Premio Racconti nella Rete 2024 “La paura – Kiss e il capitano” di Laura Filoni
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Erano ore che Kiss, un fiero esemplare di pastore tedesco, e il suo padrone Eugenio, Uge per gli amici, detto il Capitano, camminavano senza trovare né acqua né cibo.
Da quando il Fato li aveva catapultati in un mondo sconosciuto di sabbia rocce e nebbia vagavano senza meta e senza capire dove fossero e soprattutto come uscirne.
Il Capitano ripensava a quella mattina. Come ogni mattina prima della partita di calcio, si era alzato, aveva fatto gli esercizi, una buona colazione, poi aveva sistemato al computer i documenti e le fatture della ditta di suo padre, che lo aveva rimproverato perché era rimasto indietro, e poi con calma aveva portato Kiss, il suo amato compagno, a fare una sgambata nel parco.
Era una mattinata strana con un cielo plumbeo e una luminosità che disturbava gli occhi. Kiss era nervoso e anziché correre dietro i bastoni gli restava attaccato alla gamba. Avrebbe dovuto pensare che stesse per succedere qualcosa.
Ma anche se avesse intuito cosa sarebbe stato per accadere come avrebbe potuto evitarlo?
Le rocce restavano sollevate dalla fitta nebbia come sospese al cielo ad un filo invisibile.
Kiss annusava ogni angolo e il Capitano sperava in cuor suo che da un momento all’altro abbaiasse, segno che aveva trovato l’acqua o qualcosa da mangiare.
Non si distingueva l’orizzonte. La skyline era pulita e infinita. Solo nebbia e rocce. Il terreno era duro e riarso. Non c’era nessuno tranne loro.
Era un mondo nuovo e incomprensibile. Le sue vesti erano stropicciate e stanche, ma non faceva né caldo né freddo, non era sera e non era giorno.
Ripensò ancora alle prime ore di quella incredibile giornata.
Aveva riportato Kiss a casa e aveva salutato sua madre che cucinava e suo padre che leggeva il giornale in poltrona, in salotto, e poi aveva cominciato a preparare la borsa per andare al campo. Lo aspettava la squadra. Da poco gli avevano dato la fascia di capitano e ne era orgoglioso. Ma il cane continuava ad essere agitato e non c’era stato verso di lasciarlo. Suo padre così aveva deciso di seguirlo al campo e aveva preso il cane facendogli indossare il guinzaglio corto.
-Via Kiss. Andiamo anche noi alla partita con Uge. – sospirò il padre e uscirono tutti insieme.
Il Capitano era insieme divertito e preoccupato da quel comportamento strano del cane. Ma era contento che suo padre venisse alla partita. Voleva mostrargli quanto il suo carattere in campo, da capitano, e come erano affiatati in squadra.
Un abbaiare convulso scosse il Capitano dai ricordi. Corse incontro a Kiss.
-Kiss vieni qua, bello! Vieni! Cos’hai trovato? –
Ma il cane correva veloce e non si fermò al richiamo del padrone.
Il Capitano raggiunse Kiss che vicino ad una roccia nera, che spuntava dalla nebbia iridescente, si era messo a scavare.
Il Fato si materializzò in forma iridescente, leggera e vaga come la nebbia, e una voce mitica disse al Capitano che avrebbe affrontato la ‘paura’.
Il Capitano non fece in tempo ad avere un pensiero che dalla roccia spuntò una bestia dalle zampe tentacolari e istantaneamente Uge fece un salto indietro.
Il povero Kiss invece, impavido, attaccò lo strano e terrificante animale che appena si intravedeva in quel tempo senza fine.
Il Capitano era paralizzato. Sentiva dentro di lui la voce del padre che lo esortava ad alzarsi e ad andare ad affrontale la belva, come tante volte aveva fatto nella sua giovane vita di figlio, ma Uge in preda ad un vero attacco di panico non riuscì che ad affondare le mani nella terra nera e straniera, nascondendo dolorosamente il capo nella nebbia.
Il suo cane invece lottava ferocemente con la belva e ad un tratto guaì.
E poi il silenzio.
La bestia simile ad un grosso scarabeo teneva il cane in una zampa e lo dimenava nell’aria plumbea come un trofeo.
Allora dalla nebbia una massa si scosse scura. Il Capitano radunò tutte le sue forze, si alzò tremando e stringendo i pugni; quindi, trovò e afferrò un grosso pezzo di roccia scagliosa e appuntita e si avventò sulla belva colpendola al tentacolo e strappandoglielo via.
Kiss rotolò lontano. Salvo. Ma privo di sensi.
La belva sovrastò il Capitano costringendolo a terra e stava per ghermirlo quando fu attaccato da Kiss al capo e fu morso nell’unico punto vulnerabile tra collo e corazza.
Lo scarabeo giacque rivoltato a zampe in su e la sua corazza blu e turchese perse piano, piano, la luminosità. Kiss saltò in braccio a Uge leccandolo generosamente e un sorriso coprì il bel volto del ragazzo mischiandosi al sudore e alle lacrime.
Il Fato illuminò di aurora boreale il cielo e in uno sbuffo di vapore sentenziò: “Capitano hai dimostrato il tuo valore sconfiggendo la ‘paura’ per amore del tuo cane. La prova è superata”.
Un vento caldo li avvolse e come nel risveglio di un brutto sogno il Capitano si ritrovò esattamente da dove era partito. Nel campo da calcio, con la sua squadra, con il padre, il cane e tutto il pubblico sugli spalti.
Un fischio dell’arbitro lo scosse dallo sbigottimento. L’arbitro e gli altri giocatori aspettavano che battesse la punizione. Una breve rincorsa e colpì di collo destro e via nel sette. Uge segnò con tutta la maestria che aveva in corpo. Il pubblicò esultò e la partita fu poi vinta dalla squadra del Capitano.
Ma questa è un’altra storia.
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