Premio Racconti nella Rete 2022 “Smalltown Boy”, o meglio quel cretino che sono di Lino Belleggia
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022Mi aveva notato finalmente, dopo mesi di appostamenti e di ansie, e io ho creduto che fosse un segnale, magari un incoraggiamento, insomma tipico di quel cretino che sono. Il miracolo è avvenuto all’uscita di scuola, in cortile, grazie al mio Sony Walkman nuovo di zecca che lui mi ha sorprendentemente chiesto di provare. Da lui così introverso e controcorrente, lui con il chiodo di pelle nera un poco strappato sulle spalle e con i jeans logori come gli anfibi, da lui fissato col calcio e il buddismo, da lui non me lo sarei mai aspettato, ma è stata una sorpresa da sballo. Di solito, salvo rare eccezioni, dico sempre di no a chi mi chiede di provarlo, il mio Walkman, perché ne sono molto geloso, ma lui l’ho lasciato fare, e gli ho addirittura permesso di ascoltare una canzone intera, “Karma Chameleon” dei Culture Club. Alla fine, mentre si sta togliendo le cuffiette, mi chiede se ho qualcosa dei Bronski Beat. Non riuscivo a crederci, proprio loro, il mio gruppo preferito! Inizio subito a frugare nella mia Tolfa e trovo la custodia di The Age of Consent, ma dentro la cassetta non c’è! Che cretino, l’avevo lasciata nello stereo in camera mia. Io ho il cuore in pezzi e anche lui mi sembra dispiaciuto ma accenna un sorriso e mentre se ne va, dice a voce bassissima: “Sarà per la prossima.” A quel punto, vado in confusione, quella frase quasi sussurrata mi ha mandato fuori di testa. Come interpretare il suo comportamento? Ci sarà una prossima volta? Non si fanno certe cose per caso, allora cosa c’è sotto? Tutto questo ho pensato e ripensato, vagliando ogni possibilità, da quel cretino che sono.
Subito dopo, neanche a dirlo, sono completamente fuso e decido di non andare in biblioteca a studiare, come faccio di solito, perché sarebbe inutile, e me ne torno dritto a casa. Trascorro il pomeriggio sdraiato sul letto a guardare DeeJay Television e a canticchiare tutto quello che passa “Sing-a-Song”. Aiutato dalla musica, mi viene un’idea per dare seguito a quello che era successo in mattinata e cogliere al volo l’occasione. Gli avrei fatto una bella cassetta con le canzoni dei Bronski Beat compresi i remix e i b-side dei dischi che mio cugino mi ha portato da Londra. A quel punto, però, avevo bisogno di un consiglio, insomma di confrontarmi con qualcuno che sapesse di me. Non ho molte scelte a riguardo perché l’unica persona che sa è la mia amica Silvia, anche se, conoscendola bene, non mi aspettavo di certo una reazione diversa da quella che poi ha avuto. “Ma lascialo stare quello lì che è uno sfigato e pure un po’ zecca,” mi ha detto, come previsto. “Guarda che quello è pazzo e pensa solo al pallone, e poi che ne sai, magari gli piacciono le ragazze e tu ci rimani come un cretino.”
Nonostante Silvia, e i rischi che potevo correre con quel gesto, a me quella della cassetta sembrava un’idea fantastica. Ero consapevole che in certe iniziative i pericoli sono sempre in agguato, e sapevo che se lui mi avesse sputtanato, la presa in giro dei compagni di scuola sarebbe stata terribile, e i miei due ultimi anni di liceo si sarebbero trasformati in un inferno. Lui però non era così, con quel sorriso timido e sincero non avrebbe mai potuto farmi del male in un modo così banale. Questo pensavo da quel cretino che sono, sempre lì a dare fiducia alla gente, ma ero così pieno di entusiasmo che tutto mi sembrava irrilevante. Mi metto all’opera togliendo il cellophane da una TDK D46 nuova di zecca. Mentre la registrazione va avanti, faccio pure la copertina tagliando delle foto che avevo trovato su TV Sorrisi e Canzoni e messo da parte nel cassetto della scrivania. Il giorno dopo, nel pomeriggio, esco di scuola e mi dirigo verso il campo di calcio comunale. Una volta lì, mi metto sulle gradinate a guardare la fine degli allenamenti della sua squadra e non riesco a togliergli gli occhi di dosso. Sto seduto ma non riesco a rimanere fermo dall’agitazione. Mi sudano le mani e ho le dita dei piedi gelate, o almeno così mi sembra. Gli allenamenti non finiscono mai e la mia ansia sale così tanto da mancarmi il respiro. Quando finalmente esce dal campo, si volta e incrocia il mio sguardo, mi fa un cenno con la testa e a me iniziano a tremare le gambe da pazzi. Mi faccio coraggio, cerco di riprendermi e scendo le scale piano piano fino ad arrivare all’uscita degli spogliatoi. Aspetto un po’ fuori facendo finta di leggere le bacheche ma visto che non usciva, decido di entrare con la cassetta in mano. Appena metto piede dentro, mi pento tantissimo perché sta con altri tre ragazzi e il rumore della porta li ha fatti voltare tutti nella mia direzione. Lui ha ancora l’asciugamano stretto intorno alla vita mentre gli altri sono nudi, o almeno credo, non ho il coraggio di guardare. Non so più che fare, sono imbarazzatissimo, così invece di dire qualcosa come ‘scusate, ho sbagliato porta’, gli metto la cassetta in mano e scappo via. Come posso essere stato così stupido? Scappare via così, poi, è stato da pazzi.
Il giorno dopo, nel tardo pomeriggio, mentre sto uscendo dalla biblioteca mi appare davanti dal nulla e, senza staccare mai lo sguardo dalla punta dei suoi anfibi, mi chiede se possiamo parlare un po’. Forse lo avrei dovuto capire, ma ero talmente felice che, senza pensarci due volte, lo seguo nel vicoletto isolato che collega il parcheggio posteriore della scuola con una strada secondaria. Lui cammina davanti ed io dietro in silenzio. Una volta lì, si ferma nell’angolo più buio e si volta verso di me con uno sguardo diversissimo dal solito, cattivo. Passano pochi secondi e vedo arrivare dalle due estremità del vicolo i suoi tre amici che mi chiudono ogni via di fuga. Mi accerchiano velocemente e iniziano a spingermi finché non cado per terra. Il primo calcio me l’ha dato lui, sulla schiena, tanto forte che mi è mancato il respiro, poi me ne hanno dati tanti altri, tutti e quattro, dappertutto. “Brutto frocio di merda, brutto frocio di merda,” continuavano a ripetere. “Adesso ti sistemiamo noi, checca schifosa.” Mi prendono per le braccia in due e mi legano al palo di un cartellone pubblicitario mezzo bruciato. Sono terrorizzato. Lui tira fuori la cassetta dalla tasca, getta in terra la custodia e la schiaccia con un colpo d’anfibio. Poi inizia lentamente a tirare fuori il nastro e lo riduce in mille pezzi mentre mi fissa con occhi glaciali. La cassetta fa la stessa fine della custodia ed io sono paralizzato dalla paura. Mentre due mi tengono fermo, il terzo mi prende la testa da dietro e fa in modo da tenere la mia bocca aperta. A quel punto, lui si avvicina tenendo in mano il nastro della cassetta a pezzi e inizia a ficcarmelo in bocca con violenza forzandomi a mandarlo tutto giù. Sto per soffocare. “Non provare più a romperci i coglioni principessa perché la prossima volta ti ammazziamo,” e via un calcio in faccia, il suo, che mi fa saltare un dente, l’incisivo. Sputo sangue e all’improvviso sento uno strano calore fra le gambe. Me la sono fatta addosso. “Guardate, la femminuccia del cazzo s’è pure pisciata sotto. Adesso marcisci qui in mezzo al tuo piscio e alla merda di cane, ciucciacazzi!” e ancora un altro calcio, sulle costole questa volta. Non ho fiatato perché sapevo che sarebbe stato inutile, anzi pericoloso. Certo, ho pianto, ma non tanto per le botte, l’umiliazione o la paura, le lacrime scendevano in silenzio per la sorpresa di vederlo lì a comportarsi come gli altri. Una sorpresa amara perché credevo che lui fosse diverso, tipico di quel cretino che sono, invece mi ha picchiato più degli altri mettendoci più odio e disprezzo.
Devo essere svenuto perché quando ho ripreso conoscenza, se n’erano andati. Ci ho messo un’ora prima di riuscire a slegarmi e tornare a casa. Quando mia madre ha aperto la porta, per poco non ci rimane stecchita tanto che ha dovuto stendersi sul letto, neanche fosse stata lei a beccarsi tutte quelle botte. Mio padre, invece, mi ha guardato scuotendo la testa e ha ripetuto il suo solito ‘farai una brutta fine’ mentre se ne tornava in salotto a guardare la partita. Lo sapevo, era la tipica reazione della mia famiglia, e a me non rimaneva che tornare in camera mia, infilarmi le cuffiette del Walkman e spingere PLAY. But the answers you seek will never be found at home/The love that you need will never be found at home.
Splendido. I miei complimenti
Mi fa piacere che ti sia piaciuto, grazie!
Un episodio triste ma raccontato bene, che fa riflettere su “la banalità del male” e anche sull’indifferenza negli occhi di chi dovrebbe aiutarti e non voltarsi dall’altra parte. Mi è piaciuto come descrivi le farfalle nello stomaco, le prime s-cotte non si scordano mai, della serie sarò un cretino ma mi butto e ci provo. Questo è lo spirito che si dovrebbe avere sempre.
Aggiungo, anche il titolo calza molto e invita alla lettura!
Grazie Nicola!
Un tuffo negli anni ’80! Che ricordi. Il racconto è molto bello e nella prima parte rende bene le aspettative e le ansie dell’adolescenza. Il finale è in linea con quello che la vita reale ti può “insegnare”. Complimenti!