Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2022 “Un caffè doppio e ristretto” di Pier Angela Dichio

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

In questo paese che si dispiega su due opposte colline, unite nel mezzo da un importante stradone, la signora Pietra stava scendendo la scalinata che dal sommo dell’abitato l’avrebbe portata allo studio del notaio Cosimino. L’aria di inizio estate era ancora fresca a quell’ora del mattino, tuttavia un fil di fumo serpeggiava tra le mura delle case, si inserì nelle sue narici allargandole in un’eccitazione che si propagò fino ai suoi piedi, così affrettò il passo, senza indugio, verso la Casa del caffè, al numero 25 dello stradone. 

“Oggì è giorno di tostatura” pensò la signora, infatti l’ambiente era saturo di quell’aroma. Mentre lei avanzava a passo svelto verso il centro del profumo, che man mano si faceva più spesso, quasi tangibile, sentiva riconoscenza per quella pianticella produttrice dei chicchi bruni che docilmente si lasciavano guidare, in un movimento rotatorio ad elica da un braccio ferreo, in un lento abbrustolire. Una piantina caparbia, ignara dell’avvicendarsi delle stagioni e per questo sempre verde, capace di trasformare il suo innocuo aspetto in una potente calamita.

 Era quasi arrivata al dehor della caffetteria quando lui spuntò dall’angolo. 

Dopo il conseguimento della laurea, negli anni ottanta, la signora Pietra non era più tornata al paese di origine, anche i suoi genitori si erano trasferiti al nord dove lei aveva iniziato la sua vita lavorativa e familiare. Quando lo vide lo riconobbe, non dalla forma del corpo che nel tempo si era notevolmente arrotondata, né dalla capigliatura incanutita e diradata, ma dal suo vezzo di vestirsi di bianco.

Lei s’inchiodò al pavé e tornò in una frazione di secondo alla porta dell’appartamento in via delle sedie volanti, al terzo piano nel quartiere proprio dietro alla cattedrale di Palermo. La porta cigolava ad ogni apertura e ai due ragazzi sembrava un saluto di benvenuto ad ogni ingresso. Posavano i piedi sulle mattonelle esagonali grigie e amaranto disposte a formare dei fiori, così vedevano quel logoro pavimento, come un prato fiorito di mattonelle. Appena due stanze e un bagno dove l’acqua gocciolava dal rubinetto, rimbombando di notte come il ticchettio, rallentato, di un orologio arrugginito. Vecchi mobili scuri adornavano le pareti ma loro, appena ragazzi, imbiancarono i muri e la luce rimbalzò da una parete all’altra trasformando la piccola casa in un luminoso rifugio. La loro vita insieme iniziava così nella luce, danzando su un prato fiorito.

 Pietra si sentì spaesata, lontana dal qui e ora. La sensazione durò, forse, pochi secondi, quando riprese il controllo dello spazio e del tempo, lui camminava lento guardando fisso in avanti, non la notò immediatamente e quando lo fece mostrò stupore e incredulità. 

Si tolse gli occhiali da sole, come se volesse verificare ciò che aveva visto e subito li 

rimise.

Pietra seppe in quel momento che avrebbe dovuto dare delle spiegazioni.

Erano ormai ad un passo. Lui si fermò allargò le braccia e disse “Sei tu?” 

Rispose “Si sono io e tu sei tu?”

 iniziò così un gioco di parole e significati intrecciati senza senso che allora li divertivano, e anche ora li fecero sorridere allentando la tensione dell’incontro.

“Che fai qui? Dove stai andando?”

 Parlava in fretta, era agitato, non osava salutarla come si fa quando s’incontra una vecchia amica. Le prese la mano e la strinse tra le sue che ora erano quasi paffute come quelle di un bambino e rugose sul dorso come quelle di un vecchio, diverse dalle mani che avevano tenuto la sua nell’andare, verso l’università, per le vie di Palermo. Fu una calda, e lunga stretta di mano, una mano sconosciuta, la tessera mancante ad un puzzle abbandonato da tempo.

 “Ci sediamo? Prendiamo un caffè? Non posso crederci di averti qui” 

Non le dava tempo di rispondere.

La signora Pietra accettò con un cenno della testa, era impaziente di gustare lo scuro elisir che a questo punto era diventato indispensabile. 

Disse “Va bene prendiamo un buon caffè, il profumo è molto invitante”

Era curiosa di sapere chi avesse sposato, aveva notato la fede al dito e si era inquietata, un polverone era emerso dalle profondità della grotta del tempo e faceva fatica a distinguere i contorni dei pensieri. 
Si sedettero sulle comode poltroncine in vimini del dehor, la mattinata avanzava, l’aria fresca si stava intiepidendo.

 “Come stai? Mi sembra inutile chiedertelo ti vedo in ottima forma, non sei cambiata, sempre snella come una gazzella”

Il suo sguardo la mise a disagio, si sentì nuda, anzi peggio, come se le avesse fatto la radiografia, non le piacque quel complimento, così ribattè:

 “Tu invece sei molto cambiato, ti ho riconosciuto dal tuo vezzo di vestirti di bianco”

 Intanto lo pensava come un sepolcro imbiancato. 

Continuò “Hai fatto una vita tranquilla in tutti questi anni?” 

Avrebbe aggiunto altro, ma non volle essere scortese.

“Vero, dopo la tua sparizione, ci fu un periodo di mare grosso ma come tu ben sai, tutto passa.”

Lei arrivò al punto, senza più indugiare “L’hai sposata, spero”

Le rispose abbassando lo sguardo sulle sue mani, sui polpastrelli che tamburellavano sul bordo del tavolino. In quel momento non la signora Pietra non avrebbe voluto essere lì, unica consolazione la trovò nella persistenza del profumo di caffè. 

“Ci siamo sposati dopo un anno dalla nascita di Amedeo, dopo due anni è nata Amalia, una vita normale. Perché sei sparita in quel modo? Sono tornato a casa e tu non c’eri più, solo quel biglietto di saluti e auguri attaccato alla porta della camera, una storia inchiodata, sacrificata su una porta di legno. Perché?”. Anche lui era giunto al punto.

Arrivò il cameriere a prendere l’ordine, un ragazzotto educatissimo, forse troppo cerimonioso, lui lo salutò: 

“Ciao Giovanni ci porti due caffè?”

Rivolgendosi a lei “Tu lo prendi sempre doppio e ristretto. Vero?”

“Si grazie, doppio e ristretto e senza zucchero”

Il cameriere fece un cenno di assenso con la testa e si allontanò

“Giovanni è il figlio di Michele, ricordi?”

“Si certo che ricordo, le interminabili partite a risiko nelle notti in cui avremmo dovuto studiare, però poi all’esame ci andava sempre bene”

“Merito delle caffettiere che ci scolavamo negli ultimi giorni per accumulare più nozioni possibili. Ti ricordi quando prima dell’esame di filosofia ti è venuta la tremarella? Con tutta la caffeina che ti eri bevuta”

“Si lo ricordo e non ne vado fiera, fu un disastro, un venticinque risicato. Mentre rispondevo alle domande mi tenevo le mani sul grembo perché mi tremavano.”

Quei ricordi allentarono per un attimo la tensione, ma subito lei tornò al nocciolo della questione, infondo si erano seduti per il dovuto chiarimento. Raccolse le idee, sentiva la bocca asciutta, ritrasse le labbra in un gesto di chiusura, poi allentò la presa e rispose “Non avevo più niente da dire, lei era incinta di cinque mesi, il tuo posto era con lei. Avevamo vissuto un amore rubato. La prova è che dopo la mia sparizione avete avuto una vita insieme”

Lui rispose inarcando le sopracciglia che in quel gesto si sporsero sopra la montatura degli occhiali 

“Una vita rassegnata. Tu hai deciso per me” 

Poi con un guizzo si sporse in avanti, si tolse gli occhiali da sole e puntò le sue pupille come se dal fondo verde dei suoi occhi due dardi uscissero per colpirla in quello che avrebbe dovuto essere il suo senso di colpa. 

“Mi sono tormentato per mesi, non sapevo dove cercarti”

Il suo attacco non aveva colpito nel segno, lei non sentiva alcun senso di colpa, quindi rispose

“Per fortuna che allora non c’erano i cellulari, altrimenti mi avresti trovata e sarebbe stata una lunga, straziante, agonia. Meglio così un taglio netto e via, ognuno alla propria libertà”

Giovanni servì loro il caffè, una pausa in quell’inevitabile sottile battaglia, consumata su un invisibile filo di seta trasparente e tenace.

In silenzio gustarono il liquido scuro, denso perfetto per quell’inaspettato incontro, infatti ne rifletteva tutte le caratteristiche, l’amarezza e la pesantezza oleosa dell’abbandono, un gusto forte che rimane sulla lingua, l’acidità dei pensieri pungenti, astiosi che ne conseguono, lasciando, nel loro sciamare, una sensazione apatica, di vuota indifferenza. Tuttavia l’aroma fruttato riporta inevitabilmente agli esordi di quella passione danzata con leggerezza su un prato fiorito di mattonelle, rimane la dolcezza di quel tempo.   Come la dolcezza finale dell’assaggio al primo sorso di caffè.

Lui il caffè l’aveva bevuto in un sol sorso, bollente, con la fretta di chiudere l’armistizio che tra loro si era creato. 

“Tu che hai fatto in questi anni?”

“Ho avuto una figlia, Viola che ora ha vent’anni, mi sono sposata con suo padre dopo dieci anni dalla sua nascita”

“Si ho visto la fede. Sei felice?”

“Ho vissuto, felice e non felice tra alti e bassi. Come tutti”

“Cosa sei venuta a fare qui?”

“Mio padre ha un piccolo terreno nella provincia, verso l’interno è sempre stato affittato, ora l’affittuario vuole comprarlo. Sono qui per il rogito”
“Ti fermerai qualche giorno?”

“Domani parto. Ora ti saluto devo passare dal notaio.”

Dichiarare il tempo della partenza le dava un senso di libertà ritrovata.

Si salutarono con un abbraccio, o meglio un mezzo abbraccio, le loro mani rimasero sui bicipiti senza spingersi oltre. Si augurarono reciprocamente una buona vita. Nessuno dei due si azzardò a dire arrivederci.

Alla fine della giornata la signora Pietra tornò alla torrefazione per acquistare un pacchetto di caffè in grani, un souvenir, da portare a casa, giusto per rimettere in funzione il vecchio macinino a manovella. Croc-croc-cric-croc, ritrovava, nella mente, il rumore dei chicchi spietatamente triturati dalle rotelle dentate azionate dalle sue manine di bambina. Quando il croc-cric non si sentiva più era il segnale che tutti i chicchi erano stati triturati, la piccola Pietra apriva il cassettino del macinino e vi trovava una montagnola scura, la nonna diceva :“Brava bonu lu fascisti”.

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7 commenti »

  1. Racconto con ambientazione suggestiva che testimonia come gli amori passati lascino un segno indelebile nell’animo, ma anche come il tempo inesorabilmente faccia il suo corso e separi definitivamente due destini che per un poco si erano incrociati. Complimenti.

  2. Un racconto narrato con estrema dolcezza .Crea immagini di un tempo passato che pur rimanendo immutato nei luoghi, segna i due personaggi nel loro aspetto, realtà a cui nessuno può sfuggire.

  3. Chi vive lontano dal luogo in cui è cresciuto, dove ha avuto le prime incancellabili esperienze, riconosce le sensazioni di Pietra che ritorna nel paese di origine. Rivedere persone del passato, spesso fondamentali per la propria crescita, riconoscerle nonostante il cambiamento fisico, riallacciare la familiarità attraverso qualche indizio “trascurabile”, per esempio come l’altro ama bere il caffè, rievocare nomi e storie, comprendere da poche parole la vita dell’altro anche se si è stati così tanto lontani. E il caffè certo è uno dei protagonisti, forse il principale: il profumo di torrefazione che orienta il cammino, che rievoca immagini e relazioni, che avvolge in una bolla l’incontro, che sancisce l’armistizio.

  4. Molto dolce. Si riescono a sentire il profumo del caffè e il rimpianto per gli anni passati e le strade divise a malincuore.

  5. grazie per l’attenzione

  6. grazie mille a tutti voi che avete letto e commentato il mio racconto, con delle parole incoraggianti.

  7. Molto bello come racconto, si percepiscono come tangibili suoni profumi e immagini, molto bello

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