Premio Racconti nella Rete 2024 “Tavolata” di Fabio Fulfaro
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024Il brusio di fondo si stabilizza a un certo punto su di una determinata intensità e sono discorsi interrotti esclamazioni interiezioni incidentali monologhi autocelebrazioni comizi contratti contrasti confessioni rumori di posate strisciate di seggiole che pulsano all’unisono con lo scopo di coprire naturali imbarazzanti silenzi. I tuoi compagni di tavolo si impegnano in circolari discussioni a cul de sac e non si sforzano a darti una mano: ti concentri per volerli tradire… Vorresti afferrare qualcosa di solido in quel fiume di parole, isolare qualche sentenza definitiva o magari scoprire chi bleffa spudoratamente collezionando più di tre indizi scelti tra raucedini ben simulate, contraddizioni grossolane e cambi di voce e di storie. Nella folla ci si confonde ed è problematico smascherare il millantatore: duro davanti a una pizza, con il cocktail di scampi più indulgente. Cerimoniali standardizzati per soffocare perfidi pensieri. Lapsus freudiani: ”Potresti chiavarmi al telefonino?”….solo un rutto un singhiozzo, una sindrome da soffocamento può mostrare chi è veramente sé stesso.
E non certo le lusinghe ben siliconate o panegirici da plastica facciale….ti sei vestito troppo sbadatamente per non poterti fare notare e così, puntualmente, gli occhi irrequieti dei clienti si adagiano fugacemente sui mocassini color ruggine, blue jeans anemici e camicia troppo trasparente che lascia intravedere una maglia interna alquanto patetica. Già per entrare hai dovuto incontrare la resistenza di mille pupille disprezzanti che edificavano insormontabili valli. Per fortuna i tuoi amici hanno speso una buona parola e grazie alla loro interessata intercessione puoi consumare in compagnia il sacro rituale del sabato sera.
“Alcuni gioielli da trenta denari luccicano quel tanto che basta” . Apri gli occhi su una risata troppo sguaiata per potere passare liscia senza conseguenze: la battuta era davvero micidiale, ma ora sospetti che il prezzo da pagare probabilmente è troppo elevato, considerando che c’è in ballo una vita. Noti la ragazza al tuo fianco bloccarsi e spalancare le palpebre atterrita, allungare la mano a V verso la propria gola e cercare con occhi imploranti un disperato aiuto. Sono pochi secondi, ti alzi di scatto e l’afferri da dietro serrando le tua braccia a cintura sul suo diaframma, cingendolo ben stretto. Noti i pomelli auricolari cambiare velocemente colore verso il blu notte. Quasi blu. Dai un colpo con il pugno ben chiuso sopra l’ombelico di lei e senti il corpo vibrare in scosse piccole e lente. Blu Klein. Hai paura, senti il profumo denso della sua chioma bionda allontanarsi e svanire, un senso di distaccata lontananza di un corpo che si sta svuotando…nero di seppia…dai una nuova compressione verso l’alto, stavolta più vigorosa verso l’interno e verso l’alto, aiutandoti con le gambe e piegandoti su di lei more ferarum: il colpo ben assestato proietta fuori l’ossicino incriminato che, beffardo, si nasconde in un bicchiere lontano dopo avere rimbalzato su un Cuvèè Dom Perignon…lo osservi e hai voglia di non mollare più la presa per unirti in eterno a lei…ritornano ad irrorarsi le mucose…la sorreggi per le ascelle….è ancora tremante non parla, ti guarda, prima di ringraziare sviene. Le sbottoni la camicetta con rapidi ed esperti movimenti delle falangi, cerchi il polso ed un bicchiere d’acqua che, nello stordimento generale, tarda ad arrivare. Il capannello di gente attorno al tuo tavolo si dirada appena si accorge del lieto fine e della ragazza accompagnata dal suo lui frastornato quanto imbarazzato. Ritorni apparentemente calmo al tuo posto e purtroppo hai da sorbirti i commenti vicini e lontani che si intrecciano come parole dettate da più telescriventi …
“poteva restarci secca…era diventata nera…”
“ridere da morire, allegria”
“credo si chiami manovra di Heimlich”
“3 risolini satanici, canti di gallo”
“è un dottore suppongo…”
“peccato si vesta in quella maniera…”
“arrivederci mi è passata la fame”
“me ne vado, me ne vado”
“tranquilla….aspettami”
“trenta? trenta denari per pagare…”
E’ chiaro che sono mutate le posizioni di forza poiché è sufficiente una azione fuori dalla ordinaria amministrazione per ottenere un mutamento di pensiero e considerazione. I compagni di tavola ti investono con accenti di elogio, di comprensione tu dondoli il capo travolto dalla ipocrisia e anche a te passa l’appetito. Sbuffi percettibilmente ma non puoi sfuggire all’interrogatorio, vogliono sapere come si fa, dove si può imparare, quanto costa un corso completo di pronto soccorso…ehi non puoi mica tradirli, Giuda dell’ultima cena, adesso sei il Messia salvatore devi distribuire il pane, moltiplicare i calamari, insomma interpretare un ruolo che è l’opposto di ciò che ti eri promesso di realizzare. Mancano solo gli autografi e il minestrone è al punto giusto di cottura. Ti distorce tanta umana leggerezza, ricordi l’onda che ti ha risparmiato, ti commuove tanta inutile processione o forse è la stagnante nuvola di fumo passivo a creare problemi alla congiuntiva, ti impietosisce questo camaleontico modo di porsi di fronte alla realtà. Qualche signora dai tavoli bene lancia messaggi in codice o ha un tic devastante alle palpebre. Non ci vuole molto per capire che la tua scientifica ricerca della verità si complica maledettamente: quelli che hai accanto o relativamente vicino sono amici o futuri miracolati? Potranno anche loro dire:”io c’ero, anche se ho dormito tutto il tempo!”
“In verità in verità vi dico voi sarete con me alla Rinascente”
Ti riscopri con un bel cappio al collo, munito di splendido nodo. Inoltre hai seri affanni nella digestione e tra meteorismi e rumori apocalittici, pensi come sia tremendamente impervio fingere in una immagine o meglio che l’immagine statica regala la possibilità di scoprire ogni tipo di forzatura ma non i suoni o le voci del reale. Stai per ritrovare il filo quando ti violentano seduta stante con una domanda retorica: ”Ce l’ha sodo il sedere?”.
Che cosa fare? E’ spontaneo, è vero, è sincero. Non è una battuta gettata sul tappeto verde in azzardo. Glielo leggi negli occhi. Pietro è spaventosamente sincero. Non vuole provocarti. Dice semplicemente ciò che gli detta l’istinto, la prima scarica neuronale del rinencefalo e zac….spara la cavolata sulla tavolata. Evidentemente sei in crisi e ti volti verso il tuo interlocutore arrossendo non per l’argomento trattato, ma perché crolla buona parte della tua teoria. La verità di un cervello normale è più dannosa della bugia di un genio. Sei troppo stravolto dalle macerie del tuo filosofeggiare instancabile e un po’ rompicoglioni. E allora è necessaria tutta questa verità? Compromessi, non è onesto ritornare ai compromessi, una scelta dovrebbe essere definitiva; mentre Pietro attende curioso la risposta versandosi altro vino bianco, i suoi sguardi irrequieti danno il la per una originale soluzione: ogni verità, filtrata dall’apparato fonatorio di un uomo, di per sé è gia distorta nelle intenzioni e nei toni, e cessa di esistere dal momento che noi vogliamo ardentemente che sia o che non sia, che appaia meglio o peggio, che colpisca più o meno. Secondo gli scopi. Ecco naturale la risposta: “Non sono un dottore sono un medico, i trenta denari dalli al boia per farti impiccare”. E giù una risata da taverna obnubilatrice con serio rischio di auto-soffocamento.
La parte maschile della tavolata, molto concreta e pragmatica, riprende fortunatamente a detestarmi e a calcolarmi con sufficienza. Tutti gli altri, passato lo smarrimento del momento, si incanalano in un ennesimo accenno di turpiloquio a sfondo sessuale che tu tagli corto brindando alla laurea di Luca. Ti sei conservato questo espediente nei momenti di difficoltà.
Il brindisi augurale permette al resto della comitiva di riprendere i loro atavici discorsi su amicizia amore sesso e libertà e a te di estraniarti dalla folla e focalizzare una immagine, l’immagine dell’uno che tradirà. Punti lo sguardo fisso verso il fondo della sala e procedi dinamicamente in linea retta. Quello che ti intristisce è il dovere restare fermo su di una sedia mentre l’angolo di visuale procede in profondità nel campo visivo. Basterebbe qualche supporto farmacologico per procedere in questo percorso con origine dal punto medio delle tue sclere fino ad un muro….e allora via in successione il lobo dell’orecchio di Paolo, una sedia vuota o meglio con sopra quattro molliche di pane, giacca con perline, orecchini taroccati in nuvola passeggera di fumo, registratore di cassa con mano pelosa e con fede, passa veloce un cameriere, si solleva la signora con giacca e anelli dovunque, ancora una sedia vuota, passa un inserviente con mano nel registratore di cassa, due clienti imputati protestanti, tre calici vuoti uno rovesciato a terra, tieni duro, vai veloce su due bocche, ecco due bocche.
Si stanno baciando sulla retta, la retta si conclude al punto medio delle due bocche poco prima della parete, di tutto l’intorno non ti deve interessare, devi rimanere neutrale, devi zoommare sulle quattro labbra, il punto a fuoco sono le quattro labbra, sotto di esse un segno evidenziatore. Un bacio non può durare infinito, si dovranno staccare per i normali scambi respiratori, per problemi di ossigenazione. Credi di essere prossimo al tuo concetto di verità, ne sei tanto preso che non esiti a tralasciare il grande mormorio della tavolata sempre più flebile, abbandonandoti in un angolo egoistico di meditazione. Ora le bocche sembrano separarsi e appare un punto come un inizio di immagine, ritornano insieme: un aggrovigliarsi di ombre umane si affolla sulla tua retta, maledetta la gente, maledetta la massa che fa massa, riesci a stento a trattenere lo sguardo e mantenerti saldo. Concentrazione, non ti distrarre….non si accettano carte di credito, sbadigli dei proprietari, cameriere impercettibile deviazione, le mani con soldi. Adesso si allontanano piano le bocche e l’immagine ti ferisce come lama d’alabarda. Uno specchio, è uno specchio e riflette pupille come fessure, le spalle ricurve, il tronco proteso in avanti in morbosa investigazione, le mani, non vedo le mani…
La tua immagine contorta ti è insopportabile, detesti questo boomerang sinistro e speri che qualcosa o qualcuno ti possa insegnare l’arte del respirare a pieni polmoni l’infantile voglia di esistere. Ma per salvare delle vite, la propria è sempre in discussione, specchio rotto dei tradimenti del mondo. Ti verrebbe da singhiozzare se davanti a te non si piazzasse un cameriere, tarchiato e olivastro, con baffo da gigolò e peli ribelli sulle guance e ti intimasse: ”Paga lei il conto?”
Ti volti a cercare gli amici ma non ci sono.
Non sono un dottore sono un medico. Direi che potrebbe cambiare tavolata di amici, tanto che ci sta a fare lì? ;-))
È bello questo andamento discontinuo, per accumulazione, e poi con gli scarti, questi trenta denari, l’incidente buttato in caciara e quel bacio che stordisce al punto da non rendersi conto che si è soli, forse non troppo soli rispetto a prima ma, ahimè, con un conto da saldare
Bello, come il protagonista, vestito come quando si porta fuori il cane di notte.
Grazie francesca. L’intento era creare questo flusso di pensieri che sfociasse in un finale dove irrompe la realtà a chiedere il conto. Basta poco perchè da Giuda si diventi Messia, per poi ritornare con la stessa velocità da tradito a traditore. Ma, hai ragione tu, forse si è meno soli rispetto a prima.