Premio Racconti nella Rete 2025 “Positano” di Mario Penzo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Io e mio padre arrivammo a Positano in torpedone nel tardo pomeriggio di un giorno di inizio estate del 1964, il sole stava calando e si rifletteva caldo e luminoso sulle case abbarbicate alla montagna formando zone d’ombra o di luce a seconda del colore degli intonaci, dell’angolatura dei giardini o dei terrazzi e della ricca e variopinta vegetazione.
la valigia, seppur piccola mi pesava come un macigno, perché io li non ci sarei voluto andare e l’idea di passare anche solo un breve periodo a casa di una vecchia signora sconosciuta, vedova ……e per giunta Contessa, fra persone che non conoscevo ed in un luogo che mi era estraneo, non mi andava proprio.
E’ vero, ci sarebbero stati il mare che ho sempre amato, la libertà con un po’ di soldi in tasca, l’assenza di mio padre che poteva essere una occasione per diciamo …… esplorare le notti di quella calda estate ma al momento questo non era sufficiente a stemperare il mio malumore. Avevo lasciato Venezia, la capanna alla spiaggia delle 4 Fontane al Lido, tutti i miei amici, ero davvero incazzato e nemmeno il primo viaggio in aereo della mia vita, da Venezia a Roma era riuscito a cambiarmi l’umore.
Questo però era quello che dicevo e solo un po pensavo, in realtà sentivo dentro di me una strana eccitazione, un prurito mai provato, una voglia prepotente di tuffarmi dentro qualcosa di più grande di me.
Il viaggio in aeroplano , un quadrimotore ad elica Alitalia che poteva contenere si e no una quarantina di persone ,la permanenza in Hotel a Roma nei pressi di Piazza della Repubblica ( che mio padre si ostinava a chiamare col vecchio nome di Pazza Esedra) , la possibilità di esplorare da solo, mio padre aveva impegni di lavoro, quella Città sconosciuta e meravigliosa , la scoperta di angoli infinitamente belli, il trascorrere mattinate intere a Campo dei fiori quando c’erano davvero i fiori seduto al tavolo di un bar dove davanti a me passava metà del mondo , o a Santa Maria di Trastevere dove passava l’altra metà, mi avevano dato per la prima volta nella vita la consapevolezza di quanto bello fosse il mondo e di quante cose avrei potuto vedere e amare, a Positano dalla Contessa però continuavo a dire di non volerci andare.
All’arrivo trovammo ad attenderci un vecchietto o almeno a me sembrava vecchio anche se probabilmente non superava la cinquantina, indossava una canottiera di un colore indefinito , pantaloncini corti di tela blu , era a piedi nudi, abbronzato e con la pelle che sembrava quella degli elefanti che avevo visto al circo , salutò mio padre con un inchino farfugliando , insieme al suo nome “Uccio “ qualche parola di benvenuto e mi tolse energicamente di mano la valigia : Prego seguitemi, faccio strada ma facciamo in fretta che devo andare in mare a lavorare.
Positano era sotto di noi, la luce del sole che attraversava le strade, i giardini ed i terrazzi era quasi accecante ed io passo dopo passo cominciai a rivedere la situazione in un’altra ottica, continuavo ad essere incazzato con mio padre perché non capivo il motivo per il quale aveva deciso di portarmi con se in questo viaggio invece di lasciarmi tranquillamente al Lido, in spiaggia nella mia adorata capanna numero 33 ma capivo però che la mia incazzatura si stava sciogliendo come neve al sole al cospetto di tanta bellezza.
In quel momento mi sfuggiva il perché di quel viaggio ma, come al solito, avrei capito solo anni dopo.
Una estate in famiglia, dopo che nei primi mesi dell’anno se ne erano andati prima lo zio Pici e poi la nonna Carlotta non sarebbe stata per me il massimo e mio padre aveva deciso di portarmi con lui proprio per togliermi da quella atmosfera di dolore che regnava in casa nostra.
Tutto molto semplice ma non per un adolescente!!
Positano, quei colori, quegli odori e quel sole accecante ci impiegarono pochi minuti ad abbagliarmi gli occhi ed il cuore.
A metà montagna ed a poche centinaia di metri dal mare c’era la casa di Donna Amalia Contessa di…non ricordo cosa, buona amica di mio padre vedovo anche lui già da molti anni. “Ma che bello guaglione, come ti sei fatto grande…a zia…….fatti vedere!!!“
Alta, non così vecchia come avevo pensato, profumatissima elegante, aveva le giuste misure da padrona di casa, quando ti abbracciava e immergevi la faccia fra i suoi seni ti sembrava di tuffarti fra due cuscini accoglienti e profumati e, se non fosse stato per il dolore che il medaglione con la foto del defunto Conte marito mi procurava all’orecchio sarei rimasto là in mezzo per sempre.
Segno del destino? Non lo so !! ma da quel giorno se penso a come deve essere il corpo di donna la prima cosa che mi viene in mente sono quei due cuscini accoglienti e rassicuranti.
“Trasite!!!..trasite………….Concettaaa, vieni a prendere i bagagli e porta una limonata fresca a questo guaglione, ti faremo vedere la tua stanza e vedrai che qui ti troverai bene.”
Mio padre si chiuse nello studio con Donna Amalia ed io rimasi solo con Concetta in quella enorme casa che da una parte abbracciava la montagna, dall’altra guardava il mare e mi infondeva sicurezza. Il giorno seguente partendo e prima di salire sulla macchina che lo avrebbe portato all’ aeroporto di Napoli mi consegnò una busta che conteneva del denaro e Donna Amalia, con due parole, pose un ulteriore e fondamentale tassello alla mia allora precaria conoscenza del bel mondo spiegandomi che io sarei stato suo ospite e che i soldi che mio padre mi aveva dato, nella buona società si chiamavano, “argent de poche” che significava denaro per le piccole spese.
Era la prima volta che rimanevo da solo lontano da casa e calcolato ad occhio e croce l’ammontare dell’ argent de poche che spuntava dalla busta capii che non me la sarei passata poi tanto male, in fondo pensai che il vecchio, a lasciarmi a Positano avesse fatto proprio una bella pensata e ,mentre la Lancia Flaminia che portava mio padre chissà dove si allontanava, con la voglia di avventura, con l’incoscienza dei miei 17 anni e con Uccio sempre appiccicato alle costole mi incamminai per la discesa che portava prima a casa della Contessa Amalia per la cena, poi al mare e poi chissà……………….
Mitico Uccio, mite malandato e silenzioso, Uccio che ha tentato senza risultato di insegnarmi a catturare i polipi con le mani, che mi ha presentato le ragazze che si potevano avvicinare, che mi ha segnalato quelle irraggiungibili e che in fine mi ha indicato in gran segreto i personaggi del paese che erano stati incaricati da Donna Amalia, seppur con discrezione, di sorvegliarmi.
In poco tempo, con il suo aiuto diventai informatissimo sui fatti del paese, appresi, i segreti, i vizi, i nomi dei cornuti, quelli delle signore e signorine …diciamo leggere, i nomi di chi pescava bene, i nomi di quelli dei quali mi sarei potuto fidare, i nomi dei commercianti ladri e di quelli bravi.
Signurì, per Pasquale Scardillo fornaio, io mi butto nel fuoco ….diceva!!!!!!
Ciao Uccio, ovunque tu sia.
Quella prima sera a Positano, dopo cena, andai nella mia camera con l’intenzione di cambiarmi per uscire ed iniziare alla grande la mia avventura ma, la stanchezza del viaggio e le emozioni che avevo provato mi giocarono un brutto scherzo facendomi addormentare quasi subito sul piccolo divano davanti ad una finestra dalla quale entravano una brezza fresca, il profumo dei fiori, il chiacchierio della strada ed il rumore del mare.
Fui svegliato verso le due di notte dalla musica che proveniva dalla spiaggia dove si scorgevano piccoli falò e gruppi di persone che sembravano divertirsi.
Con un pò di rimpianto per non essere li ma ripromettendomi che ci sarei andato la sera successiva mi spostai dal divano al grande letto, sistemai la zanzariera e mi addormentai quasi subito. In quel momento ero un piccolo Re e lo sapevo.
Una luce accecante ed una sconosciuta mi svegliarono:
“Signorino Mario la colazione è pronta e Donna Amalia vi sta aspettando!!!”
Non era la voce di Concetta, la cameriera che avevo conosciuto il giorno prima ma una voce più squillante energica fresca e giovanile, aprii gli occhi e vidi di fronte a me una giovane donna con un sorriso smagliante e due occhi scuri e profondi.
“Sono Assuntina Signorino la governante di casa e vi consiglio di non far attendere troppo Donna Amalia perché “chilla” sembra buona ma è meglio non farla incazzare perché non tiene molta pazienza”.
“Assuntina, per favore, non mi chiamare signorino …
E come vi devo chiamare?
Il mio nome è Mario…
Non posso signorino, donna Amalia mi ha detto di chiamarla signorino perché gli uomini, anche quelli giovani come lei se gli dai la confidenza poi se la prendono tutta.
Ok va bene signorino !!!!! ma allora anche io ti chiamerò signorina……………….
Noo… Signorino Mario io sono signora, sono sposata e tengo pure due gemelli di tre anni Ciro e Amelio,
allora ti chiamerò Signora,
Assuntina arrossì, appoggiò lievemente la mano sulla mia spalla e se ne andò di corsa.
Minuti 9 e secondi 3 ……ero a tavola lavato e pettinato, Donna Amalia mi ispezionò come un Sergente di giornata fa con le reclute, la salutai e mi avventai sulla colazione che faceva bella mostra sul tavolo della terrazza, era il mio inizio, entravo nel mondo e lo facevo con entusiasmo, curiosità ed una voglia matta di vivere.
Di quella mia breve vacanza , di Donna Amalia e della sua cortesia e complicità, di Uccio , di Concetta, della pesca con la lampara ,delle serate in riva al mare con altri ragazzi e ragazze, delle prime volte in cui il mio cuore batte’ all’impazzata, degli occhi di Assuntina pieni di promesse mai mantenute , del sarto che in tre ore ti confezionava su misura un paio di pantaloni di gabardine di cotone per 500 Lire, del calzolaio che ti faceva i sandali “ alla schiava “su misura in 20 minuti ,del ristorante Chez Blak sul mare in fondo alla scalinata a destra , sempre pieno di stranieri di tutte le nazionalità che scendevano dalle loro barche per cenare , del figlio cinquantenne di Donna Amalia, nulla facente che dell’Italia conosceva solo le località dove c’era un Casinò , grande cruccio della madre che pur di non andare a lavorare negli USA nella azienda della famiglia del padre, si era iscritto al Partito Comunista per farsi rifiutare il visto di ingesso dagli americani (allora la politica estera funzionava così), dei profumi di quel giardino , dei tanti volti delle persone che conobbi e della loro gentilezza , dei grandi amori solo immaginati o sognati che duravano per un caldo pomeriggio conservo ancora un ricordo vivissimo, a volte allegro più spesso ,col passare degli anni struggente e malinconico.
A Positano ci sono tornato molte altre volte, ho rivisto luoghi, ogni volta ho riprovato vecchie sensazioni ed emozioni, mi è perfino parso di riconoscere volti e persone ma mi è sempre mancato il coraggio di chiedere informazioni su coloro che ho conosciuto e che ancor oggi occupano uno spazio nel mio cuore.
Ho preferito conservare intatto il ricordo ed ho rifiutato, come spesso è capitato nella mia vita di scambiarlo con la realtà; una realtà che temevo sarebbe stata più dura, più dolorosa, più triste.
Di quelle persone, di quella casa, del profumo dei fiori, di tutti coloro che ho conosciuto, frequentato e perché no, anche in qualche modo amato non mi resta che un dolce e intimo ricordo.
![]()
Bella questa mini ricerca del tempo perduto, scritta con passione e partecipazione, afferrando i ricordi a mano a mano che si presentano e sistemandoli bene, lì, in una sorta di presepio della memoria, come statuine ma vibranti di vita. Sembra di vederli quei luoghi e quelle persone e credo che a ogni lettore, leggendo, sovvengano ricordi simili, esperienze che hanno lasciato un’impronta nella vita nel suo momento più aperto e pronto al mondo. Trovo che questo sia un racconto che coinvolge, perché narrando di una persona riaccende la memoria di molte, un fatto per niente scontato. Mi è piaciuto molto.