Premio Racconti nella Rete 2025 “La Strana Creatura Fagocitante” di Tommaso Centra
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Sono sdraiato sul mio letto. Fuori è una bella giornata. Sento le voci di persone allegre che si confondono con il traffico e il canto argenteo degli usignoli, elegantemente appollaiati sui rami degli alberi. Un raggio di luce sfiora di taglio le mie persiane; un pezzetto di Sole fa capolino e scalda la stanza. Abito vicino al parco, e al naso mi arriva una timida fragranza dei fiori in fiore: percepisco rosa, gelsomino, lavanda e peonia. La primavera è finalmente arrivata.
Vorrei uscire, chiamare le mie amicizie, organizzarmi per sdraiarci sul prato e collezionare le margherite più belle. Vorrei alzarmi, ma sono sdraiato sul letto.
Sopra di me c’è una strana creatura, difficile da decifrare. Non ha una forma ben precisa: non ha né braccia né gambe, solo un torso color nero carbone e una testa. Dalla testa spicca una bocca grande, enorme.
Mi sta mangiando. Sta lentamente consumando la mia essenza: i miei ricordi felici, i miei sogni, i legami che ho creato. E la cosa peggiore è che non mi sento triste o disperato, solo insensibile. La mia testa è gonfia e dentro frullano tutte le mie emozioni, inghiottite in un mare di nebbia.
E mente questo buco nero mi divora, io dimentico chi sono.
Sto per lasciare andare. Tra poco il demone avrà la meglio su di me e diventerò l’ombra di me stesso.
Stranamente, un ricordo mi balena in testa. È mio nonno, che taglia le pesche e le mette nel vino. Di seguito un altro: è mia madre, che sorride mentre gioco con i suoi capelli. Ed ecco il terzo: è mio fratello, raggiante di gioia perché lo sono andato a prendere a scuola.
La creatura è pesantissima, ma con un colpo di reni riesco a dimenarmi sul fianco sinistro. Faccio lo stesso movimento, stavolta a destra. La creatura si è leggermente spostata.
Ripeto la coreografia più e più volte, all’infinito, per poco non rischio di svenire.
La creatura continua a fagocitare, ma almeno adesso ha un oppositore.
Non so quanto tempo passerà prima che mi alzi dal letto, prima che riveda il Sole per intero. Tutto ciò che so è che il mostro vuole che stia fermo, quindi io mi muovo.
Ho anche dato un nome alla creatura: Disturbo.
Non so quando, ma so che ne uscirò.
I miei legami mi ricordano il valore della resilienza. E io lotterò finché avrò fiato in corpo.
Bello questo incubo! E “Disturbo” è un nome perfetto, che apre a più di un’interpretazione. Può essere qualcosa di interiore, uno di quei mostri che in tanti portiamo dentro e che dobbiamo tenere a bada, ognuno con la “coreografia” che meglio gli riesce. Io ci vedo anche l’allegoria del nostro vivere contemporaneo, che sembra fagocitarci privandoci di ogni cosa, rosicchiandoci fino alla nostra umanità. Bel racconto, sinceramente. Complimenti!