul trono.
Se Bynx avesse voluto provare a descrivere la figura non ci sarebbe riuscito, perché il Signore Supremo dei demoni aveva un aspetto in perenne mutamento, e i cambiamenti nell’apparenza avvenivano appena un istante prima che l’osservatore avesse pienamente compreso la forma che gli era apparsa sino a quel momento; l’unica costante era il fatto che fosse IMMENSA in statura.
<<Bynx, sei stato convocato in merito alla tua ultima missione>> echeggiò la voce del Signore Supremo dei demoni.
Bynx deglutì rumorosamente.
<<La tua missione di infiltrare l’Artefatto nel mondo degli umani è stata svolta con diligenza e scrupolo, e dopo un attento vaglio è stato determinato che il fallimento non è dovuto ad una tua mancanza>>.
Dopo un secondo di sgomento, Bynx riuscì a balbettare <<M-ma allora… Signore… a cosa?>>
Gli fu consegnato un plico contenente una copia del rapporto del Dipartimento Affari Infernali: a quanto pare, mentre sua Eccellenza il signore Supremo dei demoni era impegnato con l’incombenza che l’aveva trattenuto prima dell’udienza, quella in cui avrebbe dovuto affidato a Bynx la missione, sulla terra erano trascorsi diversi decenni, l’Artefatto era diventato obsoleto (la malvagità che esso era in grado di sprigionare era diventata ben poca cosa rispetto a quello di cui erano capaci le persone, che ora potevano fare male pure stanco comodamente seduti al pc), e il ricevente designato era deceduto.
<Ma… E la Fine del mondo?>> domandò Bynx
Avrebbero riprovato di nuovo tra qualche decennio, sempre che gli umani non li battessero sul tempo. Sembrava che fossero molto bravi a pensarci da soli.
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Faccio sempre il tifo per i racconti che hanno dentro un’idea, e nella mia testa un’idea è di solito qualcosa di nuovo o, almeno, capace di rinnovare in modo imprevisto e sorprendente una materia pre-esistente. A me sembra che Lo strano portagioie appartenga proprio a questa famiglia, non molto ampia in verità ma per fortuna nemmeno così sguarnita. A mio avviso è proprio una bella storia, che unisce con originalità il terreno all’ultraterreno approdando a una morale pessimista che si può condividere o meno ma che nell’economia del racconto non fa una piega. Ho trovato semplice ed efficace il montaggio in tre parti e ho particolarmente apprezzato la scrittura nitida e scorrevole dove fa capolino un gradevole sentore di ironia. E non basta: ho imparato che esiste l’occulto chic! 🙂
Racconto davvero bello. Originale e con un buon ritmo.