Premio Racconti nella Rete 2025 “L’amico di mio padre” di Rita Anna Maria Stella Fantini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025L’aria della costa normanna francese era sempre stata pungente e lo era anche quel giorno.
Sorseggiavo un caffè americano nel mio solito bar in riva al mare, ed in quel vociferare sommesso e francese, guardavo incuriosita le due coppie e la signora Amelie che facevano colazione, mentre me ne stavo seduta ad un tavolino che sprofondava nella sabbia umida.
Davanti a me appariva un’immensa distesa lucida ed argentea: il velo d’acqua, che affiorava sull’arenile dopo la risacca, si trasformava in quella beatitudine visiva.
Le alghe, sulla costa grigia e ventosa, erano aggrovigliate sulla battigia insieme alle conchiglie madreperlacee e, tutte insieme, ciottolavano allegramente fermandosi nelle reti dei pescatori.
Quella poltiglia marina creava dei grumi ventosi e silenziosi che interrompevano, all’orizzonte, la distesa di renella e mare, dove i gabbiani volteggiavano senza sosta.
Avrei voluto che tutta quella bellezza si fosse ridotta ad un quadro di Turner, dove sarei potuta entrare ed uscire a mio piacimento.
La storia è questa: mi trovavo in Francia, sulla costa d’Alabastro, in un comune che si affaccia sulla Manica. Questo posto dell’anima si chiama Etretat. La mia decisione di trasferirmici la presi poco prima dei miei 60 anni di età ed era passato più o meno un anno.
La prima volta che ci andai, la sua scogliera mi sospese in mezzo al cielo e l’aldilà mi fu spiegato in un istante. Capii che ero salva, che il paradiso era lì e non me ne allontanai più.
Avevo preso in affitto una casa celeste in legno che un vecchio del posto mi aveva ceduto ad un buon prezzo. Quel sogno fatto di due stanze e servizi stava proprio sulla scogliera a cui si accedeva da un sentiero con delle sterpaglie sempre agitate dal vento. Da lì si poteva ammirare una vista mozzafiato e quella strana roccia bucata che spumeggiava nel mare.
La mattina, quando mi svegliavo, venivo avvolta da una luce bianca e un po’ abbagliante che inondava tutta quella piccola dimora. L’acqua calda era un lusso e, dopo essermi lavata con quel freddo che sapeva di bagnato, vestivo abiti semplici e comodi, di colori tenui.
Mi specchiavo molto poco, convinta che bastasse tutto quel riflettermi nel mare di Etretat. Avevo la sensazione che fossi sempre bella con quell’acqua salata, quel vento e quelle conchiglie intorno a me. Forse non mi ero mai sentita così bella.
La mia anima era finalmente uscita allo scoperto e se ne andava appagata in giro, accompagnata da quella brezza eterna.
Raggiungevo, ogni mattina, quel bar che si affacciava sulla riva e, talvolta, qualche onda furiosa raggiungeva i tavoli, le sedie e gli occupanti in un gioco emozionante per noi clienti, pronti a ritrarci per l’occorrenza.
Sebastian era il proprietario di quel luogo e, con un’aria premurosa e riservata, trovava il tempo di accontentare le richieste di tutti i suoi clienti.
Per quel che mi riguardava, si occupava di me ogni mattina preparandomi un caffè lungo con un croissant fatto di burro salato.
Mentre pensavo al nulla, battei le ciglia e tenni gli occhi chiusi: mi venisti in me tu, caro Raimondo. Quanto tempo era passato e chissà come era cambiata la tua vita.
Eri stato l’amico del cuore di mio padre, lo conoscevi da quando eravate ragazzi.
Eravate nati nel ‘40 ed abitavate vicino a via della Chiesa Nuova, in una strada con i sanpietrini ed un portone d’ingresso dove i gatti deponevano, spensierati, le loro urina, riversando quel liquido giallognolo e nauseabondo nella parte sottostante di quella soglia. Nell’oscurità del cortiletto che seguiva, chissà perché, quell’odoraccio appariva più forte.
Ormai cresciuti, da adulti e con le rispettive famiglie, avevate continuato ad incontrarvi.
Tutte le volte il discorso finiva sulla vostra infanzia: di quel carrettino costruito da voi: con quattro ruote sbilenche ed uno spago che faceva da manubrio.
Con quel trabiccolo vi recavate alla sommità di piazzale del Quirinale e poi, con voi a bordo, incoscienti e sghignazzanti, lo lasciavate libero di andare vorticosamente lungo una discesa trascinante e ventosa, che portava fino a via delle Vergini.
Mentre ricordavate quei fatterelli, per una strana malia, ogni volta, perdevate tutti gli anni che avevate conquistato per definirvi adulti e cominciavate a ridere di cuore con gli occhi incollati gli uni negli altri.
Credimi Raimondo, quando scoprimmo di essere innamorati l’uno dell’altro, verso i miei 20 anni ed i tuoi 45, sperai con tutto il mio cuore che i miei genitori non se ne avessero mai ad accorgersene.
“Excusez-moi madame, voulez-vous un autre cafè?” : fui interrotta da Sebastian che mi chiedeva se volevo un altro caffè . “Qui, merci Sebastian: un cafè long et chaud”: risposi di si.
Dove ero rimasta…ah, a quel giorno! E già succede sempre tutto in un giorno qualsiasi, quando nulla ti lascia presagire quello che accadrà, o forse, invece, lo stavi preparando già da un pezzo.
Pioveva da far rumore ed il mio orecchio si stava sgretolando per quel tintinnio esasperante sulla grondaia del garage.
La mamma ti aveva invitato per un dolce appena sfornato in attesa del rientro pomeridiano di papà dal lavoro. Tua moglie ed i tuoi figli erano in settimana bianca e venisti da solo.
Mentre aspettavamo il rientro del genitore, squillò il telefono e mamma andò a rispondere.
Stavo affettando la torta, mi passasti un piatto, ci avvicinammo troppo. Ti sentii dietro di me, ci strusciammo ed avvertii il tuo respiro sul collo.
Mi rigirai ed i nostri occhi sprofondarono in un magma di libidine e bramosia.
Dimenticammo che avevi 25 anni in più, che eri amico di mio padre e che eri sposato.
Quel che venne dopo sa dell’incredibile.
Dio quanto ti amai! Il cuore aveva un affanno strano: avevo un ardimento che sfiorava la cardiopatia e coincideva anche con uno strano sciacquettio nella pancia, quest’ultimo decifrabile con delle farfalle che, leggiadre, svolazzavano nello stomaco: insomma ero troppo felice.
La beatitudine m’invase: tu fosti la mia bussola emotiva ed io non fui mai più felice come allora.
Era banale dirti ti amo perché era una minuzia di quello che sentivo. Guardavo il cielo terso e mi sentivo un’anima senza confini.
Il mio cuore divenne una lente d’ingrandimento, scrutavo le minuzie intorno a te e mi accorsi che anche le tue ciglia mi amavano molto: sottili, allineate e delicatamente socchiuse, in un appagamento ancestrale mentre mi possedevi. Quando ridevi, rimanevo incantata da quella dentatura perfetta; avrei voluto essere ogni tuo dente per nicchiare dentro la tua bocca; avrei desiderato diventare la tua lingua quando mi baciavi, non bastava la mia.
Ci furono notti in cui, scappati nella tua villa di campagna, non volli addormentarmi per non perderti nel sonno. Passammo giorni a letto a fare l’amore, leggere, mangiare e dormire, per poi ricominciare, mentre i miei mi sapevano da una mia amica che non aveva il telefono.
Tic toc, tic toc…..sentivo, però, che eravamo dentro un tempo con una scadenza.
L’orologio si fermò: papà ci scoprì, in un bar al mare di Fregene, mentre stavamo mano nella mano e ci baciavamo a fior di labbra e tutto diventò dolore, un grande ed inesauribile dolore.
Un dolore feroce che aveva un suono: un sibilo perforante che non smetteva più.
Pensai di non farcela.
Tu sparisti e ritornasti nell’integrità della tua famiglia, ed io, per dimostrare che tutto era superato, mi sposai con Tommaso, l’amico di mio cugino, ed in 3 anni avemmo due figli.
Passarono venti anni di matrimonio ed un divorzio, poi i figli laureati, sposati e come regalo una nidiata di nipoti da baciare. Arrivò, poi, la scelta di andarmene a vivere ad Etretat.
Quella mattina, che strano, mi eri tornato alla mente, mentre sorseggiavo il caffè di Sebastian e guardavo i gabbiani che si avviluppavano alle nuvole.
Arrivò, si, arrivò una telefonata con un numero di cellulare sconosciuto e risposi.
“Pronto, sei Rita? Sono Raimondo…” Risposi solo:” Si, sono Rita”. Mi venne in mente….Elle n’est pas possible!
Eri tu, immenso, mai passato, tutto senza il quale ero niente.
L’inizio e la fine di ogni cosa.
Mi ricollegai alla tua anima immediatamente e dimenticai di avere 60 anni e passa, dimenticai perfino di avere dei figli. Dimenticai di essermi sposata. Il mio tempo era fermo a te.
In un mescolio di sensazioni travolgenti, rimasi stordita come da una grande sberla.
“Rita, sto ad Etretat…..desideravo vederti, vuoi?”. La sua voce aveva una leggera increspatura di raucedine, come se fosse guarito da un recente raffreddamento e notai, anche, che gli tremava un po’.
Ero diventata una statua, qualsiasi movimento avrebbe rovinato quell’estasi tanto sperata.
Rimasi così, senza voler cambiare nulla, il tempo si era fermato. C’era ormai “un sempre”.
Poi parlai:” Certo che lo voglio. Dove sei?” Non chiesi come fosse riuscito a sapere dove vivessi.
Quella voce era tutto quello che avevo sempre aspettato e d’un tratto mi rivelò la sua età: per l’ennesima volta mi apparve tremante e catarrosa: era un uomo di quasi 86 anni. Dio mio, chi mi sarei ritrovata davanti? Il tempo passato mi avrebbe demolito tutto quell’amore?
Annaspai cercando di prendere tempo e desiderai, sopra ogni cosa, di poterlo rivedere.
“Dove ti posso incontrare?” incalzò senza rispondermi ed io crollai: scongelai definitivamente quella antica passione.
Gli risposi: “Se vuoi, questa sera possiamo incontrarci al porto: c’è un ristorante molto buono per mangiare le ostriche; si chiama: da Mario e Vivienne”.
Sentii che avrebbe accettato tutto, anche se gli avessi proposto d’incontrarci dentro un bagno di un autogrill con le pareti scrostate.
“Facciamo alle 20?” mi chiese ed io risposi: “Alle 20”.
Non vidi più quella battigia che da tempo curava la mia anima, tutto si era cristallizzato in una immobilità sacra, dove, se avessi osato muovere o dire qualcosa, quell’attimo, atteso da più di 40 anni sarebbe svanito: era questo il mio terrore.
Sebastian mi portò il caffè ordinato. Lo guardai stordita e pensai a te.
Solo quell’essere che ami, conosce come può pizzicare la corda della tua follia: io, che avevo un timone saldo ed una bussola, all’improvviso naufrago e continuo a sbatacchiarmi nella mareggiata grigia e schiumosa, sapendo che mi perderò in un sole cocente ed in un’arsura che preannuncerà la morte.
Passai tutto il tempo che ci divideva a rimescolare abiti e scarpe: niente era abbastanza per quell’incontro. Era aprile e decisi per un abito in lana rosa; i capelli li lasciai liberi e le scarpe con il tacco mi alzarono un po’ l’autostima.
Ti trovai fuori dal ristorante, avvolto da quel vento freddo che sa di subconscio.
“Amore mio, dove sei stato? Come hai fatto a vivere senza di me tutta questa vita? “: furono le prime parole che gli rivolsi, prendendogli quella mano magra ed ossuta, resa fredda dal vento e dalla vecchiaia.
Fosti mio con uno sguardo, riconobbi in te l’uomo che avevo amato più degli altri.
Il tuo viso scavato e meravigliosamente rugoso mi sorrise e cancellò il tempo che c’era stato.
Quella mano strinse forte la mia, con una forza che sapeva di disperazione.
Declinai la testa sulla tua spalla.
“Tu sei stata l’unica”: mi soffiasti così la tua dichiarazione d’amore dentro un orecchio infreddolito.
Entrammo e ci sedemmo in quel ristorante sul porto: gli occhi erano uguali, giovani ed erotici, pronti a sbeffeggiare la tua vecchia faccia che riluceva davanti una candela fiammeggiante.
Mi posasti un bacio sulla guancia e rigirai il viso per baciarti sulla bocca.
Non mi spaventava quello che rimaneva da vivere e che sapeva di vecchiaia.
Ti volli con me per sempre.
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Ci sono delle immagini particolari ed evocative, come “Pioveva da far rumore”
Grazie Marcoleo, sei molto gentile.
Ho trovato questo racconto splendido, molto coinvolgente. L’ho letto con speciale trepidazione, curioso di come poteva andare a finire questa storia d’amore e di vita che ha invano tentato la fuga fino in Normandia. Mi ha anche ricordato un bel film visto di recente, Le occasioni dell’amore. Sì, “L’amico di mio padre” è proprio una bella storia che con la sua scrittura asciutta sfugge con grazia e abilità al rischio di cadere nel mélo. Complimenti 🙂
Grazie Ugo, il tuo commento è stato molto lusinghiero per me. Grazie ancora e vedrò presto il film.?
Pardon: sostituisco il ? Con il !
Molto bello e molta bella l’atmosfera che viene evocata dal continuo dialogo fra questa “donna del mare” e il paesaggio. Io ho creduto a tutto.
Grazie Gianluca, L’ultima frase della tua recensione mi ha commosso. Grazie ancora, veramente.