Premio Racconti nella Rete 2025 “I due gemelli” di Corrado Liberi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025I giudici, gli avvocati, gli investigatori, la gente comune tutti dicono: non esiste un omicidio perfetto.
La storia che vi racconto dimostrerà il contrario
UNO
Erano due gemelli maschi assolutamente omozigoti, come ebbero a confermare i diversi medici che li esaminarono per la eccezionalità dell’evento: l’uno la replica dell’altro. Alla nascita lo stesso peso, uguale il colore degli occhi, nel seguito si constatò la stessa voce, assolutamente identica la dentatura e, a completamento, la medesima voglia color vinaccia appena sopra il pube: stesso diametro, intensità di colore. A rendere ove mai possibile la singolarità, la madre li volle chiamare come i nonni: Giovanni e Giuseppe, così che neppure dalle iniziali dei nomi sarebbe stato possibile distinguerli. Persino negli orari fisiologici erano uguali, che per i primi anni costituì un problema organizzativo. Ovviamente identici anche nei gusti sia nel mangiare che nel vestire.
I bambini mostrarono notevole precocità e coscienza della particolarità che utilizzavano nei giochi, il primo dei quali fu quello di rispondere insieme alla chiamata di uno solo.
A scuola gli insegnanti per evitare confusioni prima li misero in banchi diversi, poi in classi differenti, ma il loro gioco preferito di confondere le persone e i compagni continuò.
Poiché il loro modo di agire avrebbe potuto creare qualche problema nel seguito, furono sottoposti all’analisi delle reazioni cerebrali; il risultato fu sbalorditivo: erano l’uno il clone dell’altro. Si constatò che erano dotati di un coefficiente di intelligenza assai superiore alla norma, il che consentì loro di ottenere ottimi risultati scolastici, laureandosi in ingegneria informatica con il massimo dei voti. Per questo furono immediatamente assunti da due diverse aziende del settore, nella stessa città.
Compresero che avrebbero potuto trarre vantaggio da questa situazione e cominciarono a scambiarsi le informazioni sui progetti delle rispettive società, vantaggi che si concretizzarono in una veloce progressione di carriera ed economici in virtù del reciproco spionaggio industriale: era un gioco senza né vinti né vincitori.
Per uno di quegli strani casi quando una macchina perfetta mostra all’improvviso tutta la sua fragilità, la loro complicità rischiò di essere scoperta. Causa involontaria fu una certa Liza, una impiegata della società con la quale Giovanni ogni tanto andava e cena e dopocena.
I due fratelli, per nascondere la loro parentela, avevano preso alloggio in due differenti quartieri ai lati opposti della città, piuttosto vicini ai rispettivi luoghi di lavoro.
Un giorno che Giovanni aveva invitato a cena una conoscente, quella tal Liza gli chiese di incontrarlo perché aveva urgenza di parlargli di un fatto estremamente importante che poteva avere conseguenze sulla sua carriera. Giovanni, non volendo rinunciare all’appuntamento ma anche conoscere cosa aveva da dirgli Liza di tanto importante, chiese a Giuseppe di andare lui a cena con la ragazza.
Giuseppe si presentò quindi all’appuntamento con Liza, andarono a cena in un ristorante dove né lui né il fratello erano mai stati; poi condusse la ragazza nella propria abitazione che, non essendo quella di Giovanni, provocò la curiosità di Liza. Giuseppe rispose che quello era l’appartamento di un amico, perché nel suo stavano facendo dei lavori. Quella sera Liza non disse nulla su quanto preannunciato per cui l’incontro ebbe termine quasi subito.
Il giorno successivo Liza, incontrando Giovanni gli chiese di quali lavori si trattasse e quello, non sapendo cosa il fratello le avesse raccontato, rimase nel vago. La ragazza, gli disse che era opportuno incontrarsi per parlare di quei gravi fatti che aveva preannunciato. Alle insistenze di Giovanni Liza gli disse che in Azienda correvano voci sulla fedeltà di alcuni dirigenti. Giovanni chiamò subito il fratello riferendogli quanto aveva appena appreso e giunsero alla conclusione che era opportuno chiudere il rapporto con la ragazza. Questa, sospettando che Giovanni avesse un’altra relazione, all’uscita dall’ufficio lo seguì sino all’abitazione. Lo vide entrare e, quando rassicurata stava allontanandosi, lo vide rientrare vestito in modo differente. Restò interdetta e decise di attendere. Dopo un poco vide uscire quello che distinse, solo dall’abbigliamento, quale Giovanni, accompagnato da un clone, che era poi Giuseppe. Decise quindi di seguirli per voler capire. Se nel buio delle strade il volto del clone non si distingueva bene, allorché i due entrarono nel ristorante, in piena luce, rimase di sasso: le uniche differenza tra i due erano i vestiti. Decise quindi che l’indomani Giovanni avrebbe dovuto chiarire.
DUE
Il giorno dopo, infatti, Liza entrò nell’ufficio di Giovanni raccontando quanto aveva visto la sera precedente: le due persone uguali, e chiese chiarimenti collegando anche quanto avvenuto due giorni prima. Giovanni tentò di calmarla e le promise che all’uscita dal lavoro avrebbe saputo tutto. Chiamò poi Giuseppe e convennero che dovevano evitare che il loro segreto venisse conosciuto. Infatti non tanto per la ragazza si dovevano preoccupare ma per le loro posizioni nelle rispettive aziende: se la cosa si fosse conosciuta sarebbe emerso lo scambio di informazioni e le conseguenze non solo economiche ma anche professionali sarebbero state gravissime; lavoravano in aziende multinazionali e per loro nel mondo non ci sarebbe stato più posto. Bisognava quindi eliminare il pericolo. La ragazza, infatti, avrebbe potuto parlare e loro non potevano assolutamente consentirlo. Pensarono di tacitare in qualche misura la ragazza ma il rischio di subire continui ricatti era sempre possibile per cui, con quella freddezza che aveva sempre caratterizzato la loro vita, decisero che l’unica soluzione era quella di eliminarla, assumendo tutte le precauzioni per non essere scoperti. Quindi Giovanni, come d’accordo, invitò Liza a seguirlo dopo l’ufficio nel suo appartamento per il chiarimento. Lì giunti, con incredibile freddezza la strangolò, con la stessa semplicità di un professionista. Giuseppe invece, come convenuto, comprò da un rigattiere un abito da donna; poi, d’accordo con Giovanni e spacciandosi per tale, invitò a cena una amica del fratello, così precostituendogli un alibi. Dopo cena raggiunse Giovanni, che nel frattempo aveva completamente spogliato la ragazza e ne aveva indossato gli abiti e la biancheria intima. Poi i due, in abiti femminili, andarono in un parco vicino all’abitazione di Giovanni, frequentato da prostitute, e finsero di litigare facendosi notare. Poi, separatamente, tornarono nell’abitazione, rivestirono il cadavere della ragazza con i suoi abiti, attesero alcune ore e, verso le tre caricarono il corpo nella macchina per poi scaricarlo in un cespuglio in quello stesso parco senza la borsa e altri elementi che potessero immediatamente identificarla. Per un ulteriore elemento di copertura Giuseppe aveva continuato ad indossare abiti femminili per essere scambiati per una coppia.
TRE
Il corpo di Liza venne rinvenuto al mattino da un ragazzo. I giornali pubblicarono la notizia della scoperta presumendo trattarsi di una prostituta.
In ufficio l’assenza di Liza fu subito notata. Giovanni, quale suo capo, dette disposizioni per la ricerca. Non riuscendo a trovarla a casa le colleghe ne chiesero notizie ai parenti, che vivevano in un’altra città.
Nel frattempo, il Capo della squadra omicidi della Questura, senza un motivo, tendeva ad escludere che si trattasse di una prostituta, comunque, se lo fosse stata, non era tra le frequentatrici di quel parco. Interrogate alcune di quelle, una riferì di un litigio avvenuto la sera prima tra due donne e le parve di riconoscere, dai vestiti, una delle due litiganti. L’autopsia escluse lo stupro e la presenza di segni di un rapporto recente e accertò che la morte era avvenuta per strangolamento non oltre 10 ore prima del rinvenimento quindi tra le 22 e le 24 ad opera quasi certamente di un professionista, tanta era la forza che era stata impressa per il soffocamento. Inoltre nel luogo del rinvenimento non c’erano le benché minime tracce di lotta per cui la ragazza era stata uccisa altrove e poi trasportata lì. Venne poi esaminato il posto dove, secondo le prostitute, era avvenuto il litigio tra le due donne la sera prima ed effettivamente furono trovate impronte di scarpe da donna piuttosto profonde che furono attribuite alla lotta.
Dopo qualche giorno, poiché i parenti di Liza non erano in grado di fornire notizie, l’azienda segnalò la scomparsa alla polizia che, collegando il ritrovamento del cadavere con la descrizione della ragazza, invitò le colleghe per il riconoscimento. La morte della ragazza, come questa era avvenuta ed il luogo del ritrovamento fu doloroso per i parenti e per tutti i colleghi di ufficio: era conosciuta persona seria, aliena da frequentazioni al di fuori dall’ambiente di lavoro, non fidanzati né amanti. La polizia interrogò tutti coloro che avevano avuto rapporti recenti. Venne sentito anche Giovanni che disse di averla invitata a cena qualche sera prima, come del resto faceva a turno con tutte le sue segretarie, non essendo sposato e non volendo cenare da solo. Inoltre, la sera dell’omicidio aveva cenato con una sua conoscenza. I due fatti furono confermati pienamente e Giovanni venne escluso tra i possibili sospettati.
L’inchiesta andò avanti per circa un anno senza alcun risultato per cui venne archiviata. Tuttavia il Capo della Omicidi non era convinto, non solo per il principio che un omicidio deve avere un colpevole, ma perché alcune cose non apparivano logiche: la mancanza dei documenti personali e di una borsa, usata di solito dalle donne. Non era infatti possibile che la ragazza andasse in giro senza documenti, soldi, chiavi di casa specie se lontana dalla propria abitazione. Poi se la borsa fosse stata presa da un ladro certamente avrebbe preso i soldi e forse le chiavi di casa ma avrebbe di certo lasciata la borsa perché costituiva prova del furto. Si chiedeva poi dove andasse, attorno alle 22 da sola in un quartiere lontano dalla propria abitazione: tutto ciò sembrava confermare che era stata uccisa altrove e che il corpo era poi stato abbandonato lì. A questo punto il Giudice, non essendo stati raccolti neppure elementi circostanziali nei confronti di qualcuno, aveva valutato opportuno chiudere le indagini.
In effetti la borsa di Liza con i documenti ed il portafoglio era stata dimenticata nell’appartamento di Giovanni. Se ne accorse qualche tempo dopo la donna delle pulizie che la consegnò a Giovanni che, casualmente e per sua fortuna, era presente così che la donna non ebbe modo di aprirla. Giovanni le disse che era stata dimenticata la sera prima da una sua conoscente che la stava cercando. Un paio di giorni dopo i due fratelli, di sera, la gettarono nel fiume da un ponte nella periferia della città, dove la corrente era più forte.
QUATTRO
Qualche tempo dopo la Società decise di trasferire Giovanni nella propria sede in California. Giuseppe restò in Italia. Di conseguenza tra i due fratelli venne meno ogni occasione di complicità; non solo: i rapporti tra i due si fecero sempre più rari sia per la distanza sia perché nel frattempo Giovanni si era sposato con la figlia del Presidente della Società ed aveva preso la cittadinanza statunitense.
Oltre dieci anni dall’omicidio, a monte della città il fiume venne sbarrato da una diga per una centrale idroelettrica diminuendone la portata. Nel corso di lavori per la pulizia del letto del fiume fu rinvenuta la borsa della ragazza. Sebbene il ritrovamento della borsa non costituisse alcun nuovo elemento per l’individuazione del colpevole, il Capo della Omicidi ottenne dal Giudice il permesso di riaprire le indagini per riesaminare tutte le prove già acquisite e per la ricerca di eventuali altre, anche in relazione allo sviluppo delle tecniche investigative nel frattempo intervenuto.
Il Capo della Omicidi sin dall’inizio aveva avuto la sensazione che il litigio tra le due donne avvenuto nel parco qualche ora prima del rinvenimento del corpo non fosse stata che una comparsata fatta per inserire un elemento di disturbo nelle indagini. Infatti le orme delle scarpe lasciate sul terreno della lite apparivano più profonde rispetto al peso della ragazza; era quindi ipotizzabile che non di donne si trattasse ma di uomini. Tuttavia non poteva essere considerata una prova in quanto non si poteva escludere che si trattasse di due donne robuste. Ma il fatto che convinse il Giudice a riaprire le indagini fu che dal riesame dell’abbigliamento intimo della ragazza venne trovato un DNA maschile, insieme a quello della ragazza, scoperta resa possibile proprio grazie all’evoluzione degli strumenti investigativi. Il Giudice concordò con il Capo della Omicidi che almeno questo dovevano ai familiari della ragazza.
In effetti le nuove prove potevano lasciar intendere che l’uomo che aveva indossato i vestiti della ragazza prima l’aveva uccisa poi con un complice, uomo o donna che fosse, avevano fatto la messa in scena della litigata per crearsi un alibi o quanto meno per confondere gli investigatori. Poi l’assassino, o gli assassini, era rientrato nella casa dove era avvenuto l’omicidio, l’aveva rivestita e trasportata nel luogo dove era stata rinvenuta. Questo avrebbe significato sicuramente la presenza di un complice e che il cadavere era stato trasportato in auto nel parco perché, anche se di notte, fare il percorso a piedi, non si sa quanto lungo, presentava certamente rischi di essere scoperti.
Questa ricostruzione mancava di elementi di certezza sul luogo dell’uccisione e sulla distanza dal parco. Si poteva però pensare che il parco fosse stato scelto perché più vicino al luogo dell’omicidio, ma era solo una supposizione perché la città era grande e che comunque doveva essere stata utilizzata un’auto, quindi limitare la ricerca del luogo del delitto ad una zona prossima a quel parco poteva risultare anche negativa per le indagini.
Da questo ragionamento il Capo della Omicidi tracciò alcuni elementi come linea di indagine: l’omicida era un uomo, trascurò la possibilità del professionista perché la vita della ragazza non dava adito ad omicidio su commissione; certamente un uomo determinato nel compiere il fatto, tanta era la forza impressa nel soffocamento; la presenza di un complice, quasi sicuramente uomo tenuto conto dello spessore delle orme delle scarpe; inoltre il fatto che i tacchi delle scarpe erano penetrati molto più in profondità rispetto alla pianta, lasciava intendere che si trattava di persone abituate a poggiare la pianta ed il tallone insieme, quindi maschi; la distanza dal parco, seppure non molto significativa in quanto, scontato che il cadavere era stato trasportato con un’auto, in effetti anche l’ipotesi di abbandonarlo il più lontano possibile dal luogo del delitto per confondere le indagini era altrettanto valida.
Seguendo questa linea ricostruttiva, andando per esclusione in base ai riferimenti conosciuti, le indagini si concentrarono, chissà per quale oscuro motivo, su Giovanni: uomo; conosceva bene la ragazza; la relativa vicinanza al parco. C’era un solo problema: la sera dell’omicidio era a cena con una sua conoscente; alibi confermato. E poi un ostacolo insuperabile: non poteva essere interrogato sia perché era negli USA (e non c’erano fondi per una trasferta) e poi era cittadino degli Stati Uniti, quindi l’esigenza di una rogatoria, che non sarebbe stata concessa vista la irrilevanza della tesi e la inesistenza di prove circostanziali.
Si vollero nuovamente ascoltare le colleghe di Liza sui rapporti con Giovanni: tutte confermarono che era una persona estremamente corretta, molto gentile che ogni tanto invitava a turno una di loro, che non aveva mai tentato un approccio e che nessuna aveva mai avuto sentore di un rapporto di tipo diverso con Liza. Del resto, aggiunsero, se l’azienda avesse conosciuto l’esistenza di rapporti sentimentali, sarebbero stati presi seri provvedimenti nei suoi confronti. Si interrogò nuovamente la donna che aveva fornito l’alibi per quella sera e che, nonostante il tempo trascorso ricordò che erano andati a cena e poi l’aveva accompagnata a casa in taxi all’incirca alle ventitré. Il Capo della Omicidi volle ricalcolare i tempi: dopo aver accompagnato la ragazza, Giovanni avrebbe dovuto ricontattare Liza, ucciderla, non certamente a casa di lei, andare al parco. Non c’era coincidenza con l’ora della morte. A meno che, pensò sempre il Capo della Omicidi, Liza non fosse stata uccisa da un complice che poi avrebbe atteso il rientro di Giovanni per tutto il resto: mascherata, scena nel parco, rientro a casa, vestizione della ragazza, trasporto al parco. No, era troppo anche per lui e senza uno straccio di prova.
I risultati delle ulteriori indagini vennero consegnati al Giudice che, osservando che il tempo poteva essere stato meglio utilizzato, confermò la precedente archiviazione.
CINQUE
Qualche tempo dopo su un giornale apparve la foto di un congresso di informatica tenutosi in città. Il Capo della Omicidi gli dette una occhiata indifferente ma, prima strabuzzo gli occhi, poi fece un salto sulla poltrona e urlando a gran voce al suo Vice gli mostrò la foto chiedendogli se riconosceva qualcuno. Questi guardò con calma, poi disse che gli ricordava un poco la persona che avevano sospettato essere l’assassino della Liza. Il Capo chiamò immediatamente l’organizzazione del congresso che gli precisò che il cognome era lo stesso ma il nome diverso, che non veniva dagli USA, che era italiano e alle dipendenze di una società svizzera con una sede in quella città. Seguì un momento di sconforto, forte almeno quanto la gioia provata per l’occasione di un nuovo possibile elemento di indagine.
Il suo Vice, più riflessivo, propose: accertiamo se sono parenti, e se sì, se erano entrambi in città all’epoca del delitto. Si trattava di acquisire informazioni per cui non era necessaria alcuna autorizzazione del Giudice e non ci sarebbe voluto molto tempo per avere le risposte. Poi, continuò, se gli esiti fossero stati positivi, si sarebbe potuto chiedere al Giudice un ulteriore supplemento di indagine. Era proprio il termine ulteriore che preoccupava il Capo.
La risposta giunse quasi subito: sì erano fratelli, gemelli; oltre al fratello risultava anche lui presente in città al tempo del delitto. Il Capo della Omicidi andò subito dal Giudice sostenendo che nelle precedenti indagini era stato tutto sbagliato e che l’omicida non era Giovanni ma suo fratello Giuseppe. Il Giudice lo guardò strano, poi gli chiese da dove era uscito fuori questo fratello, come mai in tutto questi anni non se ne erano accorti, eppure non si era mai mosso dalla città; che non bastava per farne subito un sospettato se non un colpevole; che quelle che aveva portato non erano né indizi né prove circostanziali; che non avrebbe mai consentito una caccia alle streghe; che non era giusto riaprire il dolore dei parenti della vittima; che se non era capace di fare il suo mestiere desse le dimissioni; che la riapertura ufficiale delle indagini sarebbe finita sui giornali e che lui non voleva giocarsi la carriera per gli spiriti di rivalsa di un funzionario di polizia incapace; che avrebbe fatto meglio di dedicarsi a tutti quegli altri reati che attendevano ancora la conclusione. Non soggiunse che se era rimasto Vice Questore forse un perché c’era. Concluse che lui non avrebbe mai autorizzato la riapertura delle indagini, che se voleva svolgere delle ricerche per proprio conto non glielo poteva vietare ma che se fosse arrivata qualche denuncia a suo carico, anche per molestie, avrebbe chiesto al Questore di sollevarlo da ogni incarico e aperto un fascicolo contro di lui. Al colloquio era presente il Vice Capo al quale il Giudice chiese di farlo ragionare.
Uscito dall’ufficio del Giudice il Capo della Omicidi ripeteva tra sé a mezza bocca, sufficiente perché il suo Vice lo udisse: eppure è così, è questa la soluzione; è chiaro, non capisco perché il Giudice non se ne convinca. Non è stato quello che sinora abbiamo indagato ma suo fratello, sono uguali, questa uguaglianza ci ha confuso, anche se non conosciamo il collegamento con Liza: forse l’ha conosciuta tramite il fratello. Bisognerebbe accertare dove abitava all’epoca del delitto, se i tempi stimati nella ricostruzione sono giusti. Ma poi chi potrebbe averlo aiutato, perché abbiamo visto che una sola persona non avrebbe potuto trasportare il corpo; suo fratello no perché abbiamo appurato che aveva un alibi di ferro. Se non troviamo il complice non abbiamo niente in mano e io verrò messo in congedo anticipato, almeno finirebbe questa mia ossessione.
Il suo Vice gli fece osservare che intestardirsi su una tesi rivelatasi più volte fallace non portava da nessuna parte. L’unico modo era ripercorrere l’indagine sin dall’inizio sulla base degli elementi raccolti, che era tutto quello di cui si disponeva. Il Capo convenne.
SEI
Il giorno dopo ripresero il fascicolo dell’indagine e cominciarono ad esaminarlo come se fosse stata la prima volta.
La ragazza lavorava nella stessa azienda di Giovanni e non era emerso alcun collegamento del fratello con Liza; Giovanni avrebbe potuto averla presentata a Giuseppe, ma non c’era alcun elemento per poterlo sostenere. Giuseppe avrebbe potuto conoscerla altrimenti, ma questo non aveva alcun senso se non fosse stato provato, e prove al momento non c’erano. Inoltre risultava che Giuseppe da quando era arrivato in città aveva sempre abitato nello stesso appartamento, lontano dalla casa della ragazza e dal parco dove era stato rinvenuto il cadavere. Impossibile poi sostenere che l’omicidio fosse stato compiuto dai due fratelli perché l’alibi di Giovanni lo escludeva.
Dalla rilettura dei documenti nessun nuovo elemento. Qualcosa forse sarebbe potuto emergere se fosse stato possibile interrogare Giuseppe o acquisire il suo DNA, ma questo era impossibile: non c’erano elementi per una simile richiesta e il Giudice non solo non l’avrebbe consentito ma l’avrebbe esonerato a forza dalle indagini. Erano ad un punto morto, per ironia della sorte.
Il suo Vice gli disse che, perso per perso, dovevano rischiare grosso se volevano giungere ad una soluzione. Cioè, chiese il Capo? Troviamo il modo di ottenere il DNA di Giuseppe, rispose il Vice. Sì, e poi che ne facciamo? Formalmente niente, rispose il Vice, però possiamo orientare le indagini su Giuseppe. D’accordo, rispose il Capo, ma come lo prendiamo. Non possiamo certo invitarlo in ufficio e chiederglielo; non possiamo perché l’indagine non è stata riaperta e se quello va dal Giudice noi due diventeremmo ex poliziotti. Evidente che no, disse il Vice. Accertiamoci se fuma, in quel caso basterebbe raccogliere un mozzicone. E che facciamo, disse il Capo, lo pediniamo e poi come i barboni raccogliamo le cicche? Possiamo fare in modo diverso, propose il Vice: lo seguiamo, se entra in un bar e prende un caffè prendiamo la tazzina. Mi sembra che stiamo fantasticando, intervenne il Capo, non siamo né l’FBI né la CIA e neppure nei telefilm polizieschi, quelli prima di tutto sono telefilm e poi non siamo americani. Noi dobbiamo seguire le regole, proseguì il Capo, che nel caso non ci consentono tutto questo. Allora è inutile parlare di ulteriori indagini, disse il Vice, finiamola qui che è meglio per tutti. Beh, replicò il Capo che si era visto annullare ogni possibilità di indagine, però una cosa potremmo fare: cominciamo a seguirlo con molta discrezione, studiamo le sue abitudini, la sua storia, vediamo se riusciamo a ricostruire i suoi movimenti all’epoca dell’omicidio, e se riusciamo a prendere questo benedetto DNA, per quanto ci possa servire. E poi, l’interruppe il Vice, se alla fine non arriviamo a nulla e magari a dover convenire che l’omicidio è stato commesso da altri? Beh, rispose il Capo, allora ci mettiamo, ci metto una pietra sopra e me ne vado in congedo e mi godo la pensione. Poi, riprendendosi, allora al lavoro.
Si decise, all’oscuro del Questore, di servirsi di alcuni agenti della Sezione per studiare Giuseppe: le sue abitudini, le frequentazioni, il passato, l’acquisizione di elementi oggettivi, primo tra i quali il DNA. Si venne a sapere che appena giunto in città prese alloggio nell’appartamento ancora occupato. Non gli si conoscevano particolari amicizie e frequentazioni femminili tranne l’attuale moglie. Sul lavoro, con i dipendenti il comportamento era sempre corretto, ineccepibile. Era persona tenuta in ottima considerazione per le notevoli capacità professionali. Da tempo la Società avrebbe voluto trasferirlo presso la sede in Svizzera ma era opinione comune che la sua resistenza, relativa agli studi dei figli, non sarebbe durata a lungo. Era poi in ottimi rapporti con il presidente del Tribunale, i più importanti Studi legali della città per rapporti di lavoro e con esponenti del mondo imprenditoriale.
La notizia del probabile prossimo trasferimento in Svizzera determinò l’accelerazione delle indagini, per evitare che divenisse irraggiungibile come il fratello. Ottenere una estradizione dalla Svizzera per reati comuni sarebbe stata possibile solo se confortata da prove documentali, ineccepibili, insomma più realiste del re. Le notizie relative alle frequentazioni imposero la massima attenzione e cautela: un errore sarebbe stato fatale per tutti, primo il Questore. Il Capo della Omicidi cominciò a perdere l’entusiasmo iniziale.
La gran parte delle persone ascoltate non conosceva l’esistenza di un fratello ma il Capo pensò che essendo gemelli, per giunta omozigoti, avendo caratteristiche fisiche molto simili probabilmente la gente non era stata in grado di distinguerli.
SETTE
L’acquisizione del DNA fu piuttosto problematica: non fumava per cui venne meno una grossa opportunità. Entrare nel luogo di lavoro impossibile senza un motivo e senza destare sospetti. Una agente gli si avvicinò in un bar e riuscì a prendere la tazzina da cui Giuseppe aveva bevuto il caffè, lasciando tra l’altro senza parole il barista: una ladra di tazzine! Trionfante la consegnò al Capo chiedendo anche un premio. Dopo alcuni giorni risultò che il DNA sulla tazzina non era sovrapponibile a quello rilevato nel vestito: era stata presa la tazzina sbagliata.
A questo punto il Capo riunì la squadra dicendo che se non si fosse trovato il DNA esistevano solo due possibilità: arrestarlo per una infrazione al codice della strada o chiudere tutto. Uno degli investigatori si permise di dire che la prima possibilità non esisteva in quanto il sospettato viaggiava sempre con autista nella macchina della Società e poi non risultava avesse la patente. Il Vice osservò che questa ultima notizia riduceva ancora di più la possibilità di colpevolezza perché veniva meno l’ipotesi del trasporto in auto del cadavere sino al parco.
Passarono altri giorni, nei quali il Capo della Omicidi andava scrivendo e riscrivendo la lettera di dimissioni, quando la agente che aveva portato la tazzina sbagliata entrò nell’ufficio dicendogli che si presentava un’altra possibilità. Ostinatamente aveva continuato a frequentare il bar dove Giuseppe andava a prendere il caffè entrando in confidenza con il barista al quale aveva detto di essere in cerca di lavoro. Il giorno precedente il barista le aveva detto che c’era la possibilità di sostituire, per alcuni giorni, un cameriere malato. La ragazza, per non lasciarsi sfuggire l’occasione aveva subito accettato. Poi di corsa dal Capo per il consenso. Disse che questa volta l’opportunità non le sarebbe sfuggita. Al Capo la cosa non parve vera. Il Giudice sarebbe stato messo al corrente a cose fatte: poi avrebbe deciso lui cosa farne. Il giorno successivo la ragazza si impossessò della tazzina che venne subito portata alla Scientifica per verificare se il DNA era quello rilevato nei vestiti di Liza.
Avutane la certezza il Capo della Omicidi si recò dal Procuratore che lo accompagnò dal Giudice. Costui lo stette ad ascoltare poi, dopo un lungo respiro gli fece osservare che i due fratelli erano gemelli omozigoti e che quindi avevano lo stesso DNA e siccome non poteva accusare due persone dello stesso reato a lui la scelta avendo presente che quello che era in America, che conosceva l’uccisa, che abitava vicino al famoso parco, aveva dimostrato l’impossibilità di avere compiuto il delitto, mentre Giuseppe, non conosceva la ragazza, abitava lontano dal parco, e la ricostruzione dei tempi non lo ponevano nel luogo e nel momento dell’uccisione e, infine, non possedeva né auto né era patentato. Per cui, concluse il Procuratore, tutto sembrerebbe escluderlo Già, disse il Giudice, sembra proprio che debba essere escluso. Però, proseguì il Giudice con l’aria della massima comprensione per quel poveretto e quasi per dargli un contentino, potremmo convocarlo come persona informata sui fatti, il che è in perfetta contraddizione trattandosi di prove circostanziali, dicendo che vogliamo acquisire eventuali ulteriori notizie sui rapporti intercorsi tra suo fratello e l’uccisa.
OTTO
Il giorno dopo il Capo della Omicidi telefonò personalmente a Giuseppe esponendogli l’esigenza di avere informazioni personali sul fratello e chiedendogli se preferiva che andasse lui al suo ufficio o raggiungerlo in Questura, anche per un rispetto della persona trattandosi di cose riservate.
Giuseppe venne accolto con riguardo e fatto accomodare nel salotto del Questore, poi il Capo della Omicidi disse che erano emersi nuovi fatti in merito alla uccisione di Liza sui quali era necessario avere chiarimenti. Gli chiese se sapeva qualcosa dei rapporti tra il fratello e la ragazza.
Giuseppe mostrò stupore. Inizialmente disse di non rammentare molto, anzi quasi nulla essendo passati tanti anni. Del fatto non parlò mai con il fratello in primo luogo perché all’epoca erano alle dipendenze di due aziende tra loro concorrenti e quindi ciascuno legato a patto di riservatezza che impegnava entrambi a non parlare di lavoro per cui avevano deciso di limitare i contatti a casi eccezionali ad evitare che potessero nascere equivoci che potevano determinare anche il licenziamento oltre al pagamento di una forte penale. Quindi, pur avendo sicuramente avuto notizia del fatto per sua notorietà, non aveva avuto necessità di parlarne con il fratello. Alla domanda se avesse mai frequentato l’appartamento del fratello rispose che poteva essere successo solo appena giunto in città ma che certamente suo fratello non era mai entrato nel suo. Del resto all’epoca il lavoro era assai pesante per entrambi per cui non c’erano occasioni. I loro incontri, seppure rari, avvenivano nei ristoranti, essendo entrambi scapoli e con poca voglia di cucinare. Alla domanda se ricordava come avesse trascorso la sera e la notte del giorno del delitto rispose, un poco perplesso, che non poteva ricordare con precisione, ma che assai spesso cenava con la fidanzata, sua attuale moglie, che poi accompagnava a casa. Talvolta dopo la cena andavano al cinema. E poi soggiunse che potevano chiedere a sua moglie che, forse avrebbe potuto ricordare qualcosa. Chiese poi se avessero chiesto a suo fratello che avrebbe potuto dare qualche notizia di aiuto. Se volete, proseguì, posso scrivergli. No, disse il Capo della Omicidi, se lei ci fornisce il suo indirizzo possiamo farlo direttamente noi. Comunque, concluse, la ringrazio per la sua cortesia; le notizie che ci dato sono state interessanti.
Uscito che fu Giuseppe il Vice, che aveva assistito in silenzio, disse che o non sapeva realmente nulla o sa tutto ed è molto furbo. Allo stato, comunque, non abbiamo concluso nulla e penso che sentire la moglie sarebbe non solo inutile ma ci esporrebbe troppo. Inoltre, per saperne qualcosa, dovrebbe essere stata sua complice e questo è ancora meno credibile. Pensi un po’, lui e lei strangolano la ragazza poi lui indossa i vestiti di Liza poi vanno a un parco lontano e mettono in piedi la sceneggiata, poi tornano a casa la rivestono ritornano al parco e abbandonano il corpo. E poi un piccolissimo particolare che annulla tutte le supposizioni: non ha la macchina e non ha mai avuto la patente. No, non regge. E il Capo, in un disperato tentativo disse: e il DNA. Si ricordi, rispose il Vice, che ha un fratello, gemelli omozigoti e quindi con lo stesso DNA. Già, replicò il Capo ma quello prima ha un alibi che abbiamo dato per certo dopo il secondo interrogatorio dell’amica, e poi non lo possiamo sentire perché e cittadino USA e con gli elementi, che non abbiamo, nessuna rogatoria sarà possibile. E allora non ci rimane che una cosa, disse il Vice: scriviamo a Giovanni e gli chiediamo come mai il suo DNA è stato trovato nella biancheria di Liza. Potrebbe non rispondere, ma potrebbe farlo perché noi abbiamo interrogato il fratello, per alleggerirne la posizione, che lui non sa quale sia. Si può sentire cosa ne pensano il Procuratore ed il Giudice. I due non ne vollero sapere di avallare la richiesta che fu inviata a Giovanni precisando che era una richiesta informale alla quale era libero di rispondere o no.
Dopo alcuni mesi giunse una dichiarazione, giurata dinanzi al Console italiano negli USA, nella quale Giovanni, allegando il suo DNA, precisava che alcuni giorni prima che fosse uccisa aveva fatto con Liza un gioco erotico nel quale si erano scambiati i vestiti e gli indumenti intimi. Escludeva in modo categorico che il fratello Giuseppe avesse mai conosciuto la ragazza.
Il Giudice chiamò il Capo della Omicidi e, in presenza del Procuratore, gli intimò di presentargli richiesta ufficiale di chiusura delle indagini. Poi, uscito il Capo, chiamò il Questore e gli consigliò vivamente di metterlo in malattia a causa di un forte esaurimento nervoso e di sollevarlo da ogni incarico per la onorabilità di tutti i funzionari di polizia e della magistratura.
E il caso della ragazza uccisa nel parco fu seppellito tra quelli insoluti.
Il giorno dopo il Capo della Omicidi tirò fuori dal cassetto della scrivania la lettera di dimissioni con effetto immediato e andò a presentarla al Questore.