Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2024 “Sete” di Lorenzo Megoli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

Quella sera decisi di dormire sul divano. Erano diversi giorni che quel dolore addominale mi causava violenti attacchi di dissenteria, obbligandomi ad alzarmi in continuazione per correre in bagno. Non volendo arrecare disturbo ai ragazzi e a Paola mi preparai alla meglio un giaciglio in salotto.

Paola era stata molto occupata nel gestire la famiglia, vista la mia assenza forzata nell’ultimo periodo; era da un po’ che non ci incrociavamo neanche, che non scambiavamo una parola. “Pensa te a quante cose deve star dietro, poveraccia, ed io sono qui a trascinarmi tra il letto ed il bagno, sono più che altro un peso” pensai, mentre sistemavo alla meglio i cuscini sul divano. E per fortuna da qualche tempo il mal di schiena mi aveva abbandonato. A pensarci bene, stavo piuttosto bene, in generale, se non fosse stato per questo dolore addominale apparso dal niente che mi stava ormai perseguitando.

“Vedrai che saranno stati i nachos, ne ho mangiati un’esagerazione, accidenti a me” mi ricordo di aver detto a Paola, durante una delle ultime volte che era venuta a portarmi una tisana, nel tentativo di mantenermi idratato. Con il passare dei giorni però, per quanti ne avessi mangiati, non sembrava più che quella fosse la causa. L’ultima volta che ne parlai con il medico mi suggerì di fare delle analisi specifiche, “poi valutiamo in base a cosa ne risulterà”, mi liquidò.

Devo ammettere che mi prende sempre una certa paranoia, per via di quel piccolo tumore al pancreas che ormai mi fa compagnia da qualche anno. Anche se sembra stare lì, fermo, il fatto di sapere di avere una piccola bomba che potrebbe esplodere da un momento all’altro, che è lì dentro di te, nelle tue viscere, e che non puoi farci niente per disinnescarla del tutto mi mette sempre una preoccupazione di fondo ogni volta che mi sento male.

Con questi pensieri stavo quindi per approcciare la nottata, esausto per la mancanza di sonno ed il poco cibo assunto, in compagnia di quel continuo dolore nella zona addominale che rappresentava in realtà l’unico elemento di fastidio, che mi teneva sveglio e allo stesso tempo legato alla realtà, in un certo senso mi faceva sentire vivo. Avevo sistemato le coperte in modo che mi coprissero bene, per tenermi caldo in una sera che sembrava molto fredda, come le ultime del resto ma pronte ad essere sollevate con semplicità in caso di fuga verso il bagno.

Non riuscii a prendere sonno, come mi aspettavo. Era successo anche nelle precedenti nottate. Le avevo passate avvolto nel buio, in una certa tranquillità ma sempre collegato a quel dolore che mi teneva ancorato ad un dormiveglia penoso.

Anche quella notte continuai ad alzarmi per andare in bagno. Percorsi il solito tragitto divano-bagno molte volte ed ormai ero in grado di farlo anche al buio, senza l’aiuto della fioca luce del cellulare. Mi ridestavo da quello stato di semi veglia, sbuffando, imprecando e cercando di ricordare quante volte era già successo. Mi sembravano centinaia. Ed ogni volta, al dolore ed allo stimolo non corrispondeva una altrettanto soddisfacente e risolutiva scarica. Non c’era granché da evacuare, in effetti, poiché ormai le mie viscere erano vuote.

Quelle passeggiate notturne avevano però anche un aspetto piacevole. Potevo respirare la quiete in casa, apprezzarne il silenzio. Se prestavo bene l’orecchio, riuscivo a sentire il ronfare di Giuliano e Marcello, che dormivano nella stanza più vicina. Probabilmente nella stanza di Paola anche Arturo dormiva e respirava profondamente nel lettone, ormai da lui occupato visto che avevo lasciato il posto libero. Come non capirlo: dormire al fianco della persona più importante della vita è un’abitudine che si fa fatica ad abbandonare. Paola, invece, starà probabilmente dormendo sul ciglio del materasso, per non disturbarlo. Sarà stanchissima. Sono stati giorni difficili, pieni di preoccupazioni e senza un aiuto da parte mia. Mi dispiace non averla supportata abbastanza. Vorrei poter rimediare ma sono così stanco.

La notte per chi non riesce a dormire è senza tempo. E’ un interminabile momento. Per questo non so che ora fosse quando sentii un rumore provenire dalle altre stanze. E dopo un po’, anche il suono di passi, soffici passi che si avvicinavano. “Probabilmente sarà Arturo” pensai.

Me lo ritrovai davanti che si stropicciava gli occhi ancora mezzi chiusi dal sonno. Era buio, solamente le piccole lucette di sicurezza illuminavano il corridoio. I miei occhi erano abituati all’oscurità e lo riuscivo a distinguere chiaramente. Arturo probabilmente non riusciva a vedermi bene, perché non mi guardava negli occhi ma solamente nella mia direzione. Poi ad un certo punto, d’improvviso, con la sua vocina sottile disse:

“Pa-pà”

Sembrava un po’ sorpreso, incerto. Nella sua voce non c’era la solita squillante certezza con cui mi chiamava ogni volta che mi vedeva tornare da lavoro.

“Povero” pensai “starà praticamente dormendo”. Provai a rassicurarlo dicendogli che sì, ero io. Ed ero felice di vederlo ma anche un po’ arrabbiato perché non si va in giro nella notte.

“Torna a dormire, tesoro” gli dissi, senza avvicinarmi troppo per paura di trasmettergli qualcosa. Lui sembrò non sentire e un po’ preoccupato esclamò con la sua vocina delicata:

“Mammaa”

L’orecchio di una mamma non dorme mai. Pochi istanti dopo sentii il fruscio di un corpo che si muove sotto le coperte e ancora qualche istante dopo Paola chiamò Arturo con un filo di voce, ancora non del tutto sveglia. Arturo, sentendo il richiamo materno, trotterellò verso la stanza, orientandosi nel buio con il sesto senso di un piccolo animale che sa sempre dove ritrovare la tana. Ricordo ancora intensamente, quel piccolo corpo appena uscito dalla pancia, appena venuto al mondo, inconsapevole di tutto tranne che della presenza di sua mamma, di un porto sicuro verso cui dirigersi: era appoggiato sul petto di Paola, stravolta ma felice, e la sua testolina minuscola, con gli occhi ancora chiusi, si dirigeva con determinazione verso il suo seno, dal quale avrebbe ricevuto il suo primo pasto.

“Vai dalla mamma tesoro, buona notte” gli sussurrai mentre lo vedevo allontanarsi. Rallentò per un secondo, quasi si fermò. Poi riprese la sua strada, appoggiando a memoria la piccola mano sul muro per aiutarsi a scendere l’unico scalino che lo separava dalla stanza.

Mi fermai fuori dalla porta, riparato dal muro per non rappresentare un elemento di disturbo nel processo di riaddormentamento. Appoggiai la schiena al muro e mi lascia scivolare sul pavimento, seduto con le ginocchia piegate. Rimasi ad ascoltare la ninna nanna a fil di voce che Paola stava canticchiando. Era bellissimo ed incredibile sentire la gentilezza e l’amore che da quel gesto scaturivano e paragonarli alla fatica che c’era dietro, al ripetuto svegliarsi nel cuore della notte per accudire una piccola creatura, senza lamentarsi mai. Sembrava stravolta. Sarei voluto entrare e dare una mano. Avrei voluto dirle “stasera faccio io, amore. Riposati”. Ma ero stravolto.

Dopo pochi minuti Paola smise di canticchiare. Capii che Arturo si era addormentato. La sentii alzarsi dal letto per adagiare Arturo nel suo lettino. Sentii il piumino che veniva rimboccato intorno al piccolo corpo, per tenerlo al caldo.

Rimasi ancora un po’ in ascolto.

La sentii piangere. Singhiozzare sommessamente, in una lotta terribile tra la voglia di urlare e la volontà di non svegliare Arturo. Soffocava in gola i singhiozzi più forti, altri, quelli più improvvisi, scappavano al suo controllo ed emettevano un suono pieno di tristezza. Cercai di capire cosa la stava affliggendo, mi avvicinai un po’, quanto bastava per sentire alcune parole che riuscivano ad aprirsi la strada tra i singhiozzi strozzati e le lacrime trattenute.

“Perché te ne sei andato?”

Non capii bene a cosa si riferisse. Mi sentii in colpa di aver scelto di dormire in salotto e cercai di trovare delle motivazioni che non suonassero egoistiche. Mi avvicinai per parlarne ma prima che riuscissi a farlo, Paola disse:

“Mi manchi. Ci manchi tanto.”

Fui colto da una sensazione di angoscia mai provata. Di senso di colpa, di rimpianto, di paura.

“Ehi amore, ma sono qui. Non me ne sono andato!” dissi.

Paola rimase ferma, appoggiata alla testata del letto, abbracciandosi le gambe, continuando a singhiozzare, in un pianto inarginabile che sembrava arrivare dal profondo del cuore.

“Sai che non sono stato bene in questi giorni. Appena starò meglio tornerò insieme a voi.” le dissi provando ad avvicinarmi.

Faceva molto freddo.

Paola non mostrava reazioni alle mie parole, rendendomi confuso. Era arrabbiata? Ero stato forse troppo egoista? “Scusami amore” dissi “sono solo molto stanco in questi giorni”.

Paola si piegò sul comodino accanto al letto. Raccolse la mia foto che teneva lì da sempre. Io avevo la sua, sul mio. Anche io da sempre. Se la strinse al petto, continuando a piangere. La baciò. Alcune lacrime scorrevano sul vetro e per poi morire assorbite dal tessuto del pigiama, all’altezza del suo ombelico.

Non riuscivo a capire il suo comportamento, perché non interagisse con me “Probabilmente sto sognando”, pensai. Mi avvicinai ancora ma per quanto ci provassi mi sembrava non riuscire mai a raggiungerla. Era di fronte a me ma sembrava lontanissima.

La vidi alzarsi dal letto. Mi passo accanto senza che dovessi scansarmi per farla passare. La seguii in bagno. Rimase sul water con la faccia nelle mani per qualche minuto, poi andò davanti allo specchio, accese la luce e guardò a lungo la sua immagine riflessa, finendo con prendere la trousse.

Fuori stava schiarendo. La mattina stava arrivando. O forse era la notte che se ne andava.

Ormai era inutile tornare a letto, un nuovo giorno era alle porte.

Con gli occhi ancora rossi per il pianto cominciò a truccarsi. Mi avvicinai per abbracciarla da dietro.

Il suo corpo fu scosso da un brivido lungo la schiena. I minuscoli peli sulla parte alta delle braccia si alzarono, lo percepivo chiaramente. Volevo accarezzarle le spalle, per respingere il sottile strato di pelle d’oca che si era formato. Ma non sentivo calore né ne avevo da dare. Mi scostai di scatto, impaurito. La vidi appoggiare le braccia magre sul lavandino, come per darsi una spinta e lanciarsi nella giornata che l’aspettava. Poi uscì dal bagno e passò accanto ad un piccolo mobile che usavamo come appoggio per varie cose. C’erano delle foto, tante. Tutte mi ritraevano in diversi momenti. Io e lei che scherzavamo in un momento di serenità; io che giocavo con i bimbi mentre in un’altra ancora tenevo in braccio il piccolo Arturo. Sembravamo felici. Accanto alle foto c’era un bell’album fotografico, in pelle lavorata. Uno di quegli oggetti realizzati con cura perché destinati a contenere qualcosa di importante. Era vuoto, con ancora tutte le piccole tasche in plastica da riempire.

La mia mente ripensò al mio dolore all’addome. Era passato. Non mi faceva più male. Adesso, nessuna parte del mio corpo mi faceva male. Realizzai che nessuna parte del mio corpo mi trasmetteva alcune sensazione.

Seguii Paola in cucina. Stava preparando la colazione per tutti, come ero solito fare io ogni mattina.

Mi fermai sulla porta della stanza dei ragazzi. Li ascoltai respirare serenamente. Mi sentii sollevato.

Mi avvicinai poi ad Arturo. Il più piccolo, l’ultima parte di me. Lo guardai a lungo senza che lui si accorgesse di me.

Fuori la luce cominciava a riconquistare i suoi spazi, ad illuminare con nuova forza gli alberi, i campi e le case.

La notte se ne andava. O forse era il giorno che arrivava. Io ero molto stanco e questa volta riuscii ad addormentarmi.

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1 commento »

  1. Bella l’atmosfera surreale della notte!

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