Premio Racconti nella Rete 2024 “Il muro” di Francesca Bigi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024Uno schizzo d’acqua finì sulla finestra. A terra i vetri del bicchiere, caduto dalle mani maldestre di Filippo. Il ragazzo rimase ad osservare i disegni che si vennero a creare, combinati a quelli della pioggia che cadeva stanca di fronte al suo appartamento. Forme libere, sciolte da vincoli geometrici, viventi quasi. Pensò di aver casualmente creato un’opera d’arte, qualcosa di irresistibile ed armonioso. Un sorriso amaro, che conosceva fin troppo bene, si delineò sul suo volto. Distruggere ogni fantasticheria. Un meccanismo che lo aveva accompagnato dalla più tenera età, quando con infantile cinismo rifiutava di mostrare compassione per i protagonisti delle tristi favole raccontate dalla tata Angelica. Cominciò ad apparire nelle fantasie del ragazzo dal momento che scoprì la masturbazione, nonostante la sua bellezza fosse stata mortificata dallo scorrere del tempo. Distolse lo sguardo dal vetro della finestra; le gocce d’acqua che vi scorrevano lente erano tornate ad essere un liquido insignificante.
Alla sua destra il tavolino d’ebano sul quale poche ore prima giaceva una siringa contenente eroina. A rompere il silenzio quel fastidioso scoppiettare di bollicine. Giulia non aveva messo lo spumante in frigo come lui le aveva chiesto. La cosa non lo sorprese, era solo una stupida viziata. Si diresse in camera da letto portandosi dietro la bottiglia, dalla quale bevve un sorso con un gesto ampio e innaturale. Filippo era solito comportarsi come se qualcuno lo stesse sempre osservando. Una continua recita per sé stesso. Lei dormiva distesa sopra le coperte, dal viso assopito non traspariva alcuna dolcezza. A lui importava poco, come di molte altre cose, tranne del trasferimento. Il trasferimento. Dovette insistere non poco con quei genitori che si ritrovava, sempre preoccupati per il suo futuro. Che cazzo ne sanno loro, pensò Filippo. Finalmente si erano decisi a liberarlo comprandogli un trilocale. Libertà. Ora aveva quello che desiderava, quattro mura tutte per sé. Rimaneva solo il fastidio provocato dall’ insonnia di quella prima notte. Ritornò in salotto, guardò fuori. Per separare il palazzo dalla strada avevano costruito da poco un muricciolo alto circa un metro e mezzo. Restava solo da nascondere con uno stucchevole giallo canarino il grigio sporco che dominava la struttura. Nascondere.L’immagine parve familiare a Filippo. Improvvisamente gli venne in mente il viaggio impostogli a undici anni dai suoi. Avevano visitato un campo di concentramento. La giovane guida, che il ragazzo ricordava bene per i prosperosi seni, parlava in tono solenne di ciò che era avvenuto in quei luoghi. Filippo era l’unico che non esibiva un’espressione da funerale e l’immagine di quei bambini separati dai genitori gli provocò un breve istante di invidia. La meticolosità dei tedeschi nel progettare e nell’organizzare quelle strutture lo aveva da sempre affascinato, come l’enorme muro che cingeva il complesso.
A lungo aveva costituito per molte persone la sottile linea dell’orizzonte. Efficiente, impensabile da abbattere. La stanchezza cominciò a farsi sentire.Nel vetro si era intanto delineata una strana figura. Lo scorrere dell’acqua ne mutava continuamente la forma. Un divenire a cui lui non poteva porre alcun freno. La cosa lo infastidì. Ma il suo amaro sorriso non comparve sul volto. Era immobile, incapace di agire, inerme. Venne assalito dal panico. Cominciò a balbettare terrorizzato. Con un gesto improvviso scaraventò la bottiglia contro il vetro, provocando il frantumarsidi entrambi. I forti rumori provocati dall’impatto svegliarono Giulia. Filippo si sentì soffocare, aprì il portone e scese velocemente le scale inciampando più volte, senza pensare di aver addosso solo i pantaloni della tuta. Arrivato nel cortile si bloccò. Per un istante osservò il muro. Tetro, terribile, imponente nella sua moderata altezza. La pioggia continuava imperturbabile a scendere su di lui. Ormai fradicio decise di uscire da quello stato vegetativo. Si accostò con prudenza ad esso, sforzandosi di trovare il modo di aggirarlo. Evitare. I suoi passi si fecero via via più lesti, costeggiando il muro con la frenesia con cui un criceto corre nella ruota. I pensieri affollarono la sua testa.
Sopraffatto dal panico si fermò. Scrutò attorno rendendosi conto di essere solo. Nelle vicinanze, alberi piegati dal vento, simili a quelli della casa in campagna dove trascorreva le vacanze durante l’infanzia. Alberi sotto i quali aveva dormito, circondato dal nulla. Rumore del vento che sferza le fronde. Erano le stesse piante che ora vedeva in strada e sembravano provare la sua oppressione. Filippo ebbe in quel momento una strana sensazione. Parve appoggio, comprensione, solidarietà. Si avvicinò a quello che ormai appariva un muricciolo e lo scavalcò con un balzo che gli parve fin troppo naturale. Il senso di oppressione abbandonò infine il suo petto. Si voltò e scorse la finestra rotta dalla quale proveniva un’isterica risata femminile. Posò lo sguardo sul muro. La pioggia, che aveva cessato di cadere, smise di nascondere le sue lacrime. Si allontanò dalla sua libertà trasformatasiin prigione. Nessuno lo guardava ora.
Il giorno seguente i telegiornali annunciarono la morte di Filippo Battini, trovato sul suo letto dalla fidanzata. Il decesso fu attribuito all’eroina consumata la sera prima.
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Ritmato e scorrevole fino allo shock finale. Mi è piaciuto molto!
Il sogno di poter scavalcare il “muro” e finalmene essere libero. Bello il colpo di scena finale. Complimenti.
Grazie davvero, Marco e Valeria