Premio Racconti nella Rete 2025 “Bastardo milanista” di Stefano Acquario
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025– Bastardo milanista!
-Eh?
-Bastardo milanista!
-Cosa? – urlo al ragazzo che si trova all’altra estremità del piazzale degli autobus.
Il ragazzo comincia a correre verso di me, gridando qualcosa che non capisco. Secondo le leggi della prospettiva si ingrandisce sempre di più e riesco a misurarne a occhio le dimensioni, intorno ai due metri. Sembra arrabbiato e ora capisco cosa sta dicendo.
-Bastardo milanista! Bastardo milanista!
Mi è addosso.
-Bastardo milanista! – e mi dà un calcio sul fianco sinistro. Tenta di colpirmi con altri calci che riesco a evitare. Comincia allora a tirare dei pugni ma sbracciando in modo scomposto. E impreciso, per mia fortuna. Indietreggio, continuando a tenere in una mano la mia valigetta di plastica, rossa e nera, e nell’altra il biglietto dell’autobus. Non capisco. Vorrei dirgli “ma sei matto?” ma dalla mia bocca non esce nulla. Mi colpisce alla tempia. È doloroso, sento il cervello spostarsi dentro la scatola cranica. Allora scappo, e lui dietro a me. Corro verso la casetta di legno dell’ATAC e mi rifugio dentro, passando in mezzo a due autisti corpulenti.
-Quello ce l’ha con me- dico per giustificarmi.
Il picchiatore arriva subito dopo e sposta i due ciccioni davanti all’ ingresso come delle tende, che riescono soltanto a trattenerlo dall’entrare interamente nel gabbiotto. Allora stende il braccio e mi afferra il collo, che sta tutto nella sua mano.
-Bastardo milanista! – e mi schiaccia contro la parete.
Non riesco a respirare, il nero è entrato nei miei occhi.
La figurina della squadra del Milan è nella mano dell’altro bambino e me la offre in cambio di quella di Mazzola, in fin dei conti gli sembra uno scambio equo. Rispondo al tifoso interista che non mi interessa, è un doppione. E poi la pagina del Milan nel mio album è completa. Tutte le figurine e le facce dei calciatori rossoneri sono al loro posto, con quelle foto che sembrano colorate successivamente come i vecchi film in bianco e nero. Anche la pagina della Juventus, la mia squadra, è completa. È quella che ho finito per prima e non capisco perché l’altro bambino insista. Lo scambio di figurine è un buon momento della vita in collegio. Dopo la scuola al mattino e i compiti del pomeriggio, facciamo merenda al piano sotterraneo dove si trovano gli armadietti con alcune cibarie lasciate dai parenti dei bambini, anche se alcuni sono orfani e la merenda gliela passano le suore. Mia madre mi mette spesso nel cestino dell’armadietto delle banane che però dopo pochi giorni sono nere fuori e dentro, e mi fanno molta impressione. A volte ci danno una fetta di pane con dello zucchero sopra ed è un gioco divertente sentire sotto i denti lo scrocchiare di quello strano cibo che a noi sembra molto prezioso. Ci lasciano in cortile per tutto il restante pomeriggio e quelle sono le ore migliori. Non ci sono palle per giocare a calcio ma c’è il calciobalilla e quando suor Paola ci porta la pallina è uno scoppio di entusiasmo generale. Ci sono anche i giochi con i materiali naturali come quello della Mamma e dei Figli, fatto con i sassi della ghiaia del giardino. Si prende una pietra più grossa, la mamma, e alcuni sassolini che sono i figli, si lancia in aria la Mamma e prima che ricada nella mano si afferra un figlio. Poi si lanciano la madre e il primogenito e si cerca di prendere un altro figlioletto. E così via, fino a quando non è più possibile lanciare la madre e tutti quei figli senza farne cadere qualcuno. I giochi più preziosi che fanno di te un campione o una schiappa sono però quelli con le figurine. Le figurine si possono scambiare soltanto se ne hai un numero adeguato e cioè hai doppioni per l’uso, quindi la priorità è vincerne il maggior numero possibile. E’ vietato tenere in collegio l’album delle figurine e altri oggetti personali, a parte la biancheria e gli asciugamani che sono personali, con un numero cucito in un angolo per distinguerli da quelli degli altri. Il mio numero è il sette. Comunque, le pagine dell’album che ho a casa me le ricordo a memoria. I modi per vincere altre figurine sono vari, come farle cadere dall’alto e quella che si posa sopra una o più figurine le vince tutte, o lanciarle verso un muro con quella che si avvicina di più alla parete e prende le altre. Questo è l’intervallo di pace e allegria moderata tra quelle mura di Moncalieri. Tutto il resto è un continuo ricacciare dentro di sé la tristezza delle giornate trascorse in quel luogo. I momenti più difficili sono al mattino e alla sera. I miei genitori possono scegliere di riportarmi in collegio la domenica sera o il lunedì mattina. All’inizio della settimana quella che prevale è la preoccupazione di arrivare a lezione già iniziata, ma la maestra Annamaria è sempre molto comprensiva e affettuosa nei miei confronti. Questa ansia mattutina è compensata ampiamente dalla seconda notte, quella che riesco a strappare nella mia licenza dal carcere del fine settimana. Quella notte supplementare la trascorro felice ma sempre con la sensazione di fare qualcosa di illecito. Quando invece mi riportano in prigione all’imbrunire, il peso del distacco da mia madre si fa insopportabile. Non capisco. Lei mi tiene per mano e mi da in consegna alla suora che, facendomi camminare davanti a sé, quasi mi spinge dentro l’edificio. Le luci basse per risparmiare del refettorio a cena precedono la quasi oscurità della camerata dove decine di lettini in metallo ci aspettano per dormire tra le loro sbarre. C’è soltanto una lampadina al centro dello stanzone e alcuni letti sono al di là della parte coperta dalla luce. Quando vado a dormire provo pena per quei bambini che vivono nel buio. Vorrei aiutarli ma ho paura e rimango nella mia area protetta se pur da un flebile chiarore.
Ogni tanto anche una serata può essere bella: è la serata del cinema. Al piano sotterraneo c’è una sala proiezione. I film di avventura sono i miei preferiti ma quello che mi ha dato un qualcosa di simile alla speranza, oltre a tante fantasie, è stato un film su due sorelle. Le due gemelle si incontrano per caso in un campo estivo, figlie di genitori divorziati e separate da piccole, ognuna ignara dell’esistenza dell’altra. Decidono di scambiarsi nel ritornare dai rispettivi genitori, a loro insaputa, riuscendo alla fine a farli rimettere insieme. Dio, che felicità mi ha dato quel film. La sera sono andato a dormire, immaginandomi di avere un fratello gemello. No, non per scambiarci, ma per sentirmi in quella grande stanza meno solo in mezzo a tutti quei bambini soli.
Una volta ho organizzato con altri bambini una fuga dall’Istituto. Per diversi giorni ne abbiamo parlato in refettorio e in cortile. In realtà era un piano molto semplice. Dovevamo alzarci di nascosto nella notte e dovevamo uscire dal collegio. Non c’era una meta precisa, soltanto un dentro e un fuori rispetto a quel luogo dove eravamo tenuti in ostaggio, per motivi che non comprendevamo o che comunque non ci avevano detto. Tutto era pronto. Eravamo d’accordo che avremmo aspettato che suor Paola spegnesse la luce della sua stanza, la cui porta si apriva sulla nostra camerata, e poco dopo avremmo strisciato come soldati in missione segreta fuori dallo stanzone. Poi avremmo raggiunto il cancello dell’Istituto e, una volta scavalcato, saremmo scappati verso non si sa dove. La sera prima della Grande Fuga, quando siamo saliti al piano di sopra per dormire, abbiamo trovato suor Paola fuori dalla porta del dormitorio e dentro di esso un’altra suora con un piccolo frustino in mano. All’ingresso la serva di Nostro Signore chiedeva a ognuno di noi chi avesse avuto l’idea della fuga ma nessuno lo sapeva, anche perché era stato un pensiero spontaneo e collettivo. Ci hanno fatti sfilare uno alla volta, prima di andare ai nostri letti da ospedale, e ci hanno dato un colpo sulle gambe, sotto il sedere, dove brucia di più. Alla sculacciata ero quasi abituato con mia madre ma l’umiliazione del piano fallito fu molto forte.
– Bastardo milanista bacia la Madonna! – il colosso mi ha liberato il collo ma continua a tenermi premuto contro la parete. Ho riacquistato la vista e adesso vedo le sue pupille a puntina che stanno guardando attraverso di me.
– Bacia la Madonna!!
Mi accorgo con la coda dell’occhio che c’è un ritratto della madre di Gesù appeso poco sopra la mia testa.
– Ma dai- mi schernisco.
– Bacia la Madonna! bacia la Madonna!
– E bacia questa Madonna – mi invita implorante un autista che non riesce più a trattenere l’ariete.
Alzo il viso e mando un bacio a Maria Vergine. Il ragazzo si divincola con facilità dai due guardiani e riappare con il suo testone dentro il casotto attraverso il finestrino.
– Picchiami! Picchiami!
Gli do uno schiaffetto sul viso.
– Più forte più forte!
Carico il palmo della mano per dare più forza ma il capoccione scompare. Intravedo attraverso il finestrino un ragazzo, sembra un nano che dà una carezza sul viso a un gigante che continua a dire “più forte più forte” ma quasi sottovoce. Prende quella grossa mano e lo porta via come un bambino, mormorando affettuoso “è tutto a posto Achille, tutto a posto. Vieni con me, ti porto a casa”.
Compaiono altri autisti, forse stavano al bar. Mentre lascio il casotto e vado verso l’autobus appena arrivato al capolinea, li sento parlare tra di loro su cosa debbano fare con questi schifosi drogati.
Salgo sull’autobus vuoto e mi siedo in una delle ultime fila. Metto la cartellina sul sedile accanto e appoggio la testa al finestrino, che comincia a vibrare per l’accensione dell’autobus. Chiudo gli occhi e mi godo sulla guancia il calore del vetro esposto al tiepido sole invernale. Mentre sto per addormentarmi ripenso a quella foto che fece mia madre, quando mi venne a prendere alla fine dell’anno scolastico. Mi liberava dopo tre anni di prigionia. Io corro per questo vialetto che viene dal cortile fin quasi all’uscita dell’istituto. La foto mi prende a mezz’aria, i capelli sollevati e un grande sorriso sul viso. Sullo sfondo, più indietro, ai margini del viale c’è un bambino immobile, in piedi, che mi guarda ma di cui non vedo bene i lineamenti del viso. La foto è sfuocata. Ogni volta che penso a quella foto mi sento in colpa per quel bambino rimasto lì dentro, mentre io sono libero, senza una spiegazione per nessuno dei due.
Continuo a non capire, ma va bene lo stesso.