Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2024 “La cieca fiducia” di Marco Ponzi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

Mi avevano invitato a partecipare a una esperienza fuori dal comune e io avevo accettato. Fuori dal comune anche perché si trovava in un’altra città.

In una fredda sera di gennaio, mia moglie mi aveva accompagnato assecondando l’invito del mio capo che aveva voglia di novità e al quale mi seccava dire di no.

Quando entrammo nell’edificio, dopo esserci sfilati i cappotti, accedemmo a una sala completamente buia. A dire il vero, supponevo fosse una sala, ma poteva essere benissimo un tunnel sotterraneo o una cisterna romana. Poteva essere anche una pista da bowling, per quanto mi constava.

Quel che era non so, ma so solo che era buia e, se dico buia, intendo proprio buia. Un buio pesto, “mai visto”. Paradossalmente, potevo vedere il buio.

Sentivo delle voci accanto a me, un brusio continuo, fino a quando l’intervento preciso e circostanziato del nostro accompagnatore non ci zittì.

«Benvenuti signori a “Lo scuro viaggio”. Io sono Elia e vi guiderò in questo percorso sensoriale unico» disse l’uomo, con una pacatezza palpabile.

«Come fa a guidarci non si sa, visto che è cieco» sussurrò una donna accanto a me.

«A lui non cambia nulla se fuori è nero come la pece o splende il sole» risposi «e poi sarà abituato»

«Sarà…»

Iniziammo a camminare cercando di non urtarci. Qualche volta pestavo i piedi a qualcuno, altre volte invece ero io la vittima delle gomitate involontarie. Avevo previsto che, semmai fossi uscito vivo da quel posto, mi avrebbero dovuto ricoverare per qualche trauma osseo e diverse contusioni. La cosa grave era che, pur avendo testimoni di quelle specie di aggressioni, nessuno di questi poteva essere considerato “oculare”.

Attorno a me non c’era modo di scorgere alcun tipo di riferimento. Si procedeva con le mani avanti per poter tastare meglio l’ambiente. Spesso tastavo involontariamente la nuca di qualcuno per evitare spigoli o muri, quando non andavo a palpeggiare, sempre involontariamente, qualche seno. Ma nessuno protestava perché tutti facevano la stessa cosa. Avrei anche potuto approfittare, se fossi stato un malintenzionato ma è anche vero che la moglie mi osservava, si fa per dire.

«Ops, mi scusi, non l‘avevo vista»

«Certo, chi ci vede qualcosa qui dentro?»

Era persino ridicolo scusarsi per aver palpeggiato qualcuno che non corrispondeva nemmeno al proprio gusto… a meno di essere rimasti a secco per mesi e mesi… ma non era il mio caso.

Per poter avanzare, ci veniva in soccorso anche la componente sonora di quel percorso: una campanella ci suggeriva di fermarci perché dovevamo essere prossimi a un attraversamento ferroviario, oppure un clacson di auto ci allertava di trovarci nel bel mezzo di una strada. I rumori di aerei che ci volavano sopra la testa ci confermavano di essere nei pressi di un aeroporto, come anche lo sbattere di una porta poteva darci l’idea di trovarci in un negozio. E così via.

Senza l’ausilio degli occhi, ecco che dovevo necessariamente fare attenzione ai suoni, anche a quelli a cui non facevo caso di solito: il fruscio di una foglia sull’asfalto, lo sferragliare di un tram, il verso di un animale, gli starnuti di qualcuno, i pianti dei bambini, le risate di un anziano, gli sputi di uno col catarro, tutte lucette che si accendevano nella mia mente e che identificavano dei possibili ostacoli. In poche parole, adesso mi stavo spostando con le orecchie e non più con gli occhi.

Smisi di sforzarmi di tenere gli occhi aperti e li chiusi, tanto non c’era modo di scorgere alcuna fonte luminosa.

Dopo qualche tempo là dentro, iniziai a capire meglio come si muove un non vedente. Non è difficile, basta prestare attenzione. Può aiutare anche il respiro di un pedone accanto o semplicemente il calore del suo corpo. Una presenza umana può essere percepita anche se tace, persino senza vederla.

Con la sua voce, quindi, Elia ci diceva di seguirlo; talvolta dava indicazioni precise avvisandoci di saltare un gradino, girare a destra o stare attenti alla siepe.

E noi lo seguivamo, fidandoci di lui, spaesati, come se fossimo i protagonisti di una pericolosa esplorazione. Ma tanto avevamo una guida che conosceva a memoria il tragitto e non ci sarebbe stato motivo di preoccuparsi.

«Siamo arrivati alla fine del percorso» dichiarò Elia «adesso ci accomodiamo al bar»

«Non vedo l’ora di tornare a usare gli occhi» affermai.

E infatti l’ora non la vidi perché anche il bar era nella totale oscurità.

Ci sedemmo molestandoci nuovamente tra di noi mentre cercavamo una sedia e ipotizzando che nei pressi vi fosse anche un tavolo, e lo trovammo.

«Cosa volete ordinare?» domandò un cameriere in-visibile.

«Vorrei chiedere la carta ma temo che sarà impossibile poterla leggere…» risposi.

«Infatti non c’è… vi dico io cosa propone il bar»

E ci fece l’elenco che, per una volta, annotai mentalmente come mai avevo fatto con le mie orecchie affilate.

«Vada per il Negroni» dissi «Non l’ho mai bevuto e sono curioso»

Quando tutti noi avemmo ordinato, poco dopo, ci arrivarono le bibite.

Non so chi mi consegnò la mia, ma dovetti fidarmi di quello che avrei bevuto. Potevo solo scorgerne l’odore e, tutt’al più, la consistenza liquida e fredda.

Le persone accanto a me avevano iniziato a discorrere sull’esperienza appena vissuta.

Potevo udire il misto delle loro voci e contemporaneamente distinguere le parole di tutti, riuscendo a seguire i vari discorsi che erano iniziati.

«È straniante muoversi in questa condizione senza sapere se gli altri staranno attenti a te che non li vedi» osservò, si fa per dire, una donna.

«Tu sei non vedente da sempre o lo sei diventato?» domandò un signore di fronte a me, almeno così credetti.

«Lo sono dalla nascita» rispose Elia.

«Allora per te è più facile…»

«In un certo senso… non mi sono perso nulla di quello che non ho mai visto con gli occhi… ma io vedo con altri organi»

«Come un pipistrello?»

«All’incirca»

«E cammini mai con gli auricolari per la musica? Non ti distolgono dall’attenzione?»

«Uso spesso il bastone e la memoria, chiamiamola visiva» rispose ancora Elia, con inaudita pazienza.

Io intanto avevo iniziato a sorseggiare con cautela il mio Negroni e, con le mani appoggiate sul tavolo, mi ero accorto che era presente anche un ciotolino pieno di qualcosa. Toccai il contenuto e dedussi si trattasse di arachidi e noccioline varie.

«Purtroppo non le posso mangiare, sono allergico» constatai.

Mia moglie mi disse: «Va bene, non le mangiare, ceneremo più tardi»

Io che ascolto sempre mia moglie, e in quel momento non mi poteva accusare di non averlo fatto, mi ritenni rassicurato e buttai giù un sorso più corposo.

Nel frattempo gli altri continuavano i loro discorsi.

Mi accorsi che le mie orecchie avevano iniziato a funzionare in modo strano.

«Ah, sapete che siete proprio belli?» dissi.

Non li potevo vedere, ma sono certo che qualcuno si era girato in mia direzione con sguardo interrogativo.

«E come lo sai, dato che non ci vedi?

«Siete belli dentro, lo avverto» risposi «Posso toccarti, Elia?»

Non attesi la risposta che lui aveva già le mie mani sulla sua faccia.

Avevo mandato giù un altro sorso di Negroni.

«Vi voglio tanto bene» affermai.

E, di nuovo, sono certo che i miei vicini si fossero domandati se stessi bene.

«Tutto bene, amore?» mi domandò mia moglie.

«Sto bene, ma mi sento leggero, leggero»

Continuai i miei discorsi estemporanei, tanto non subivo il giudizio di nessuno perché di me potevano sentire solo la voce e mi sentii libero di fare dichiarazioni di ogni tipo, trangugiando l’ultimo sorso del mio bicchierone di Negroni.

«… leggero, leggero…»

A un certo punto si sentì un tonfo, un suono sordo: mi era caduta la testa. Non stava su, come se fossi nato da un paio di giorni.

«Amore!» disse, allarmata, la mia dolce metà.

Non riuscivo a tirare su la testa dal tavolo, forse mi ero escoriato uno zigomo ma poco mi importava; ero caduto in uno stato di assopimento inusuale. Sarà stata la notte fonda a indurmi quel sonno improvviso?

«Scusa Elia, mi aiuti a portarlo fuori?» domandò mia moglie al cieco «Temo non si senta bene»

Senza mettere tempo in mezzo, nell’oscurità più nera, mi sentii sollevare da due parti e, con la testa rivolta al pavimento, intravidi dei bagliori.

La luce! Ero tornato a vedere la luce, benché potessi osservarmi solo le scarpe, piuttosto annebbiate.

Qualche anima pia depositò il mio corpo su una panca e qualcun altro mi porse una bottiglietta di acqua fresca.

«Bevi, bevi questo…»

«Non ho sete…» risposi.

«Bevi, che ti fa bene»

Così, diluii l’alcol che avevo in corpo con un po’ di H2O, che a dire acqua ci si vergogna troppo.

Passato qualche minuto, mi tornò la vista, con meno nebbia, e notai un uomo alto due metri davanti a me. Aveva gli occhi bianchi e non era rivolto verso di me.

«Elia?»

«Sì?»

«Che è successo?»

«Sei svenuto e ti abbiamo portato fuori» rispose lui.

Mentre mi rendevo conto di quel che era accaduto, incluso il salvataggio da parte di un cieco, avrei voluto sotterrarmi o tornare nelle tenebre per nascondermi, ma non era possibile: tutti avevano visto, compreso il mio capo e tranne Elia, se vogliamo dirla tutta, e la mia reputazione era definitivamente indebolita.

Sostenuto dal mio capo e da mia moglie, a piccoli passi, dopo aver ringraziato il mio salvatore, uscimmo dall’edificio.

Mi trascinavo i piedi e non avevo ancora smaltito la sbornia, a quanto pare, ma una cosa è certa: ancora oggi non so come è fatto un Negroni.

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1 commento »

  1. Leggendo questo racconto, il pensiero corre inevitabilmente a Carver. Sapiente uso dei chiaroscuri (equilibrio fra umorismo e drammaticità della tematica), ottima scorrevolezza.

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