Premio Racconti nella Rete 2024 “A casa di Lara” di Manuela Potiti
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024Come al solito da un pezzo in qua Lara si era svegliata presto di mattina, intorno alle 4, quando in casa vi era ancora silenzio e così fuori: non si sentiva passare una macchina sulla via statale del Brennero dove dava la sua stanza. L’unico rumore che si sentiva era il ticchettio della lancetta dei secondi della sveglia old fashion che Lara teneva sul comodino, che, se ci pensava un attimo, la infastidiva anche. Lara era una persona inquieta, anche nervosa a tratti, e mangiata dall’ansia, dalla paura, ma in quell’ora del mattino non poteva fare a meno di osservare con piacere la pace che le regnava intorno. Neppure sua madre, con cui condivideva un bell’appartamento di 140 metri quadri lasciatole in eredità dal padre, posto in un quartiere bene della città, la stava chiamando. La madre di Lara era allettata da un paio d’anni, pur non essendo particolarmente anziana, ed era regredita allo stato di un’infante: era diventata la sua bambina. La convivenza non era semplice, c’era di che impazzire, così Lara pensò ad un suo conoscente che dopo essere andato, giovane, in pensione, si era dedicato completamente all’accudimento dell’anziana e longeva madre: lui era visibilmente provato, mentre la madre, felicemente viva, non accennava a voler morire. Sì, anche l’amica poetessa Giada, parlandole di un caso simile, le aveva detto che per il bene del figlio si augurava che presto gli morisse la madre.
Queste madri avvinghiate alla vita come edere rampicanti che fanno dei figli delle pertinenze, alcuni perdono il senno.
Il bello è che Lara, che certe volte desiderava la morte della madre, allo stesso tempo sapeva che, probabilmente, quando sarebbe accaduto per davvero il fatto ne avrebbe contratto una malattia. Lara voleva bene a sua madre, anche se in certe occasioni l’avrebbe voluta strozzare. Se poi è vero che le cose non capitano per caso, Lara si era imbattuta di recente in un racconto che parlava proprio di questo, un racconto fantastico dove i figli mandano in crociera gli anziani genitori per lasciarli nell’isola della tranquillità o del riposo, o qualcosa del genere, stufi di dover aspettare la loro morte per ereditare.
Assolutamente scorretto da un punto di vista etico!
A Lara, in verità, interessava assai poco dell’eredità, pur consistente, della madre – Lara si era sempre disinteressata delle questioni economiche, specie di quelle familiari – le premeva molto di più della libertà. Già, da due anni a questa parte un pezzo notevole della sua libertà era sacrificata alle bisogne della madre e lo stesso accadeva alla sorella, che pure viveva altrove e che tuttavia stava somatizzando un disagio anche importante. Lara non somatizzava, Lara rischiava più semplicemente di impazzire, come aveva fatto il suo conoscente per via dell’egoismo della madre.
Egoista Cheti lo era sempre stata, per temperamento, ad esempio Lara si chiedeva come potesse sua madre non interrogarsi, neppure di sfuggita e per inciso, a proposito del fatto che, per due anni, sua figlia non fosse mai e dico mai uscita neanche una sera che so per una pizza magari in compagnia degli amici. Amici? E quali amici? A Cheti non solo non importava che Lara ne avesse, ma proprio non voleva che ne frequentasse: nel suo egoismo infantile erano visti come una minaccia al suo desiderio di averla tutta per sé, Lara. E così era già accaduto al padre defunto, che Cheti gli avesse fatto terra bruciata intorno, ora era il turno di Lara, che però tutte queste cose le vedeva bene essendone consapevole e lasciandosi aiutare anche da uno psicologo, uno bravo, che stava provando a ridarle un’identità, al di là del rapporto simbiotico con la madre che tanto la stava assorbendo e quasi fagocitando.
Lara era visibilmente preoccupata ed angosciata, anche se indossava sempre il sorriso, la sua arma vincente, sapeva però che il suo cuore era pesante e gli occhi carichi di pianto. Non sapeva in effetti come quella maledetta partita con il tempo sarebbe andata a finire, non lo sapeva nessuno e lei, che aveva mille desideri, voleva forse più di tutto ritornare in sé, sì perché della madre aveva assorbito angosce e paure, insicurezze, anche complessi d’inferiorità ed invidie a limitare il suo sguardo sul mondo, che non era più sereno da un pezzo. Certo non tutte le responsabilità erano di Cheti, fatto sta che adesso Lara, amante della natura e della libertà, dell’amore e dell’amicizia, si ritrovava sola peggio di un cane e come impigliata in una ragnatela che non era stata lei a costruire. Senza amici veri e senza un amore, od una speranza d’amore, Lara si sentiva a volte disperata e combatteva forse solo perché non poteva permettersi di fare altro, sentiva che ne andava di mezzo il benessere della sorella. Margherita era, in effetti, l’unica che le dava supporto, l’unica che così inguaiata com’era Lara, la sopportava, era, in altre parole tutta la sua famiglia.
Alle volte Lara avrebbe voluto mandare tutto all’aria ed arrendersi: sarebbe successo un putiferio di grandi proporzioni. In effetti, e senza rendersene conto, Lara era per una parte la spina dorsale della famiglia, l’altra Margherita, ed era una forte, fortissima combattente.
Si dice che Dio affidi le battaglie più dure ai suoi più valorosi guerrieri, beh, Lara un po’ era credente un po’ no, e semmai era una pessima credente, ma cominciava a pensare di far parte di questo genere di piani, perché le prove che la vita la stava chiamando ad affrontare erano davvero numerose ed ardue, difficilissime, come difficilissimo definiva Alberto, il suo psicologo, il lavoro da fare insieme, il più difficile in assoluto, cioè come separare una figlia dalla madre con cui essa figlia intrattiene un rapporto molto profondo e stretto, magico. E a Lara la magia piaceva molto, moltissimo, non questa però.
Era, quello con Cheti, un rapporto tossico, fatto di appartenenza e di disperazione, la disperazione di Cheti, che, arrivata all’età di 77 anni si sentiva profondamente sola e smarrita, la disperazione anche di Lara, poi, che si sentiva ferma immobile in una condizione che mai avrebbe immaginato potesse accaderle. E Lara non sapeva come poter risolvere positivamente quella che era diventata una situazione stagnante, dove anche i migliori sentimenti sembravano perdersi in un mare di rabbia, tristezza, vuoti.
Ad un tratto a Lara venne in mente quello che le aveva suggerito una conoscente: scrivere una lettera a sua madre, per esorcizzare la sua rabbia e quella di lei e per liberarsi delle tossine accumulate negli ultimi anni, una specie di testamento reciproco prima della morte ed a prescindere da quella, nella speranza che questo potesse sciogliere i nodi più stretti del loro legame e restituire ad entrambe una relazione più giusta, più salubre:
vorrei dirti che ti amo, dal profondo del cuore, anche se a volte mi capita di detestarti, perché mi tratti come un possesso, e questo fa male alle mie corde, mi mette voglia di essere libera e di ribellarmi e so che anche tu mi vuoi un gran bene, anche se a volte lo manifesti nel modo sbagliato, credo solo perché sei spaventata; sono spaventata anche io e sono triste nel vederti così, sono anche preoccupata ed angosciata, ho paura di muovermi nel mondo, ho paura della morte, la tua, la mia e vorrei che entrambe potessimo viverci in una relazione più leggera, meno fatta di rabbia o prepotenza reciproca, lasciandoci alle spalle i dèmoni del passato; lo so che mi ami anche tu, pur se a volte mi tratti – o ci trattiamo – malissimo.
Lara non lesse mai questa lettera alla madre, vigliaccamente sbagliando. Il loro rapporto si risolse con la morte di Cheti, o meglio proseguì anche dopo, dopo un periodo di primo smarrimento, infatti, Lara riprese la sua routine quotidiana, fatta all’inizio di lavoro e poco altro. Le due donne si amavano forse ora più di prima.
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