Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2022 “Solo il tarassaco” di Irene Schiesaro

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

“Di colorato c’è rimasto solo il tarassaco” scriveva Teresa nel suo tema di Italiano, inviato alla docente tramite Eschool, la piattaforma predisposta per l’istruzione degli allievi della sua fascia d’età.

Ogni mattina la suoneria del tablet riempiva la stanza silenziosa della bambina. Il volto dell’insegnante appariva sul monitor: sopra la mascherina spiccavano i suoi occhi scuri e grandi, come i tanti sassi neri che Teresa vedeva dalla finestra.

“Vostra figlia ha una fervida immaginazione” era stato detto ai genitori di Teresa durante il colloquio annuale “inusuale per la sua età. La considero una studentessa d’altri tempi, come il suo nome.”  Un giorno in classe la professoressa di Italiano aveva chiesto alla bambina come facesse a conoscere quel fiore ormai raro, il tarassaco. “Teresa tu hai solo dieci anni!” Era insospettita. Che avesse sentito qualche racconto?

Si doveva evitare che i ragazzi soffrissero nel pensare ad un mondo scomparso. Le Nuove Linee Guida per l’Educazione e l’Istruzione vietavano ogni testimonianza storica considerandola come vana, improduttiva afflizione.  Bisognava crescere figli e studenti sereni ed operosi: erano solo 256.

256 giovani rimasti di età compresa tra gli 0 e i 18 anni.

Emergenza epidemiologica. Emergenza climatica. Scarsità d’ogni risorsa naturale in grado di assicurare la continuità della specie. La regione abitabile della Terra era limitata ad un entroterra in cui, come nel castello di Raperonzolo, era rinchiusa tutta l’umanità superstite. Eppure non era una fiaba, o forse ne era solamente il suo drammatico epilogo, e quei 256 piccoli cervelli venivano istruiti per recuperare. Recuperare i danni irreparabili di chi aveva vissuto prima di loro sprecando, abusando, sfruttando le risorse rimaste come se ognuno fosse il solo e l’unico vivo. Ciucciando il nettare del benessere, dolcissimo come solo il pianeta Terra sapeva essere.

L’umanità viveva barricata nel grigio di un casermone in cui i giovani venivano indottrinati con nozioni scientifiche, ingegneristiche, informatiche.

Il cibo era razionato. L’acqua era razionata. Come lingua unica era stato scelto l’inglese che era ormai la lingua madre di tutti i nuovi nati. Solo nei bisnonni si sentiva ancora l’accento del paese di origine.

Ogni ragazzo viveva in una piccola stanzetta, una sorta di cella in un alveare più grande perché questa nuova, possibile ultima generazione era preziosa come le api, estinte ormai da anni. La loro scomparsa aveva segnato l’inizio del declino.

Un giorno Teresa aveva aperto il suo oblò. Nessuno lo faceva mai. I livelli di ossigeno all’esterno erano troppo bassi. I costanti incendi e le polveri che riempivano l’aria la rendevano irrespirabile.

Aveva visto una macchiolina gialla. Teresa non aveva mai visto un colore, fuori.

Dentro c’era soprattutto grigio o qualche colore artificiale o i pixel luminosi degli schermi ma fuori, fuori dalla “Hub” come si chiamava il casermone che ospitava quell’umanità superstite, non si vedevano colori. Grigio, antracite, bianco, il nero della notte, a volte la scintilla di qualche incendio lontano.

Eppure, lo aveva visto. Un puntino verde con un po’ di giallo. La sua stanza era al piano terra e lei era corsa nel bagno, che era nel sottoscala ma aveva una finestra grande in alto, a livello del terreno, e si era arrampicata per vedere meglio.

Era un fiore. Le foglie dai contorni a zig-zag le riempivano gli occhi di un verde brillante, e i petali sembravano fatti di tessuto. Così perfetto, pareva brillare come un piccolo sole e faceva venire voglia di toccarlo, di sapere che consistenza avesse quell’essere minuscolo sbucato per caso.

Teresa aveva implorato la bisnonna: “Grammy raccontami, dimmi il suo nome. Grammy era bellissimo, dimmi come era prima. Dimmi come era il mondo prima. Potevi vedere i fiori se camminavi per strada? Potevi prenderne qualcuno?”

La curiosità della piccola non dava cenno di placarsi e un giorno la bisnonna aveva ceduto, e in gran segreto aveva iniziato a raccontare.

“Avevo tanti fiori sul mio balcone. Bisognava dare loro acqua come nutrimento, più o meno ogni giorno, e posizionare la pianta in modo che prendesse un po’ di sole. A quei tempi non c’era foschia e ancora si vedeva il sole, in certe giornate. Il cielo era di un azzurro chiaro chiaro che sembrava come quello dei tuoi occhi. Mi piaceva molto prendermi cura delle mie piante.”

Gli occhi della nonna sembravano lontani. Teresa le strinse la mano. “Ci credo nonna, sarebbe piaciuto anche a me”.

“E pensa” continuò poi la nonna ” che i fiori si portavano anche come dono per festeggiare qualche occasione, oppure alle fanciulle in segno d’amore. Le rose rosse, ad esempio, erano il fiore preferito dagli innamorati”.

“Che bello, dovevano essercene davvero tanti per poterne prenderne alcuni, e regalarli addirittura.”

Poi Teresa aveva portato la nonna a vedere il suo fiore. Voleva sapere se avesse un nome, come le rose.

“È un tarassaco, uno dei fiori più forti, cresceva ovunque”

Teresa aveva cercato sul web quella piccola meraviglia. “Tarassaco comune” era ancora scritto su alcune pagine, sfuggite alle continue supervisioni ed aggiornamenti del web. Ora non era così comune.

Chiamato anche dente di leone. In Italia cresce dovunque ed è possibile incontrarlo con facilità nei prati, ai bordi delle strade, lungo i sentieri.”

Teresa sognava di camminare in quella descrizione antica. 

Si immaginava a respirare l’aria, a chiacchierare senza mascherina con qualche amica, come nei vecchi film, magari andando a scuola a piedi. O magari addirittura in bicicletta. Sarebbe stato bello avere delle strade lunghe su cui spostarsi: guardare lontano, vedere il panorama che va a sfumare, come nei dipinti di quei pittori dei quali vedeva i video su Internet.

Il tarassaco fioriva in primavera. Teresa lo avrebbe aspettato, ogni anno. Magari sarebbe sbocciato di nuovo, magari sarebbero stati due.

“In certe giornate il cielo era di un azzurro chiaro chiaro che sembrava come quello dei tuoi occhi.” Le parole della bisnonna risuonavano ancora nella testa della bambina e nel silenzio della sua stanza quella sera, prima di andare a dormire, Teresa si era avvicinata allo specchio fino a toccarlo col naso. Tanto vicino da poter guardare bene la sua iride azzurra e immaginare il cielo. Doveva essere bellissimo e lo avrebbe tanto voluto: un cielo azzurro e proprio al centro, a illuminarle il viso, un sole giallo come un tarassaco comune. 

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7 commenti »

  1. Racconto, profondo di significati. Se l’essere umano riuscisse a comprendere l’immensa bellezza e ricchezza che ci circonda saremmo salvi, purtroppo l’avidità acceca.Complimenti!

  2. Bellissimo racconto. Peccato che l’umanità si accorga delle bellezze del creato soltanto dopo averle distrutte…

  3. Mi è piaciuta la scoperta e la risoluta ricerca, a testimonianza di quanto siamo stimolati da ciò che non conosciamo. È lo stesso sentimento, la stessa forza che ci ha permesso di arrivare fino al “qui ed ora”, battendosi sempre per un avvenire migliore.

  4. Racconto interessante. Anche la scelta del fiore è insolita.

  5. Grazie a tutti per i commenti!

  6. Bel racconto Irene Schierato. Affrontando problematiche attuali arriva a raccontare una tra le possibili realtà. Scherzosamente le dico: speriamo che il futuro la smentisca.

  7. Complimenti Irene! Bellissimo racconto, profondo e accattivante nella narrativa che ti trascina a leggerlo e rileggerlo un milione di volte.

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