Premio Racconti per Corti 2011 “Baci rubati” di Alessandra Ponticelli
Categoria: Premio Racconti per Corti 2011Armando lasciò che il portone si chiudesse da solo e uscì in strada. “Che freddo!”, gridò, mentre con entrambe le mani si stringeva il bavero di una giacca dal colore indefinito, lisa sui gomiti, corta di maniche e troppo larga per lui. “Anche le stagioni sono impazzite… Chi ci capisce niente…Ieri sembrava quasi primavera!”, esclamò accigliato puntando con gli occhi smarriti il vecchio orologio da polso, una volta dorato e ormai scolorito dal tempo:” Vedi un po’ come ti sei ridotto! E pensare che luccicavi, luccicavi così tanto da sembrare quasi vero”. Se lo avvicinò fin sotto la punta del naso, lo fissò, e con un filo di voce gli mormorò:” Sei l’unica cosa che mi è rimasta di mio padre. Hai capito? Hai capito, gingillo? Non avrai mica deciso di fermarti? E a me…a me non pensi? Cosa farò io? Che mi resterà del mio passato?”.
Distolse gli occhi per un istante, respirò profondamente, si afferrò la testa fra le mani e in un grido disperato disse:” Nulla! Non mi resterà nulla!”. Spalancò i grandi occhi verdi che di colpo si erano fatti umidi e, preoccupato, farfugliò:” Corri, Armando, corri o farai tardi!”. Il cielo si era scurito, il vento mulinava impazzito tra le case, sui tetti delle macchine in sosta, frustando i pochi passanti che rotolavano sui marciapiedi come tante scatolette di latta vuote.
“Ben arrivato, Armando! Come va oggi? Un po’ meglio?”, gli chiese garbatamente la solita dottoressina dell’Ambulatorio Psichiatrico. “Vedrai che con queste ti sentirai un uomo nuovo, libero…libero di fare ciò che vorrai, anche di scalare la montagna più alta”. Armando osservò attento la lunga fila di pillole gialle, rosse, verdi, che lei gli aveva preparato con cura, ebbe un attimo di esitazione e poi, stupefatto, aggiunse come sempre:” Che belle! Assomigliano alle lenti di zucchero che mi regalava il droghiere quando ero piccolo”. “Lo vedi? Lo vedi che ho ragione?…”, riprese soddisfatta la giovane donna. “Sei contento, vero, Armando? Con queste scalerai davvero la tua montagna. Ti piacciono da morire le montagne…Me lo hai detto tante di quelle volte!”.
“No”, gridò Armando.
“Armando non è affatto contento, non gli piacciono le montagne e qui non lo vedrete più”.
Di corsa si precipitò fuori, accese una sigaretta, dette un’occhiata in giro e, svoltando, s’infilò a passo spedito nel giardinetto comunale. Com’era bello lasciarsi trasportare dal vento, farsi cullare, ninnare dal suo fischio potente!
“Non mi vedrete più. No!”, urlò un’altra volta mentre si sedeva su un muretto di sassi.
Su un passeggino spinto da una donna, un bimbo, imbacuccato in un piumino celeste e in una papalina di lana blu, colpito da quel “No!” gridato all’improvviso, si voltò verso di lui facendogli una grande risata. Era tanto che non vedeva ridere un bambino. No, forse era solo da tanto che non si soffermava ad osservare quanto possa essere bello il sorriso di un bambino. “Ti diverti? Sei felice, Armandino?”. Vide stagliarsi all’orizzonte il giovane viso di sua madre, incorniciato dai lunghi capelli biondi. Udì la sua voce risuonare, squillante, tra i rami intirizziti della grande magnolia che, adirata per l’arrivo inaspettato di quell’aria glaciale, campeggiava altera sul praticello d’erba ingiallita. Radioso, si mise di colpo a correre e in un batter d’occhio si sistemò su un sedile della vecchia giostrina di ferro sgangherata che si trovava sotto un enorme pino marittimo. Con una mano cominciò a muoverla, quella iniziò a girare, e lui, divertito, declamò a gran voce:” Sì, mamma, adesso sì che Armandino è felice…”. Si lasciò spingere dal vento, lo seguì nel suo algido soffio, lo avvertì scompigliargli la lunga coda bianca di clochard, sciogliere i tanti nodi di paure che, come grovigli di un gomitolo, lo tenevano prigioniero, spazzare via, con un alito, quel bubbone informe di rimpianti che gli attanagliava la testa. ” Dov’è andato quel bambino?”, si chiese mentre, in preda al panico, tentava con gli occhi di ritrovarlo. Lo cercò con lo sguardo, a destra, a sinistra, davanti, dietro, lungo la strada al di là della siepe. “Se n’è andato, senza che abbia potuto fargli una carezza, senza avergli potuto dire quanta serenità ho letto nel suo sorriso. E adesso? Come farò adesso?”, si ripeteva disperato, passandosi una mano sulla fronte. “Non può essere svanito nel nulla. Forse la donna che lo accompagnava, per paura che prendesse freddo, lo ha riportato a casa, o forse, forse…”.
Improvvisamente Armando s’illuminò:” Il discount! Certo, ma come ho fatto a non pensarci prima?”. Battendo forte le mani per la felicità, disse:” Di sicuro sono lì dentro…Il piccolo avrà chiesto di comprare della cioccolata. Tutti i bambini amano la cioccolata!”.
Attraversò la strada schizzando come una lepre, spinse con forza la porta del supermercato e si mise a cercare, vagando di corsìa in corsìa, urtando sui tanti carrelli pieni e vuoti che stazionavano davanti agli scaffali stracolmi di roba da mangiare. “Ma che modi! Stia più attento, mi ha pestato!”, gridò una donna di mezza età impellicciata, con in testa un colbacco di marmotta. “Che maleducato! Lo saprei io cosa ci vorrebbe…Sì, e quando mai? I nostri politici…buoni quelli! Te li raccomando. Chiacchierano, chiacchierano e poi cosa fanno per proteggere la brava gente dai delinquenti? Un accidente….”. Armando continuò a zigzagare, senza riprendere fiato, da un posto all’altro e, quando ormai, avvilito, si era deciso ad andarsene, lo vide fermo, immobile sul passeggino, intento a osservare una fila interminabile di scatole di biscotti.
“L’ho trovato! L’ho trovato!”, iniziò a cantilenare allegramente saltellando sui piedi mentre dondolava la testa da una parte all’altra. Voleva avvicinarsi a lui. Si frugò in tasca:” Con un euro gli comprerò un cioccolatino e lo farò felice; felice come mi sentivo io da piccino quando me ne offrivano uno”.
Vuote, le sue tasche erano vuote, piene come sempre solo di piccoli buchi:” Non ho altra scelta, lo ruberò…non posso fare a meno di dire a quel bambino quanto è bello il suo sorriso”, sussurrò compiaciuto. Sapeva dove tenevano la cioccolata; s’incamminò verso l’uscita e con uno slancio arraffò da uno scaffale uno, due, tre baci, di quelli grandi, buoni, di quelli che si regalano a chi si ama.
“Al ladro, al ladro!”, gridò il donnone col colbacco “avevo capito subito che eri un poco di buono…”.
L’uomo della sorveglianza era già lì:” La prego di seguirmi…”, disse ad Armando. Lui non si mosse:” Non posso perdere tempo”, cercò di spiegare. ” Se non farò in fretta perderò il mio bambino, non potrò dargli i miei baci, questi baci rubati, in cambio di un sorriso”. Ma quello non capiva, e continuava a parlare, parlare, a fargli domande incomprensibili, prive di senso, assurde come tutte le domande che sanno fare gli uomini. ” Mi dica il suo nome! Si rende conto di quello che ha fatto? Lo ha fatto altre volte? Ha una residenza? E un lavoro, ce l’ha un lavoro?…Posi i cioccolatini!”, gli ordinò quello strano tipo in giacca e cravatta, “o perderò la pazienza”.
Armando pensò che non era più il caso di stare a discutere e, con i suoi baci in mano, raggiunse il bimbo:” Sono per te”, gli disse guardandolo. Il piccolo rise, rise felice, come solo i bambini sanno ridere.
Grande sensibilità, molto bello.
Grazie, detto da Lei è un complimento graditissimo.
Armando tramite il sorriso di quel bambino, può anche riassaporare per qualche istante, o qualche minuto, ma forse più, la spensieratezza di quando egli era bambino. Un racconto che crea piacevoli emozioni.
Roberto ho letto solo ora il suo commento e La ringrazio molto per le belle parole di apprezzamento; soprattutto per avere colto il messaggio che volevo lanciare con il mio testo. credo che ciascuno di noi non debba dimenticare mai di essere stato bambino.
Leggendo queste righe si vivono tante emozioni insieme! Bellissimo!