Premio Racconti per Corti 2011 “Grazie a papà” di Matteo Monco
Categoria: Premio Racconti per Corti 2011Marco è giovane e terrorizzato; il fratello Filippo, più piccolo di due anni, nemmeno capisce cosa accade.
Marco pensa abbia ragione papà, secondo il quale la causa dei suoi frequenti mal di testa sono loro: Marco e Filippo.
«Dovete stare buoni, fermi e zitti», dice la madre. Parla solo a Marco, che è il più grande e prende le decisioni per entrambi. La scelta più difficile è decidere dove trascorrere le vacanze estive. Le opzioni sono molto limitate: la cameretta o la cantina. Nella stanza da letto ci sono i materassi, le finestre e i libri. Nella cantina, invece, il freddo punge le ossa e l’umidità le scioglie, si dorme a terra e si divide la cena coi topi.
La decisione pende sulla cameretta, ovvio, ma non sono i muri, i mobili o la luce che il padre permette di scegliere. Vuole che Marco decida il comportamento che lui e Filippo terranno da metà giugno a settembre inoltrato, quando le scuole ricominceranno e, con loro, la vita normale.
D’estate è così: le scuole chiudono e i fratelli stanno in casa perché abitano lontano dal centro e dai vicini, e mamma non vuole che escano. Dice che è pericoloso muoversi da soli, perché c’é gente che prende i bambini e li porta via. Dice che i loro amici li odiano, che tutto il paese li odia, perché loro sono una famiglia unita, una famiglia perfetta. Pure lei é terrorizzata, sempre seduta a una sedia davanti alla finestra. «Aspetto papà», dice, e lo ripete sia quando papà è fuori, sia quando é sdraiato sul divano. Così lui alza la testa e dice: «Prima o poi l’ammazzo, che ci fa al mondo?»
Proprio lui parla, che sul divano trascorre pomeriggi interi. Tiene un fazzoletto sugli occhi e dorme, perché: «È uno dei due modi per farti passare il mal di testa.» L’altro modo è imbottirsi di grappa come una ciliegia sotto spirito.
Scegliere la camera da letto, rispetto alla cantina, significa promettere di evitare qualsiasi disturbo, come urla, giochi o domande. I bambini in genere sono affascinati dal desiderio di essere invisibili, loro, senza volerlo, lo diventano. Sono in casa, eppure l’unico rumore percepibile è lo scricchiolare dei muri, ma nemmeno questo basta a fermare la furia.
Dentro papà abita un animale arcaico, e dal modo in cui sale le scale i fratelli capiscono quali siano le sue reali intenzioni e condizioni, ma non c’é niente che possano fare. Li trova sul letto, distesi, immobili e con gli occhi chiusi. Fingono di essere morti – sperano che lo pensi – perché forse questo lo fermerà. Sono giovani e stupidi.
Papà spalanca la porta, poi salta addosso per primo a Marco, senza pensare. Non picchia in faccia, ha una predilezione per lo stomaco e le reni. Gli suda addosso, ansima e grugnisce. E picchia, picchia, picchia. Dopo un po’ il dolore sparisce e Marco aspetta che finisca, che arrivi in fretta il turno di Filippo.
Marco e Filippo sono chiusi in cantina da cinque notti quando papà decide di onorare la promessa di uccidere mamma. Sentono due spari. Quando arrivano i Carabinieri, i fratelli pensano sia papà sceso ad ammazzare pure loro. Sono nudi, sporchi e in stato di shock. I Carabinieri dicono che sono fortunati, che se non fossero venuti sarebbero morti là sotto: di fame, sete o malattia. E mentre i bambini vengono condotti all’esterno, Marco, di striscio, sente un carabiniere dire a un altro: «Se non era per il papà, che ha chiamato prima che la moglie sparava, hai voglia a trovarli! Quei due lì devono dire grazie a papà.»
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Tutta la solidarietà ai bambini che hanno la triste sorte di avere un padre come quello descritto nella storia. Solidarietà postuma anche alla madre che se nel corso della sua vita fosse andata a scuola di tiro non avrebbe fatto male. Un consiglio ai carabinieri: fate indagini più accurate. Agghiacciante. Un saluto all’autore