Premio Racconti nella Rete 2022 “La strega” di Giulia Tancredi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022Sono in cima alla scala. Il cuore palpita, come un colibrì che sbatte le ali. Così veloce, che anch’io sento librarmi nell’aria ad ogni passo. Le grandi arcate della sala sono illuminate da candelabri dorati. Le danze non sono ancora iniziate, ma sento già l’energia vibrare nell’aria.
Uno scalino, due scalini, tre scalini. Per un secondo penso di inciampare, poi sento il braccio del mio accompagnatore lì a sostenermi. Non riesco a trattenere una risatina leggera ed emozionata. Gli abiti riempiono la sala di colori sgargianti. Arrivata alla fine della scalinata tutti si girano. Vedo i loro sguardi pieni di ammirazione e mi sento ribollire di gioia. Il mio accompagnatore, alto ed elegante, mi porge la mano e mi porta al centro della pista. Partono le prime note dell’orchestra…
“Strega! Strega!”
Torno alla realtà con quelle voci stridule, i miei ricordi perdono forma e si dissolvono nell’aria, riempiendo di nostalgia l’atmosfera satura del mio rifugio. Le grandi arcate non sono altro che mensole piene di cianfrusaglie ed erbe secche. La luce gloriosa dei lampadari non è altro che un fioco lumino delle candele.
I paesani dicono che sono una strega. Sono solo vecchia, penso. E stanca. Non ho più la forza di scacciarli dall’uscio, di mettergli paura con la mia scopa. Ma non importa. Resto sulla mia sedia, che ondeggia avanti e indietro. Sulle gambe, una coperta di lana grigia. Nelle mani, una matassa e un uncinetto.
Riprendo il lavoro, un punto. Due punti. Tre punti. E così, un passo. Due passi. Tre passi. Sento quel braccio forte che mi cinge in vita delicatamente, che mi accompagna in quel walzer gioioso. Le sue spalle larghe sono vicinissime alle mie spalline di seta, quasi si toccano.
Le delicate note iniziali vengono sostituite da un movimento appassionato dell’orchestra. I bordi del vestito color porpora sfiorano il pavimento di marmo lucente. La stanza gira così veloce! L’unica cosa a fuoco sono i suoi occhi. Profondità color nocciola e, increspata sulla loro superficie, della luce dorata. Lui mi guida con sicurezza tra le coppie danzanti, la mia mano stretta nella sua, liscissima come il bianco levigato delle statue. Il soffitto affrescato veglia su di noi dall’alto.
Oggi non c’è nulla a vegliare su di me, che sono sola. Indossavamo ancora i nostri abiti da cerimonia, quando hanno assaltato i cancelli. Il mio accompagnatore, alto ed elegante, è stato attaccato ad una fune e lasciato a penzolare per due giorni. Sulla sua pelle rinsecchita, l’anello rifletteva la luce del sole primaverile.
Strofino le mani infreddolite. Ripenso a quella bella camera con i quadri alle pareti, riscaldata dalle fiamme intense del caminetto in pietra. Lui è davanti a me. Si inginocchia e, mentre io già verso lacrime di gioia, mi pone la domanda. Gli angoli della sua bocca tremano leggermente per l’emozione. Travolta da un moto d’affetto, mi lancio nelle sue braccia. Le nostre madri, nascoste maldestramente dietro l’uscio, non resistono e irrompono nella camera tra grida di gioia.
“Strega! Strega!”
Gli spifferi del rifugio sono impietosi con le mie ossa. Mi rannicchio sotto la coperta e guardo le mie mani rugose. Per un attimo mi sembra di rivedere le nostre dita intrecciate. I nostri diamanti, rossi come rubini nella luce del caminetto. Chiudo gli occhi e sento ancora il calore di quella stanza, dove lui mi tiene abbracciata forte e mi sussurra dolci promesse.
Le voci fuori dal mio rifugio crescono e si fanno concitate.
“Annunceremo il nostro fidanzamento al ballo di primavera” gli dico. Mancano ancora mesi, mi risponde lui. Scrollo le spalle. Tutte le ragazze sognano di scendere quei gradini con il principe al braccio, ribatto seriamente. Lui ride. I dipinti dei nostri antenati ci guardano dall’alto e il fuoco del camino si fa sempre più caldo.
La coperta oramai non serve più, mi dico, mentre continuo ad ondeggiare sulla sedia. Il suo abbraccio si è fatto d’improvviso così stretto. Così stretto che faccio fatica a respirare.
“Strega! Strega!”
Non sono una strega, penso. Sono solo vecchia e stanca. Non ho più la forza di scacciarli dall’uscio, di mettergli paura con la mia scopa.
Le fiamme illuminano i nostri diamanti, rossi come rubini. Lui penzola, avanti e indietro. Avanti e indietro. Le tegole scricchiolano sotto l’attacco delle fiamme. L’aria densa si riempie di fumo e dell’odore di erbe bruciate.
Mi alzo tossendo, la coperta abbandonata sul pavimento sporco. Un passo, due passi, tre passi. Faccio volteggiare il mio vestito color porpora.
Cerco a tentoni la sua mano nell’aria e sento le sue spalle larghe che mi proteggono, anche ora.
Piroetto, un’ultima volta, tra i sorrisi di un mondo che non esiste più. Non provo né caldo né freddo. Non sento più le voci che fuori dal rifugio urlano esaltate. Lui mi sorride e gli angoli della sua bocca tremano proprio come quel giorno.
E la stanza gira così veloce! Mentre ballo sulle note finali dell’orchestra, l’unica cosa a fuoco rimangono i suoi occhi.
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Adoro i diversi piani temporali, anche io li uso spesso nei miei racconti. Mi è piaciuta soprattutto l’amarezza del presente contrapposta alla gioia del passato. E il loro incontrarsi alla fine. Brava.