Premio Racconti nella Rete 2024 “La tragedia di Juliaca” di Antonella Esposito
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024Arsenio era tutt’uno con sua moglie Elena, e insieme erano diventati quasi subito i leader naturali del gruppo di trenta universitari in vacanza in Perù, perlopiù medici e metà dei quali in pensione, come lui. Non aveva fatto chissà che carriera Arsenio, ma era di quelli che nel sottobosco accademico sono capaci di crearsi un potere di retroguardia, lui in particolare aiutato da una certa aria mefistofelica dietro i baffetti da gentiluomo del primo Novecento. La moglie poi, una gran sventola parecchi lustri addietro, era nota per le capacità taumaturgiche delle sue mani da pianista, i cui gesti assumevano con una certa naturalezza le pose ieratiche di un capo religioso.
Arsenio se la godeva per essersi imposto sui colleghi medici che l’avevano in cura, perché loro non avrebbero voluto farlo partire dopo il secondo, “schifoso” ciclo di chemioterapia. E invece, lui aveva affrontato meglio di altri l’estenuante viaggio in aereo di oltre quindici ore fino a Lima, uscito indenne pure dalla distribuzione alle tre del mattino di uno spezzatino di carne che aveva provocato il sommovimento tellurico di parecchi ventri. Arsenio se la rideva, passeggiando tra i sedili, borbottando “Che débâcle, vergognatevi!”, mentre Elena la guaritrice interveniva qua e là, imponendo le sue mani salvifiche sui corpi in ebollizione.
E il ghigno di lui si era accentuato quando erano passati di colpo da sotto il livello del mare nella capitale, agli oltre tremila metri della città di Cuzco: si fregava le mani, dicendo in giro che finalmente, complice l’aria rarefatta d’alta quota, anche i più giovani avrebbero avuto il passo pesante e il respiro affannoso dei vecchi. E aveva tenuto botta davvero quando, sceso in aeroporto, gli sembrava di camminare sull’ovatta e per un attimo aveva temuto di avere le allucinazioni, perché sentiva la musica degli Inti Illimani. E invece l’orchestrina c’era davvero, accanto al nastro bagagli, con i tre musicisti addobbati con poncho e cappelli a tesa larga e coloratissimi.
A Cuzco, Arsenio sfodera il suo mix migliore di autorevolezza e arroganza, decidendo quali sarebbero stati i compagni di viaggio della sua cerchia di elezione e imponendo a tutti orari e regole di condotta sana. Mangiare poco e bere molto mate, per tenere bassa la pressione ed evitare i contraccolpi dell’altitudine. Sa che qualcuno cercherà di sfuggire al suo controllo, ma lui li aspetta al varco. E’ il caso di Avventure-nel-mondo, come lui apostrofa un’endocrinologa tarchiatella che continua a lamentarsi di aver preso parte a quel viaggio organizzato, lei da sempre abituata a immergersi in esperienze fai da te “nella natura vera”. Insieme ad altri due colleghi, medici pure loro, lei si ingozza come un tacchino: i tre, sbeffeggiati pubblicamente da Arsenio, passano così metà della permanenza a Cuzco a vomitare l’anima.
Lui e la sua cerchia, invece, fanno visita ad una rinomata bottega di prodotti locali, dove gustano una speciale tazza di mate: tornano in albergo pimpanti come i vecchietti rinvigoriti dai fluidi extraterrestri in Cocoon, con indosso la maglietta con la scritta “La hoja de coca no es droga”.
Dovevano lasciare Cuzco. Arsenio decide che quello sarebbe stato il giorno perfetto del loro viaggio in Perù, un giorno perfetto come un uovo.
E’ in programma la traversata in treno turistico fino a Juliaca, verso il lago Titicaca. Circa dieci ore attraverso l’altopiano centrale peruviano, sulle Ande.
Arsenio sa come intrattenere i compagni di viaggio con le sue chiacchiere intelligenti e le interminabili partite di bridge in cui straccia gli avversari. Ma è il paesaggio fuori dai finestrini che finisce per togliere la parola persino a lui, rivelando a poco a poco le alture di un pianeta nudo che emana una varietà di sfumature di luce. A La Raya, a quattromila metri, breve sosta obbligata tra i mercanti di povere cose, arrivati dal deserto e dal silenzio. Arsenio scende giù dal treno che sembra James Coburn ne I magnifici sette, e si compra un poncho, scelto dalla moglie.
Alla fine, nei pressi di Juliaca, il treno si ferma all’altezza di una costruzione bassa, squadrata, piuttosto piccola, non proprio degna di chiamarsi “stazione”. Arsenio, la moglie e il loro gregge di colleghi scendono in fretta, in fila ordinata. Neppure il tempo di guardarsi intorno, che il treno riparte. Elena grida:
“I bagagli!”
Non vi è traccia di valigie sul tratto di marciapiede che costeggia il binario, mentre qualcuno cerca d’istinto di inseguire il treno. Nessuno oltre a loro. Intorno, il nulla assolato.
Avventure-nel-mondo apre la bocca a megafono e si produce in una crisi isterica che distrae tutti come un’attrazione allo zoo. Arsenio, col suo passo dinoccolato, entra deciso nella costruzione bassa e ne esce poco dopo, trionfante:
“Sim sala bim, i bagagli son qui”.
E tutti a chiedersi: “Ma come è possibile? Come hanno fatto? Il treno si è fermato un minuto”.
“Perché è gente che lavora e non fa chiacchiere come voi! Forza, entrate, dobbiamo aspettare la navetta”.
Passano le ore e della navetta non c’è traccia. Arsenio non riesce a mettersi in contatto con l’agenzia a Milano. Ogni tanto esce fuori a controllare la strada sterrata dalla quale dovrebbe arrivare il pullman, mentre il cielo si va facendo nero. I viaggiatori hanno perso ogni remora e si sono stravaccati per terra, come capita capita, chi abbracciato al proprio bagaglio, chi vi si è seduto sopra. Elena la guaritrice intrattiene il suo piccolo circolo di adepte, mantenendo su gli occhiali dalle lenti oscurate, nonostante si stia facendo sera.
“Stanotte ho fatto un sogno”. Lunga pausa.
Arsenio continua a digitare messaggi sul cellulare, ma con la coda dell’occhio sbircia i volti anelanti il vaticinio di Elena.
“Ho sognato che non tornavamo a casa”.
Il panico dilaga: “Oddio! E che succede? L’aereo? Racconta”.
Elena si schermisce, mentre Arsenio ridacchia.
Qualcuno rientra in fretta da fuori: “Qua sta scoppiando un temporale”.
Arsenio, lisciandosi i baffetti: “Siamo in cima al mondo. Non è un brutto posto per morire. E poi la scomparsa di trenta accademici…chi se ne accorge”.
Avventure-nel-mondo si avvicina ad Arsenio, con aria assatanata:
“Ma che discorsi sono? Parla per te! Siamo in mezzo al nulla da ore, senza notizie, senza un contatto. E’ uno scandalo, è intollerabile! Io faccio causa all’agenzia, li faccio chiudere, non si abbandona la gente così!”.
Il cellulare di Arsenio squilla. Tutti tacciono e molti gli si avvicinano. Il viso di Arsenio è impenetrabile ed emette solo monosillabi e mugugni. Alla fine alza la testa e guarda intorno l’uditorio prima di comunicare con un sorrisetto:
“Arriva il pullman sostitutivo. C’è stato un guasto”.
Dopo un’altra buona mezz’ora, sotto una pioggia battente arriva una vecchia carcassa bianca e azzurra, delle dimensioni di un piccolo pullmann. Senza portabagagli. Due peruviani afferrano veloci le valigie dalle mani degli universitari perplessi e le legano sul tetto del pullman. Avventure-nel-mondo fa resistenza a mollare il proprio bagaglio. Arsenio, imperturbabile sotto l’acqua, osserva la scena: “Credo che stasera a cena indosserò il poncho, è l’unica cosa nello zaino”.
Il pullmann sovraccarico di persone e bagagli caracolla su una strada pietrosa e piena di buche allagate, sotto una tempesta di fulmini spettacolare. Più Arsenio esalta ad alta voce l’Armageddon andino che stanno attraversando, saetta dopo saetta, più gli altri ammutoliscono. L’arrivo a Puno è in piena notte, volti terrei, bagagli zuppi.
Per gli annali, Arsenio, Elena la guaritrice e i loro compagni sono ritornati sani e salvi in patria, senza neppure il disagio di un vuoto d’aria. L’agenzia ha offerto una cena ai viaggiatori, per stemperare le ire di coloro che hanno vissuto quella che Arsenio ricorderà sempre come “la tragedia di Juliaca”.