Premio Racconti nella Rete 2022 “Valentina” di Chiara Girotto
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022Ne Gli Indifferenti di Moravia il protagonista dice che quando non se ne può più di qualche cosa si cambia. Mi chiedo se l’atto dello scrivere, liberatorio o nevrotico che sia, possa essere considerato un cambiamento o meno. Non so rispondere a questa come a mille altre domande, ma ho una certezza: io quando scrivo lo faccio per esasperazione, perché voglio imprimere un segno nella carta senza doverlo fare anche nella vita. La scrittura è un collante che tiene salde le disparate compagini dei miei interessi come fosse un Merzbild dadaista. Nello smarrimento esistenziale, mi consente di assemblare frammenti scomposti di una materia umile, varia, spesso informe, e di darle dignità. Da questo disordine nasce la confessione che mi hai estorto, non senza fatica, costringendomi a tradurla in parole.
Sono certa che ricordi Valentina, quel personaggio di Antonioni che mi ha tanto colpito. Alla domanda di Giovanni Pontano, celebre autore di romanzi e suo ospite, se ci sia altro che le piaccia oltre al golf, al tennis e ai parties, la ragazza risponde: “tutto”. Poi tira fuori un registratore e gli fa sentire una lettura ad alta voce di testo scritto di proprio pugno; appena il nastro finisce di scorrere lo cancella, e quando l’uomo, stupito, le chiede spiegazioni per il suo gesto, dice che la sua vocazione non è così irresistibile, riferendosi alla scrittura. Egli allora ribatte che è un peccato sprecare così la propria intelligenza.”Io non sono intelligente, sono sveglia” conclude lei. Ecco, a volte mi sento più vicina a Valentina di quanto vorrei. Capisco fin troppo bene la sensazione che prova chi sente di poter scrivere senza necessariamente avvertirne il bisogno impellente. Valentina osserva e comprende, forse anche più degli altri; di tanto in tanto, quando la realtà la soffoca, annota le proprie riflessioni, ma non le giudica degne di essere condivise. Spesso medita, probabilmente senza appuntarsi nulla. Eppure siamo certi che abbia scritto.
La ragione per cui Valentina esterna il suo pensiero per poi cambiare idea è racchiusa in quella frase enigmatica che tronca la conversazione, e con essa la possibilità di un ulteriore chiarimento. Tu diresti che, definendosi sveglia ma non intelligente, Valentina vuole sminuirsi, forse aspettandosi qualche forma di rassicurazione, che per la cronaca non arriva. Io invece penso che, con questa sentenza camuffata da aforisma ironico, il personaggio si assolva dalla responsabilità che inevitabilmente si inscrive nell’agire. Sa scavarsi dentro e leggere l’alfabeto misterioso dei moti d’animo più intimi, ma poi li lascia, immobili, a ristagnare nella coscienza, perché esprimersi spalancando le porte al prossimo le costa fatica. In un mondo dove ognuno scalpita per essere ascoltato, non credi ci sia qualcosa di prezioso in questa rinuncia? Oppure anche tu la accusi di ignavia, condannandola alle punture di vespa del girone dantesco? Per quanto mi sforzi, non riesco a giudicarla. Forse Valentina è semplicemente un essere eclettico, che trova limitante dover riporre nella scrittura il centro e il senso della sua intera esistenza. Conosco una folta schiera di funamboli in bilico tra mondi diversi: si aggrappano tenacemente alla coda, rifiutando il fatto che un giorno dovranno decidere da che parte saltare per scendere. Il punto è che, mentre si oscilla fluttuando nell’etere delle opportunità mancate e delle sfide non colte, questo giorno del giudizio si può posporre per un tempo potenzialmente infinito, almeno fino a quando le Parche non provvedono a recidere il filo. In altre parole, si può vivere una vita intera senza mai scegliere, accettando di essere definiti dai ben disposti, poliedrici, dagli intransigenti, passivi.
Mi chiedo se questo habitus che impone di scalfire la superficie della realtà multiforme assaggiandone mille bocconcini senza mai consumare un pasto completo non sia sintomo di inettitudine esistenziale. Valentina è affamata di vita, ma seleziona esclusivamente esperienze poco vincolanti, fugaci, in ultima istanza, superficiali. La scrittura, al contrario, richiede una dedizione che implica l’esclusività: per quanto debole, scrivere è una presa di posizione nei confronti della realtà esterna, è oltrepassare il confine tra ciò che è senza nome e ciò che muta in base a come lo si definisce.
Mi sembra di sentire il tuo sguardo di rimprovero dietro la nuca. Forse sono stata troppo severa, e quello che manca a Valentina è semplicemente la capacità imprenditoriale che rende i progetti ideali tangibili, quell’intraprendenza che distingue, per l’appunto, chi ha successo da chi è semplicemente sveglio. In passato mi ripetesti spesso che una cosa è il potenziale, un’altra l’impegno, e che solo quest’ultimo consente di raggiungere un qualche traguardo. Tuttavia, mentre ti scrivo mi domando se non sia ora di finirla con questi traguardi, con queste tappe prestabilite che ci costringono a percorrere, perplessi, le strade battute da chi ha trovato l’ispirazione, solo per sentirsi ripetere, alla maniera di tout le monde, che ce l’hai fatta. Se si scrive per sfondare, come direbbe Martin Eden, allora è meglio non scrivere affatto.
Nella mia mente come nella tua, l’immagine di Valentina che interrompe la registrazione resta sospesa nell’ambivalenza di ciò che rappresenta. Ciò che è certo è che la sua è un’abiura nei confronti della condivisione. Che poi questo sia un rifiuto nei confronti dello scrivere come atto narcisistico, compiuto a causa della spinta esogena a dover dire qualcosa, anche qualcosa di inutile -lei stessa nella registrazione lamenta l’abbondanza di parole banali che la gente spreca ogni giorno- oppure un tentativo fallito di oltrepassare il muro dell’incomunicabilità, non è dato saperlo, per lo meno non a me.
Della sua figura mi è rimasta impressa la sostanziale stasi; si ha l’impressione che dentro quella reticenza muoia l’unica possibilità, per quanto maldestra e incompleta, di entrare realmente in connessione col prossimo. Questa è, a mio avviso, la più profonda motivazione che ci spinge a scrivere. È lo sforzo di balzare oltre il baratro cieco che separa l’Io dal mondo. Il conato egocentrico o solipsistico, forse solo umano, di Valentina, resta strozzato in gola, e la notte incombe sul suo rifiuto di tendersi verso l’altro. Io tento di camminare verso di te con le dita, rinnegando Valentina e il suo rinnegare. In quest’epoca in cui nulla è più sacro del singolo individuo, ci impegniamo costantemente a interpretarci per penetrare l’opacità delle reciproche coscienze. Che sia tutto vano? Tu, Lettore, che dei miei monologhi interiori conosci solo ciò che ho maldestramente disposto sul foglio, e che stai alla giusta distanza dall’altra parte del vuoto nero, forse decreterai una sentenza migliore.
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Interessante riflessione sulle motivazioni che spingono a praticare la scrittura. Trovo nobile anche la scelta di Valentina, così lontana dall’odierno voler apparire ad ogni costo che ha fatto la fortuna dei social.. Ad ogni modo, se un autore crede in buona fede di poter ispirare un po’ di bene con i suoi scritti per me non è da condannare, indipendentemente dal valore letterario. Complimenti per la profondità del monologo.
Lo trovo molto interessante