Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2024 “Rosanna la bruna” di Antonella Esposito

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

Al liceo avevo accanto una compagna di banco forte come una roccia. A vederla di sfuggita, sembrava mia nonna, mortificata da calze pesanti e golfini infeltriti. A guardarla bene invece, la massa lucente di capelli corvini, gli occhi ardesia con fondo di miele amaro e la risata tonante, illuminata da denti bianchissimi, erano indizi certi della donna affascinante che sarebbe diventata.
Io bianca e lei bruna, “latte e caffè”, come ci chiamavano in classe, ironizzando su quella che a tutti pareva la strana accoppiata del primo banco. Eppure ci intendevamo al volo, Rosanna e io: un’occhiata e ci mordevamo le labbra quando il prof di Matematica incespicava su “Le-le-le-lequazioni”; un’occhiata e partivamo in tandem a mandare in confusione con domande a raffica l’insegnante di Lettere, che riusciva a banalizzare Dante in maniera indecente.
La nostra era una classe mista, anche come estrazione sociale: rampolli di notabili cittadini, che a quindici anni già erano assuefatti all’idea di diventare avvocati o medici, insieme a figli di artigiani e di operai dell’Italsider, i primi della loro famiglia a frequentare il liceo. Io, figlia di insegnanti, a loro volta figli di artigiani, non appartenevo a nessuno dei due gruppi, mentre Rosanna era una di quei figli del siderurgico che negli anni Settanta consideravano ancora lo studio come canale privilegiato di riscatto.
Lei, come me, non avrebbe mai potuto far parte del gruppo delle “carine”, quelle curate come principesse, quelle che si riconoscevano da lontano per i pastelli dei loro cachemire, quelle che la canzonavano per la sua inflessione dialettale e che tra di loro la chiamavano “Rozanna e i zuoi fratelli”.
Io abbassavo gli occhi, non riuscivo a reggere il confronto con le fatine maldicenti, non mi sentivo mai abbastanza.
Rosanna, semplicemente, se ne fregava. Sembrava che avesse chiuso sotto chiave da qualche parte l’insicurezza dell’adolescenza e che si proponesse a testa alta al mondo per quello che era. Soprattutto, non si tirava mai indietro. Nelle partite di pallavolo era sempre lei a segnare il punto decisivo. Alle feste, alle quali la invitavano anche le “carine”, pregustando di vederla in imbarazzo, si presentava sì col solito golfino scuro, ma con un vassoio di panzerottini fatti da lei che ancora se li ricordano tutti.

Perché Rosanna conosceva tutte le arti dell’accudimento, unica figlia femmina con quattro fratelli maschi, il padre impegnato nei turni di fabbrica e la madre che lavorava tutto il giorno in casa come sarta.
Ricordo la prima volta che andai a trovarla a casa sua, un vecchio appartamento a pianterreno che prendeva luce in parte dalla strada e in parte da un cortile interno. Mi colpì all’inizio il buio e la ristrettezza dei locali. Ma a poco a poco mi resi conto che una legge invisibile governava i movimenti e le voci degli abitanti di quella casa: ognuno sapeva dove andare e cosa fare o dire, sempre con toni discreti, e Rosanna a sovrintendere con un battito di ciglia. Osservandola in famiglia, riuscii a comprendere meglio la naturalezza con la quale sosteneva il proprio ruolo di studentessa e vicemadre, doppio ruolo nel quale lamentarsi non era contemplato, perché avrebbe spezzato un equilibrio sottile.
Avere a che fare con i suoi fratelli l’aveva aiutata ad avere un rapporto da pari a pari con i maschi coetanei, che trovavano in lei una conversatrice interessata e senza censure, con le dovute distanze però, aspettandosi uno sberlone alla minima intemperanza.

Ma lo spazio in cui esprimeva al meglio le sue idee grezze ma originali era la scrittura. A volte i suoi temi in classe facevano il giro della scuola, apprezzati in particolare dalla docente di Storia e Filosofia. Uno di questi temi le fece incontrare Enrico, quello della terza C, noto in tutto il liceo “Archita” per la sua passione per il giornalismo e per tutti destinato a lasciare la provincia. L’incontro avvenne in Piazza della Vittoria, dove si affacciava la scuola e dove aveva luogo gran parte dell’intensa attività pomeridiana e serale di composizione e scomposizione di comitive di amici e coppie di fidanzatini.
Un giorno afoso di novembre, all’uscita da scuola, mentre parlottavamo lei e io, sentimmo una voce sfottente:

“Allora sei tu Rosanna la bruna!”.
Enrico spiccava nel gruppo di amici che lo circondavano in silenzio: alto e allampanato, due occhi chiarissimi dietro le lenti da vista cerchiate d’oro. Rosanna dovette sollevare il mento per piantargli gli occhi furenti addosso:

“Rosanna Todaro, non ‘La Bruna’”.
“Complimenti per la scrittura, la Martinelli ce l’ha letto in classe. Non avrei saputo scriverlo meglio”.
“Mmh…E di cosa ho scritto, che ne dici?”.
“Ma tu sei di CL?”.
“Ma no! Cosa te lo fa pensare?”.
“Avevo sentito… forse le apparenze”.
“Già, anche io avevo sentito che saresti un tipo brillante”.

Da allora, ci sono furono solo Enrico e Rosanna, Rosanna ed Enrico. Dal liceo all’università, a Roma e poi all’estero, lui come inviato speciale e lei a far suoi complessi idiomi non occidentali. Con buona pace delle madri delle “carine”, che già avevano intessuto le loro trame matrimoniali, tra un burraco e l’altro.

L’ho incontrata ancora, Rosanna la bruna, un figlio e un divorzio dopo. In aeroporto a Francoforte, mentre aspettava una coincidenza: stessa, inconfondibile risata, ma negli occhi un velo di durezza mentre raccontava in fretta dei suoi incarichi in giro per il mondo come addetta diplomatica in zone a rischio, lei che da ragazza non si era mai mossa da Taranto.
Mi ha salutata con un abbraccio poderoso: “Potevamo divertirci di più”.
E’ stata l’ultima volta che l’ho vista, ma non l’ultima che ho pensato a lei.

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2 commenti »

  1. Molto bello, per un attimo ho pensato che avessi frequentato la mia stessa scuola, simili situazioni, stessa atmosfera sociale. Sei riuscita a ricreare un mondo. Brava.

  2. Mentre lo leggevo mi sembrava di vedere un film di Tornatore…complimenti all’autrice.

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