Premio Racconti nella Rete 2022 “Un treno di notte” di Caterina Perrone
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022Sale sul treno di corsa, è l’ultimo della sera.
Non mi piace viaggiare di notte. Pace, non ho potuto fare di meglio. Per fortuna ho preso il biglietto di prima classe.
Percorre il corridoio del vecchio treno, ancora diviso in scompartimenti. L’aria sa di polvere, la luce pare invecchiata come le vetture, semivuote. Cerca un posto dove ci sia qualche viaggiatore, per rassicurarsi. Ecco, ha trovato quello giusto: una donna con la pelliccia e un ragazzino, un uomo elegante, uno straniero, alto, magro, compassato, indiano si direbbe dal turbante rosso.
Entra, la salutano tutti con garbo, le fanno posto, l’indiano l’aiuta con la valigia. Si siede accanto al finestrino, di fronte al signore, vestito di cammello e vigogna, papillon jacquard, scarpe di cuoio lucido, quasi d’altri tempi, come la carrozza.
Si accomoda, si rilassa, si assopisce.
Lo stridore dei freni, l’annuncio dell’arrivo in una stazione. Si sveglia, apre gli occhi sui posti vuoti. Resta solo l’uomo che le sta davanti e accoglie il suo risveglio frastornato con un amabile sorriso. Sul portabagagli una borsa da medico.
Si riaccomoda, ora meno tranquilla. Forse qualcuno salirà. Non ho capito dove siamo. Pare siano scesi tutti dalla carrozza. È sempre così la sera, si rimane soli.
Il treno riparte cigolando.
Suona un cellulare, l’uomo estrae con eleganza l’iphone, guarda il display.
«Sì? No, non mi disturbi, sono in treno. No, Kabir è uscito dallo scompartimento. Lo sa che mi dà noia averlo intorno quando c’è gente, in particolare se c’è una donna.»
Le rivolge un altro sorriso squisito.
«È stato orribile. No, non mi sono ancora ripreso. Come potrei? Adele dici? Lo sai com’è… com’era. No, sono certo, non ci sono più speranze. Sì, al castello, ma non è stato lì. Fuggita dici? No fidati: è stata punita.»
Cade il silenzio.
«Non dimenticherò mai quella notte, una notte che non poteva perdonare. Buia, senza luna, senza stelle. Si stava preparando il finimondo: il vento squassava gli alberi, sbatteva le finestre, tuoni di continuo, ma non si decideva a piovere. Sembrava fosse stato predisposto tutto. Io, se avessi potere sulle forze tenebrose, avrei fatto proprio così.» Ride e subito si ricompone. «No, non il diavolo, l’uomo giusto, il giudice. Quello sono… ero io per lei. È stata punita, come si meritava. Credimi, non è crudeltà la mia. Adele era… non stava alle regole, a nessuna regola. Tanto meno alle mie. Sarebbe stata questa la prima volta: non esiste una donna che mi abbia tradito, non l’ho mai permesso. Lo sapeva. Eppure…»
Guarda nel finestrino buio, si attarda sull’immagine riflessa della passeggera, immobile. Si incrociano gli sguardi, lei volge gli occhi.
«Avevo fatto chiudere le lanterne del giardino, non le volevo facilitare il compito di rientrare. Ecco, questa cosa non l’ho detta quando mi hanno interrogato, e non ho detto che ero stato io a manomettere i lampioni sulla strada. Hanno pensato fosse stato il temporale. No, volevo proprio che si spaventasse.»
Si spengono all’improvviso le luci nell’intero vagone. La sente scattare in piedi, con l’aria di chi vorrebbe muoversi ma pare inchiodata sulle gambe. Per un attimo è stato il buio, poi le tenui luci notturne. La tocca lieve con la mano.
«Si calmi, non è successo niente. Non ho spento io le luci, stia tranquilla. La signorina qui accanto a me si è spaventata. Kabir dici? Be’ lui forse…»
II tocco gelido delle dita la paralizza, intravede il rosso del turbante sfumare via nel corridoio. Sente sbattere una porta. Ha spento lui la luce.
«Kabir dici? Sì, era con me. È un servo fido. Con lui non temo, ha una mente molto fine.»
Torna la luce piena. Lei è lì in piedi, non si è più mossa.
«Rimanga la prego, non mi dà noia se ascolta» dice condiscendente, poi prosegue. «Lo sai, posso perdere il controllo. No, certo, un conto è durante un intervento, allora mi prende una freddezza sovrumana: coi ferri in mano sono onnipotente, so di poter fare del male a quei corpi addormentati, inermi. Sai quante volte ho pensato… Sono consapevole, padrone di me stesso, della situazione. Ci mancherebbe. Ma con le donne,» solleva lo sguardo su di lei «con le donne è un’altra storia. Una donna, quando mi contraddice, ha il potere di infiammarmi, come un’esca che prende fuoco. È allora che posso non rispondere di me stesso.»
Carezza con le dita il bracciolo; una mano lunga, bianca, levigata, le unghie curate. Arpeggia sul velluto, lo stropiccia, lo tormenta. Il pollice gioca con l’anello d’oro, il cesello di un teschio, due tibie incrociate, una corona.
«Sì bella… era bella, di quella perfezione algida e insieme lasciva; la bellezza che più mi fa perdere la testa, perché non sai mai, non capisci che cosa ti aspetta. E lei lo sa… lo sapeva. Sì, ne sono certo, come se l’avessi vista. L’ho sempre controllata, la facevo controllare. A volte io stesso la seguivo, mi appostavo, volevo vedere con i miei stessi occhi, sentire con le mie stesse orecchie, non mi bastava farmelo dire da altri. A volte vogliamo soffrire come se il dolore fosse la parte migliore del piacere. Adele lo sapeva, mi conosceva anche troppo bene; lei conosceva gli uomini e sapeva trarne quel che voleva. Creava apposta un’ambiguità nelle situazioni per farmi perdere il lume della ragione. Sapeva che forse c’ero e lasciava aperte le finestre, perché voleva che io sentissi, che io vedessi. E sempre, quando tornava, mi rifiutava. Sembrava dire: “Non ti voglio, ho appena conosciuto il corpo di un altro”. Io sentivo quell’odore che mi faceva impazzire. Allora, si spogliava di fronte a me, come sapeva fare lei, si infilava nuda nel letto. E mi rifiutava. La pregavo, la supplicavo di non farlo; lo sapeva che poi mi imbestialisco. Mi guardava con la provocazione negli occhi, non diceva una sola parola, non mi supplicava, neanche quando… Anzi, era proprio allora che mi sfidava, sembrava lo facesse apposta a provocarmi, sembrava quasi lo volesse che io… No, credimi, tornava sempre più tardi. E sempre mi rifiutava. Era diventato insopportabile. Lo faceva pur sapendo che poi non avrei lasciato correre, non mi sarei più trattenuto.»
Si rivolge di nuovo a lei. «Si segga, la prego. Non mi faccia stare nell’ansia di credere che le posso dispiacere. Se vuole, interrompo la telefonata. Ecco bene, così, ora sono più tranquillo.»
E riprende: «No, non hanno trovato nulla. No, là non hanno guardato e io non gliel’ho certo suggerito. Chi indaga ora non sa che nel bosco erano stati trovati dei resti. Sono vecchie storie. Anche allora erano solo ipotesi, subito cadute, poi dimenticate. S’era piuttosto pensato che si trattasse di ossa dei tempi della guerra. Ecco perché non si sono insospettiti di un’altra sparizione. A volte però credo che non vogliano sapere. Non sarò certo io a parlare. Nessuno oserebbe nemmeno sospettare. Kabir dici? No, lui non mi tradisce mai: è una tomba. Sembra non ci sia ma controlla sempre, tutto. Il vero angelo custode. Certo, anche ora è qui intorno. Sento l’odore, quei profumi inquietanti che portano loro.»
Il treno si ferma. Lei si alza, guarda dal finestrino. Che stazione sarà? Nessuno scende, nessuno sale, nessun annuncio. Una stazione fantasma. Ora scendo. Acchiappo la borsa, il cappotto e scendo. Posso anche lasciarli qui, che importa? Pur di andarmene via.
Ricompare l’indiano dal turbante rosso, come dal nulla, ad ingombrare l’uscita. L’uomo le fa cenno di sedersi. Un sorriso che non ha più nulla del sorriso.
«No, non è questo il posto per scendere. Lei non deve scendere qui, vero? L’ho capito che deve arrivare giù fino al capolinea, proprio come me. Ci dobbiamo tenere compagnia. È inutile. Leggo nei suoi occhi che avrebbe il desiderio di andarsene, ma sembrerebbe una fuga. Kabir, vede, si è avvicinato, anche lui ha creduto di capire, non gli sfugge niente. Vuole che la aiuti a tirar giù la valigia? Ma, se lo lasci dire, sarebbe una scortesia. Kabir è molto sensibile, se ne avrebbe a male.»
Si volge di nuovo al cellulare. «Funerali? Come si può senza il corpo? Sperano ancora di trovarla. Si sono fatti l’idea che sia fuggita, i gioielli sono scomparsi, ma… Come dici? Sì, è stata una mossa degna di una mente strategica, come solo Kabir…» gli elargisce un benevolo sorriso.
Il treno sferraglia, Kabir libera il varco e se ne va.
La passeggera si siede al suo posto, arresa.
L’uomo assente con il capo, parla, parla, lei non lo ascolta neanche più.
Una brusca frenata, il treno si blocca nel nulla più buio della notte nebbiosa.
«No, niente, solo una frenata brusca. Siamo fermi in piena campagna. Pare quasi abbiano tirato l’allarme. Kabir dici? Potrebbe, non sarebbe la prima volta. Interpreta i miei pensieri e agisce. Di solito capisce senza che neanche glielo chieda.»
Solleva lo sguardo su di lei.
«Non abbia paura signorina, quando c’è Kabir siamo in buone mani. La signorina mi piace, mi ricorda un po’ Adele: la stessa algida bellezza, gli stessi colori, lo stesso sguardo. Quando si allarmava faceva proprio così. Lo sapeva che trovo deliziosa l’espressione di una donna quando si allarma. Quella tensione dei muscoli che assomiglia soavemente al rigor mortis.»
L’uomo allarga le braccia. Il display è buio. Ma allora… con chi hai parlato fino ad ora?
La guarda negli occhi. Ora sorride di un sorriso vero, si lascia andare sulla poltrona, abbandona il cellulare.
«Certo, ha capito perfettamente, non c’era nessuno al telefono. Parlavo con lei. Lei è stata ed è il mio pubblico. No, non abbia timori, rimanga seduta, comoda. Lei è il mio vero interlocutore, anzi la mia interlocutrice. Mi permetta di dedicarle questo mio pezzo di teatro. Le è piaciuto? È per lei che l’ho appena scritto. No, anzi, l’ho registrato direttamente sul cellulare. La situazione mi ispirava. Un’atmosfera magica, non le pare? A volte le occasioni si offrono spontaneamente senza bisogno di cercarle. A volte la vita è generosa. Non le pare? Lei è stata davvero un’ottima partner, è stata perfetta. Una buona attrice non avrebbe saputo fare di meglio. Vedremo se continuerà ad esserlo. Via, mi faccia un sorriso.»
![]()
Brava, monologo ben orchestrato, sapiente crescendo di tensione e conclusione inattesa e un po’ ironica. Complimenti.
interessante il soggetto, la suspance e il monologo. Complimenti
Complimenti Caterina! Racconto originale, enigmatico, ben scritto… carico di suspense e di mistero, che ti tiene incollato al monitor fino al sorprendente finale.
Bella l’idea del monologo registrato! Mi è piaciuto, ben scritto e con la giusta dose di mistero.
Vorrei proprio vedere il seguito, perché sospetto che l’elegante signore abbia incassato qualcosa di molto meno gentile di un sorriso dopo la sua rivelazione. Racconto molto ben scritto, il treno in viaggio fornisce claustrofobia, e la storia è coinvolgente e imprevedibile. Complimenti! : )
Originale e coerente nel suo dipanarsi.
Racconto ben scritto attraversato da una tensione che non si risolve neanche con l’ultimo rigo. Complimenti
Mi accodo ai complimenti! Brava!
Sapiente la scelta del treno come ambientazione, inoltre non un treno qualsiasi ma l’ultimo treno della sera. Crea un’ottima sospensione tra gli avvenimenti interni ed esterni al monologo. La tensione cresce con il dipanarsi del racconto e non si risolve del tutto nemmeno alla fine; quel “Vedremo se continuerà ad esserlo. Via, mi faccia un sorriso.” a mio avviso non promette nulla di buono.
Complimenti!
Molto bello, la tensione cresce fino alla rivelazione conclusiva. Anch’io vorrei che il racconto continuasse, perché non sono così sicura che si tratti di un monologo teatrale. E se l’uomo fosse davvero un maniaco assassino che prepara il suo prossimo delitto?
Non posso che accordami a tutti i commenti positivi!
Racconto coinvolgente fino alla fine.