Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2022 “Donna con cane” di Irene Amore

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

Antonia accarezza il pelame ramato di Nina e le mette il guinzaglio. È l’ora della passeggiata e Nina è già agitata, ha bisogno di uscire. La coda tesa si dibatte pestando qualunque cosa incontri, zampetta urtando le unghie contro le mattonelle del corridoio, battendo col muso la porta di casa. Antonia la conosce quell’agitazione come conosce l’ esasperata inquietudine che le siede sulla testa ogni mattina.  Antonia sa leggere nelle impenetrabili cavità del cerebro canino. Nina ha bisogno adesso, esattamente ora, proprio in questo preciso momento di slanciarsi nell’aria invitante del mattino, sporcarsi le zampe e le zanne di terraccia del parco, liberarsi degli escrementi che le si sono accumulati dentro e buttarsi all’impazzata agli abbaiamenti sciolti, nell’annuso reciproco con gli altri cani.

Antonia queste cose le sa, l’immaginazione gliele ha insegnate.

Come sa che quel tizio che l’aveva fermata per chiederle dove avesse comprato il guinzaglio chilometrico di Nina è un sadico, irritabile e imbarazzante.

“Buongiorno, scusi, dove posso comprare un guinzaglio come il suo? Mi sarebbe molto utile, Toby mi spinge sempre lontano con la forza che tiene, ha bisogno di spazio, questo mastino, mi fa impazzire.” Impazzire, aveva detto. Un brivido scriteriato  l’aveva attraversata. Si era sentita addosso quei due occhi scuri, intensi e penetranti, due lanterne roventi a scandagliarle il fondo, e quel sorriso gentile, espansivo, curioso, magari anche interessato ai suoi segreti. Solo il medico era interessato ai suoi segreti.

“Non ricordo, l’ho comprato online. Li trova facilmente online, basta che fa una ricerca.”

“Posso chiederle come si chiama?”

“Non ricordo, scusi. L’ho comprato qualche tempo fa.”

“Intendo lei, come si chiama?”

L’aveva sentita dritta sotto il seno, la stilettata lucida e crudele, vagamente dolciastra, le aveva procurato la più piacevole ansia. Aveva distolto lo sguardo e lo aveva appoggiato su Nina, per stemperare  lo struggimento. Aveva voglia di infilare le unghie dritte dentro quel pelame ramato, fargli uscire un poco di sangue.

“Antonia.”

“Bel nome. Io sono Marco. La vedo qui intorno ogni tanto, a portare fuori il cane. Bello questo parco, vero?”

“Si.”

Quegli occhi scuri, intensi e penetranti le stavano togliendo il cappello di lana, la sciarpa, il cappotto blu vecchio e pesante, gli stivaletti neri, il maglioncino a collo alto, i jeans, le calze che portava sotto i jeans per proteggersi dal tempo fuori sempre così incerto e rischioso, il reggiseno blu come il cielo, e poi ancora più in basso le stava togliendo la pelle. Trasudava nei palmi delle mani e ai bordi delle ascelle, se lo sentiva addosso l’odore feroce della traspirazione che le corrodeva le viscere. Il peso di quell’abitudinaria esasperazione le premeva le tempie.

Nel silenzio interminabilmente vuoto, entrambi avevano guardato qualcosa all’orizzonte, in fondo al parco. Lei voleva precipitarcisi, in quel fondo di parco, insieme a lui, il cuore che le era divampato sotto il seno, nel punto preciso della stilettata, le sanguinava pieno di fetori brutali e incantevoli, avvinghiati felici loro due di cose vive e brulicanti come l’acqua degli stagni, il mondo finalmente sciolto nel piacere dei turbamenti condivisi.

“Piacere di averla conosciuta, Antonia. Buona giornata.”

Con la coda dell’occhio l’aveva visto di nuovo, quel sorriso buono e ordinato, gli si era sprigionato nuovamente dalle labbra e la custodiva dalle intemperie del mondo, una specie di amore.

Lo aveva sognato quella notte, in volo insieme senza rotta, un elicottero di quelli di altri tempi, leggero come fosse di carta, ed un paesaggio intorno un po’ come il parco, ma più grande, una distesa sinuosa carica di luce rossa palpitante, profumata di rose di spine, e loro che volavano altissimi e fiduciosi, pieni di quella specie di amore, Antonia con Nina accanto sedute di fronte, Marco di dietro con il suo mastino senza nome, sicuramente proteggendola perchè ne sentiva tutta la placida cura respirarle addosso e sempre il sorriso buono e ordinato che le calmava i nervi esaltati e strambi. Si libravano insieme dentro l’orizzonte infinito, alla ricerca del fondo del parco che non arrivava mai, insieme, e lei che non si era mai sentita così in pace con il mondo.

Cosa fosse successo poi non se lo sapeva spiegare. Il giorno dopo aveva creduto che fosse un segno del destino se Marco le era sbucato di fronte quasi dal nulla, quasi all’improvviso. Così vicino che aveva creduto di respirare la stessa placida cura sentita nel sogno, ed anche la luce intorno era diventata rossa e il profumo denso di spine. Perciò gli era corsa incontro, a salutarlo per gentilezza da persone educate, nessuna intenzione malsana come il medico voleva attribuirle, solamente sapere come stesse, e gli aveva chiesto garbatamente se avesse dormito bene, se il giro in elicottero gli fosse piaciuto e se aveva voglia di farne un altro, da buone persone perbene appunto, niente di più. Gliel’aveva notata, quella strana smorfia, ma aveva fatto finta di niente per non distrarsi, e col ricordo del giro in elicottero, in bocca il sapore dolciastro della stilettata, gli aveva piazzato gli occhi addosso per abbaiargli e convincerlo che davvero le sarebbe piaciuto volare nuovamente insieme. Marco aveva subito distolto lo sguardo ed era sgusciato via bofonchiando un saluto un po’ maldestro, tirando a forza il mastino senza nome. Forse un poco timido, pensava Antonia, e gli era sobbalzata appresso d’istinto, latrandogli dietro il nome, due parole ancora, anche se il medico glielo aveva sconsigliato, ma c’era quella esasperante pesante calamita che la incollava a Marco. Poi, intimidita di nuovo, affaticata dai nervi, si era fermata e accarezzando Nina si era detta che forse era questione di tempi e che tra qualche giorno Marco le avrebbe chiesto di fare un altro giro in elicottero.

Invece il giro in elicottero non erano più riusciti a farlo. Ormai da giorni Marco era sparito, l’aveva cercato per tutto il parco, fino in fondo dove non c’era più niente, spingendo Nina anche dietro le siepi più spinose ma senza rose e senza profumi, negli angoli più smarginati e solitari, col cuore denudato e rigido dietro la stilettata, il cuore che continuava ad incenerirsi nauseabondo. Quel sorriso non era più riuscito a spiccicarselo di dosso, gli era rimasto incollato alla pelle come miele andato a male, le imprigionava il respiro nel bel mezzo della notte senza lasciarla dormire, sciupandole i sogni leggeri che aveva smesso di fare. Si girava e rigirava sotto le coperte mentre gli occhi scuri intensi e penetranti la fissavano dal soffitto come una minaccia imperscrutabile, spogliandola di ogni gentilezza, impregnandole le ascelle di putridi fetori. Al risveglio ogni mattina l’immagine dell’elicottero si perdeva dentro il pelame ramato di Nina, incastrato per sempre al guinzaglio chilometrico, la solita inquietudine seduta sulla testa.

È l’ora della passeggiata ed ha bisogno di uscire, in volo dovunque da sola e senza rotta. I nervi tesi si dibattono pestando qualunque cosa incontri, vicino alla porta di casa si abbassa accanto a Nina, urtando le unghie contro le mattonelle del corridoio, si batte la fronte.  

Adesso, esattamente ora, proprio in questo preciso momento Antonia sa che non le rimane altro che il fondo vuoto del parco e si sente scovata e spogliata. Si slancia nell’aria infetta del mattino, dentro questa luce opaca e grigia, terrorizzata si sporca i piedi nudi e la bocca di terraccia e spine, si libera degli escrementi che le si sono accumulati dentro e si butta all’impazzata agli abbaiamenti sciolti, leccandosi la stilettata sanguinolenta sotto il seno. Non si è mai sentita così in pace con il mondo.

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