Premio Racconti nella Rete 2022 “La signora con la K” di Francesco Martini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022Meno due, meno uno… e poi finalmente la campanella. Le dodici e trenta in punto. In un attimo giù per le scale, a correre e spintonarsi l’un l’altro, lanciati verso la finestra di luce che, un portone immenso, lascia filtrare per pochi minuti ogni mattina. Ancora una rampa e ci catapultiamo a rotta di collo lungo il porticato che fiancheggia il gigantesco piazzale all’entrata. Come sempre facciamo a gara a chi arriva primo e non basterà quel cancello grigio a fermarci, per quanto ferro possa contenere, non basteranno gli urli e le imprecazioni delle suore a farci mettere giudizio – a dei bambini… ridicolo – né a prestare attenzione agli scalini proprio a ridosso dell’ultima piazzola prima dell’uscita, perché non ascoltiamo una parola e so già che qualcuno si sbuccerà un ginocchio o un gomito, sì… proprio su quei dannatissimi scalini – ma è lo stesso perché da piccoli si è fin troppo tolleranti al dolore – e allora ancora più forte corriamo, più forte urliamo, e il sole che balena dai portici ci acceca e l’ombra ci ristora e tutti insieme al galoppo, ancora per qualche secondo, fino al cancello della nostra disperazione che sembra guardarci impassibile e impassibile si lascia varcare. Finalmente siamo fuori!
Per quest’anno la scuola è finita e tra un po’ so già che andrò al mare con mia nonna e giocheremo a carte tutti i pomeriggi e a luglio arriverà mia madre e insieme faremo lunghe passeggiate sulla spiaggia e la sera mi racconterà qualche storia; poi il fine settimana verranno tutti i nostri parenti e magari riuscirò a giocare a scacchi con mio cugino e andrò in bicicletta con i miei zii e i pranzi con le bistecche alte tre dita e le cene con il pesce fresco e tutto sembrerà bello e – ne sono sicuro – durerà in eterno.
Ma intanto devo tornare a casa: oggi è sabato e so già che nonna avrà preparato un’immensa cotoletta con una valanga di patatine fritte che a malapena riuscirò a finire. Mi incammino con il languorino in bocca e non faccio in tempo a svoltare l’angolo che intravedo una splendida spider rossa – Dio com’era bella la Lancia Fulvia di mio padre – con una signora seduta accanto al guidatore che sta fumando una sigaretta. Mio padre scende dalla macchina e tira indietro il sedile facendo cenno di salire. Mi verrebbe allora di correre e saltargli in braccio, stringerlo forte, ché in fondo è quasi un anno che non lo vedo – stupido che ci ricaschi sempre – ma in effetti può bastare anche una pacca sulle spalle di quelle che poi molti anni dopo mi sarei affannato a restituirgli puntualmente.
Si chiama Veruska con la K, la signora che fuma. E fuma parecchio, tanto che in macchina è come se ci fosse la nebbia e a stento riesco a respirare. È russa e ha detto mio padre che ora vivono insieme ma, a essere sincero, non ho capito granché: insomma, il motivo di questa visita di Veruska e perché poi fumi così tanto. Quello che so è che oggi non mangerò la cotoletta con le patatine fritte perché nonna ha dato il permesso al babbo di portarmi a pranzo fuori e con mio padre si mangiano solo uccelli, per lo più tordi e allodole. Ma in ogni caso chi se ne importa della cotoletta e ben vengano gli spiedini perché oggi sono con lui anche se – è vero – avrei preferito non ci fosse questa signora che in effetti mi vergogno anche a guardare. Forse per la sua magrezza – mai vista una persona così magra – o forse per il suo modo di parlare… O per le sigarette che si accende in continuazione e che esalano fetore di muffa e cantina.
Ci dirigiamo verso la Val di Bisenzio, perché mio padre quando pranza fuori va sempre in quella valle dove scorre il fiume Bisenzio che da Vernio arriva fino a Prato. Cominciamo a salire e il tempo inizia a rannuvolarsi. L’ombra incombe dall’alto e allora vorrei raccontare tutto quello che mi è successo durante quest’anno di corse e compiti, di litigate e di pallone, di amicizie e delusioni, di cotolette e patatine che avidamente mi sembrano sempre più buone tanto da chiedermi se mai ci sarà un limite a questa bontà o se magari arriverà un giorno – e so già che accadrà – in cui le cotolette non potrò neppure più soffrirle e solo a vedere una patatina fritta mi si rivolteranno le budella.
Sì, caro padre mio, vorrei raccontarti di quello che mi sta succedendo alla soglia di questi miei nove anni, che detta così sembrano pochi ma in effetti a me paiono un’enormità. Ma come posso fare, dimmelo tu che sei grande, sì… Come posso fare a raccontarti tutto questo se devo costantemente preoccuparmi di questa signora russa con la K, che forse è pure comunista e i comunisti sono pericolosi – è risaputo – specie se russi, soprattutto per i bambini! E finisce che allora comincia lei a parlare e dice che vuole molto bene a mio padre – chi se ne importa – e poi non so come si mette a discutere di politica con lui ed entrambi si trovano d’accordo sul fatto che in Italia è tutto sbagliato e che il partito qua e il partito là e insomma ci vorrebbe più comunismo e meno democrazia cristiana, e mio padre inizia a bestemmiare e mentre lo fa aumenta il volume della voce ma soprattutto sostengono che ci vorrebbero meno preti e meno suore e che il colpevole di tutto, o perlomeno uno dei più colpevoli è proprio lui, Sua Santità – come lo chiama mia madre – o pastrano bianco – come invece dice mio padre – e allora la mia preoccupazione aumenta e senza farmene accorgere mi metto a recitare il Padre Nostro e l’Atto di Dolore perché – è la mamma che me l’ha insegnato – davanti a qualcuno che bestemmia bisogna sempre dire queste due preghiere per la redenzione della sua anima. Non è facile però. Voglio dire, ora che anche lei si mette a bestemmiare non ce la faccio e così rimango indietro e perdo il filo, e insomma finisce che i timpani iniziano a farmi male e la gola si secca e gli occhi si bagnano e forse è il fumo e, dico io, chi me l’ha fatto fare di venire quassù con mio padre che avevo la cotoletta con le patatine fritte. Poi inizia a fare freddo perché l’aria di montagna inizia a farsi sentire e mi investe in pieno viso e tutto sembra diventare di ghiaccio ma, finalmente, arriviamo al ristorante.
Siamo sopra Cavarzano, un posto lontano da tutto e da tutti, un posto che se mi perdessi o se mio padre dimenticasse di riportarmi indietro potrebbe non restituirmi più: verrei mangiato da qualche cinghiale o lupo di montagna che, dicono tutti, adorano la carne fresca di bambino. E allora appena fuori dalla macchina cerco di prendere la mano ruvida ed enorme di mio padre che invece la ritrae perché vuole abbracciare lei, la signora con la K, e quando ci riprovo borbotta un: – smetti di fare lo stupido – che mi convince a stare indietro, a seguirlo come l’Assunta, il cane da caccia che lui prendeva sempre a calci e che era morto quasi un anno prima lasciandolo nello sconforto per via del fiuto fenomenale che – sosteneva sempre commosso – non avrebbe sicuramente più ritrovato in nessun’altra bestia.
Così mi vedo per la prima volta per quello che in verità sono: piccolo, né più né meno – a dispetto della mia altezza e della mia forza che a scuola meritano un certo rispetto – costretto ad avere bisogno di una mano di adulto per inoltrarmi nella boscaglia dove una taverna sconquassata cucina i migliori spiedini dell’intero Appenino Toscano. E giuro a me stesso che crescerò, in fretta, molto più in fretta di tutti gli altri e non avrò più bisogno di nessuno per andare nei boschi e tutto sarà più piccolo di me, e tutto sarà come dovrà essere: – già come sarebbe dovuto essere… non lo so… davvero non lo so… neppure oggi a quasi trent’anni di distanza.
Pranziamo e parliamo ancora di politica. Tutto ruota intorno al partito, tant’è mi viene di pensare che forse anch’io ne faccio parte, ma ci pensa subito lui a chiarire le cose e lo fa rivolgendosi a Veruska: – Ho provato a fargli cambiare idea ma che ci vuoi fare… Ormai l’hanno imbambolato con la Chiesa, i Santi e le Madonne. È pure a scuola dalle suore, dico io, ce ne vuole. – Ma Carlo è solo un bambino… – Tenta lei. – Ma che bambino e bambino, bisogna abituarli da piccoli a vedere il mondo com’è altrimenti da grandi diventano imbecilli!
La signora con la K ci ha provato ma vedendo l’aria che tira batte in ritirata e mi ritrovo di nuovo solo per colpa della mia educazione cattolica. Così trangugio un tordo dopo l’altro e sento le loro testoline scricchiolare sotto i denti e non nascondo di provare un certo piacere a romperne la carcassa fino a succhiare ogni singolo ossicino perché, in questo almeno, sono davvero in gamba.
Arriviamo al dolce: un tiramisù gigantesco che so già che mi farà dare di stomaco ma in fondo chi se ne importa, e ne prendo comunque due porzioni e mentre sto finendo anche la seconda, mio padre dice che partirà per un po’ e andrà a stare qualche mese da lei, da Veruska, in un paesino vicino a Mosca e che finalmente avrà la possibilità di toccare con mano quanto il proletariato ha fatto per la storia. Di nuovo non capisco molto se non il fatto che a breve non rivedrò mio padre, il che risulta familiare e forse è per questo che sorrido e pronuncio un timido: – mi porti un regalo? – che però lo fa subito imbestialire: – i regali, stupido che non sei altro, sono solamente il frutto della presa in giro del capitale e questo è uno dei trucchi per far dimenticare al proletariato le sue vere esigenze. – Ancora non capisco ma il tutto risuona sempre più familiare. Così mi metto a leccare le ultime tracce di dolce nella ciotola e assaggio un po’ d’acqua dal bicchiere. Il pranzo bene o male è finito e in men che non si dica sono davanti a casa a suonare al citofono.
La signora con la K saluta sporgendo la mano dal finestrino e mio padre pronuncia un laconico: – quando rientro si torna a mangiare gli uccelli – che lì per lì accolgo con un sorriso ma che a pensarci bene – soprattutto oggi che di uccelli non ne mangio più – mi lascia un grande peso sullo stomaco che veloce risale e si assottiglia, come se uno degli ossicini di quei tordi mi si fosse conficcato in gola e tentasse, a poco a poco, di soffocarmi.
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Bellissimo, complimenti. Una descrizione triste e accurata degli stati d’animo di un bambino.