Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2025 “Giacomo” di Franco Ortenzi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

 

    Il sito era quieto, nelle ore serali il vago richiamo della brezza a quel particolare punto di salsedine, frammisto all’odore dei campi, intonato al ronzio di ordinate moltitudini alate, operose ed effimere, destinate a scandire l’andare del tempo.

    Ei si affacciò al comparire dell’Ottocento, l’immaginazione lontana dal fragore degli eventi, che non udì mai, avvinto di Ilio a quei bastioni, alle ustioni dell’anima, al carcere del corpo, incatenato come una sciarada al profilarsi delle carte, invelate golette in vista, intente a doppiare il promontorio, qualche raro brigantino in rada, neanche due leghe.

    A Marco Polo avrà pensato, a quel modo di tagliare col passato.

    Innumerevoli viaggi intraprese

    Si ritrovò a vagare tra le rovine di Menfi, intento a decifrare antiche incisioni sul dorso dei giganti.

    Affiochì nella notte il rosseggiare dell’immane incendio di  Antiochia,  nel cupo  amaranto  del fuoco  liquefatta, così che egli se ne avvedesse.

    Sovente dissolse il dolore, la stretta dell’ambascia, nell’aria rarefatta dei Giardini di Babilonia, al volgere delle miti e umide stagioni impregnate di rugiada.

    La biblioteca di Alessandria, dischiusa ai suoi passi, lo scibile profanato, quattro volte quattro, dall’arrembare di barbariche torme.

    Dal porto di Cartagine si offrirono, ai sensi bramosi, gli echi purpurei di litanie e canti; viaggiatori e mercanti, itinerari remoti e misteriosi, comparvero.

    Nell’acropoli di Atene, gli antesignani della modernità si avvidero della sua presenza e condivisero l’acume delle sue indagini.

    Fuor da quelle mura dove, seppur recluso, macchinava insurrezioni contro alla malasorte, lambiccando di panacee per le piaghe del vivere, il mondo sfumava nel silenzio dell’indifferenza.

    Così prese a viaggiare, in calesse stavolta, senza costrutto tuttavia.

    Abitò città oscure.

    Giunse a Roma, marmorea e bianca, da sempre immaginata degli avi famosi e il grande impero, si rivelò una fiumana di sterco, imbrattata dai cavalli, corse sfrenate di carrozze, dimore barocche, principi in nero, colletti di princisbecco ricamati, volgare popolaglia, ragazzini affamati, l’invadenza sordida di meretrici d’ogni sorta.

    Si rifugiò a Milano, tra i fumi delle strade ridde concitate, moltitudini affacciate, il balcone sull’Europa: lande remote distanti e sconfinate.

    Riparò a Bologna, tra torri e salotti, conobbe una signora amante di carmi galeotti; lo buttarono fuori senza troppi complimenti – lo storpio – impudente collezionista di ripulse e fallimenti.

     Florentia l’accolse, il conciliabolo dei poeti lo avvolse, muliebri lusinghe, solo intravvedute meteore; il clima fu mite ma, come l’affetto di una bella dama mutevole; abbandonato si guardò allo specchio.

    Ovunque bigotte consorterie si presentarono, invadenti, in quei giorni, in quei luoghi, agghindate di salamelecchi, disinteressate ai suoi proponimenti.

    Tra muri tetri di oscuri quartieri, rinvenne solo incarichi polverosi, stracolmi di scartoffie, un freddo insopportabile, la muffa della storia, carampane con le cuffie ricamate di merletto, patrioti profumati di confetto, azzimati e avvezzi a tutti i generi di pettegolezzi.

    Abituato a discorrere nell’erboso Perìpato con Aristotele e Platone, trovò sempre un po’ noioso quel tipo di conversazione.

    Finalement comme Charles VIII de Valois, il rentra à la maison, les liasons dangereuses le captivèrent encore une fois.

    Riprese il filo nella considerazione delle cose; alla schiavitù della ragione non si oppose e, sopraffatto e sconfitto, si arrese alla tragica e irriguardosa immanenza della realtà.

    Alle amate avventure storiche dell’animo volle daccapo dedicarsi, ma i contorni dell’esistenza, nel frattempo, si erano rivelati e l’entusiasmo svanì.

    Constatò ancora una volta quanto sciocchi e stolti fossero gli uomini, di allora e d’oggi, vittime di inganni aperti e noti, e quanto le favole antiche illusorie fossero.

    Come sempre, la natura parlò senza svelarsi, e le finestre spalancate sulle sue prospettazioni egli serrò, solo e rinchiuso nelle avite stanze.

    Ancora una volta si erano dileguati i sogni leggiadri della giovinezza.

    Nuovamente spuntò il sole risplendente sulle sciagure umane, gelido e distante.

    Bello il tuo manto o divo cielo, se non che preludi la notte orribile, concluse.

In breve si ritrovò morto di rabbia, di noia e di malinconia, avvinto dalla usata prigionia.

 Disdegnando e fremendo si ribellò a quel vivere: desiderò l’abisso orrendo e immenso, il silenzio nudo, la quiete altissima.

     Annegò nel buio; avvertì la fine siccome cadere di cosa grave nell’acqua; l’ultimo sguardo di là della siepe: un campo verde che lontan sorrida.

 

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