Premio Racconti nella Rete 2022 “Il mio disincanto” di Anna Gravino
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022“Il mio disincanto”
Con il potere, a me conferito, la dichiaro “Dottoressa in Antropologia ed Etnologia”.
La voce del presidente, che mi proclama, si assottiglia in un sussurro lieve e ovattato, mentre ascolto l’impeto della mia felicità che duetta con l’orgoglio di avercela fatta.
La richiesta di conferma fa sorridere l’intera commissione:-Ho finito? Finito? Davvero?
Abbandonare l’università a vent’anni era stata una scelta obbligata dalla situazione economica della mia famiglia. L’unica fonte di sostentamento, il lavoro paterno, era venuta a mancare proprio nel periodo in cui i sogni giovanili cercano la strada per andare incontro alla realtà.
Il profumo e la bontà frugale del pane bagnato, condito con il pomodoro a fette, l’olio, l’aglio e il sale, la cena ricorrente di quei tempi, mi ricordano le proteste di mio padre per una decisione inaspettata; i lavori malpagati e le ripetizioni pomeridiane che apparivano come l’unica possibilità per dare una mano.
-Papà, poi mi riscrivo. Stai tranquillo. Lo faccio! Ci tengo anch’io a laurearmi, lo sai.
Niente, tuttavia, riusciva a convincerlo. Nemmeno la consapevolezza che le promesse erano per me sacre ; che vi avrei tenuto fede per realizzare la nostra ambizione comune.
Ambizione, proprio un’ambizione per lui che a otto anni aveva imparato a sopperire ad un ruolo paterno, minato dalla distruzione dei campi di concentramento, rinunciando ad andare a scuola e a “diventare qualcuno”, come spesso ripeteva quando mi raccontava della sua infanzia .
Una figlia “dottoressa” era il suo grande desiderio, ma non era mai diventata un’imposizione per me. L’amore per la conoscenza credo me l’abbia trasmessa quando mi stringeva la mano dal lettone per farmi addormentare serena.
Alla fine del secolo scorso, la quotidianità dei piccoli paesi meridionali, era spesso ed ancora altra dalla storia dei grandi paesi e dei centri urbani. Anche le relazioni umane avevano dinamiche di sapore quasi gerarchico e la cultura, la formazione erano probabile strumento di riscatto sociale.
Laurearmi era anche la mia ambizione e non ci avrei rinunciato per nulla al mondo.
E… ci siamo riusciti , non importa che siano trascorsi trentacinque anni.
Riusciti insieme, proprio così. Quei soldi che erano serviti per tirare avanti , papà li aveva rimessi nella magica scatoletta di metallo, giorno dopo giorno, e aveva voluto che li usassi per le tasse universitarie senza sentire ragioni.
Il fotografo intanto si propone. Non mi piace immortalare i momenti importanti, preferisco imprimerli nella memoria e riviverli chiudendo gli occhi, abbandonandomi alla mia sfumatura adolescenziale. Stavolta, però, acconsento:-Le farò per il vecchietto .
Ho cinquantasei anni e una laurea magistrale: caspita!
-Uè, papà! -mentre mi avvio alla stazione, lo chiamo per tranquillizzarlo.
-Allora?
-Domani si festeggia. Pizza?- Lo sento gioire, caro il mio vecchietto.
-Papà sto tornando Se non si fa troppo tardi, passo a salutarvi, altrimenti ci vediamo domani mattina.
La strada del ritorno concilia pensieri presenti e passati e uno strano turbinio emotivo non mi fa sentire tranquilla.
-Papà, apri!- alla fine sono passata anche se è tardi.
C’è buio in casa perché lui e mamma stanno guardando la tele.
Mi abbraccia forte, forte:-Ricordati che ti voglio, tanto, ma tanto bene.
È diventato piccolo, vulnerabile.
Non capisco, ma sento, in quella stretta, qualcosa che mi spaventa. Da qualche tempo mi ripete che è stanco, che vuole morire:-No, caro papà, questo non te lo permetto.
Gli ho programmato controlli ed esami, con la dolce minaccia che non mi avrebbe più vista se avesse fatto i suoi soliti capricci. Ostile ai farmaci e ai medici, per una logica tutta sua, non ha mai completato una terapia senza protestare e addirittura rifiutarsi.
Anche ora sta ripetendo la nota litania . Mi fa stare male quando mi dice queste cose, eppure continua a farlo.
-Vabbè, da domani si cambia registro-penso, mentre ci dirigiamo in sala dalla mamma.
-Papà, domani passo in farmacia e prendo degli integratori. Intanto martedì c’è la prima visita e sentiamo. Ma non fumare, per carità. Sei stanco, vedrai che piano piano ne veniamo a capo. Io voglio solo che ti riposi e sarà il caso che mi lasci cucinare. Mangi, vero? Non sono brava come te, però almeno ti sollevo dallo stress dei fornelli.
Papà era un bravo cuoco da giovane e la passione non l’ha mai abbandonato. La domenica preparava il pranzo per tutti e le sue mitiche polpette sparivano puntualmente prima di pranzo.
Eccomi qui. Per entrare in farmacia c’è una coda interminabile, ma aspetto.
Aspetto, certo che aspetto.
Papà però non ne ha più bisogno: mi ha lasciata la notte in cui il nostro sogno si è realizzato e con lui ha portato via la mia capacità di rincorrere utopie.
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La conclusione, seppur amara, mi ha colpito per come è stata formulata e per ciò che ti insegna. Non solo perdiamo i nostri cari, delle volte anche l’energia e la volontà che essi ci trasmettevano viene meno. Ho appreso una cosa nuova, quasi un’ovvietà mi verrebbe da rimproverarmi. Grazie!
Racconto ben scritto con protagonisti, direi, i valori che se messi in pratica potrebbero rendere significativamente migliore la nostra società. L’epilogo, però, è alquanto malinconico mostrandoci il volto spietato della vita che spegne sul nascere un dolce sorriso. Complimenti