Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2022 “Deep Love” di Francesco Stampatore

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

Anni or sono vantai dell’incommensurabile fortuna di vivere come animale domestico alla corte della mia principessina. Jessica, meravigliosa e scapigliata, i cui tratti del viso rimandavano alle sublimi sembianze delle ninfe, forse oreadi per il suo far da austera eremita, ma sregolata tra gli scapestrati figuranti che, allorquando l’indolenza delle indoli s’ipostatizza, alcol e droga a profusione smerciano in ogni festino milanese che si rispetti.

Jessica era una modella e nei veglioni organizzati dai migliori stilisti lei era la punta di diamante, il gioiello della corona, nelle festicciole organizzate da fantomatiche amiche di sorelle di amiche era un ciclone di follia e ragazzate, all’università era musa ispiratrice di elucubrazioni mentali e polluzioni corporali di giovini e docenti, a casa, invece, era labile in quanto ombra, inerme se non negli occhi che avidamente seguivano lo scorrere delle notifiche sul cellulare.

Quando venni acquistato e la vidi per la prima volta mi colpirono all’istante le sue folte fronde brune accarezzate dalla brisa del nord-est, i suoi occhi color nocciola e le lentiggini… quelle dannate lentiggini… stagliatesi sul carnato d’un biancore quasi irreale, come a dar le sembianze di crepe sulla pelle d’un ghiacciaio… d’una bellezza quasi commovente. Non nascondo che nel veder il suo corpo nudo e slanciato dimenarsi sugli uomini che portava nel suo appartamentino lussuoso incastonato nel bosco verticale, con quelle sue natiche scultoree date da ore ed ore di booty pump e con quella sua terza abbondante di noncuranza nei confronti della stessa gravità, in me siano sorti desideri innaturali per un semplice animale domestico, pulsioni avverse al mero amore platonico; oh beh non me ne farei un cruccio fossi in voi, in fondo molte se ne son sentite di storie su rapporti sessuali “interspecifici” per così dire, ed io ero solo un bonaccione che troppo la venerava per pensare di toccarla anche solo con un dito.

Detto questo, poeti e menestrelli decantavan la venustà sua in sontuose apologie ma, io soltanto, miravo l’archè che, dominando l’immanentistica degli occhi suoi con la natura, ne svelava il senso profondo: la connessione tra me e lei era tale che tutto mi si parava dinnanzi con lo sguardo suo, con i sensi, con i suoi pensieri, e fui sempre l’unico che, per la prima volta, nel suo sorriso vide con chiarezza l’inevitabile decadenza dell’intero occidente. Nel tugurio mentale che la ostracizzava dal mondo reale lei spesso finiva sola con la grama ossessione per l’estetica che cupida le risuonava nell’ipotalamo, tanto da non concedersi sfizi se non qualche yogurt ipocalorico ed un po’ di frutta, amava idratarsi sì ma soprattutto attraverso una varietà di creme e cremine per la pelle; nei giorni più tediosi per riversar la noia passava ore davanti allo specchio ad analizzare ogni minuzia del corpo suo e, alla prima imperfezione, se n’accorava come un Gengè qualsiasi. Nel suo intimo era un insieme di antri bui, claustrofobici, ma per quanto a molti potesse sembrare terrificante io lì mi sentivo a casa, e poi suvvia il mondo della moda è famelico, spietato, e al primo errore ti massacrano senza star a pensare alla tua storia, ai tuoi sacrifici, diamine per le riviste sei soltanto un manichino ben rappresentato ed agghindato! Io li odiavo profondamente per tutto il male che le facevano schiacciandola con il soffocante dolor del fallimento che sentivo anch’io tutte le volte che non riuscivo a renderla felice come meritava. Mi rincuorava però sapere che la mia presenza l’allietava e che, dal mio acquisto, avesse cominciato a mangiare molto di più rispetto a prima pur rimanendo sempre magra, e quando lei s’abbuffava m’abbuffavo anch’io perché viziato da tutte le sue attenzioni verso di me e, beh, dovete sapere che sono un animale estremamente goloso, alcuni direbbero vorace ma credo sia un’esagerazione.

Arrivò a Milano la fashion week e Jessica era la stella emergente sulla quale gravavano tutte le aspettative, il cavallo di battaglia della scuderia di Valentino Clemente Ludovico Garavani, uno degli stilisti italiani più famosi al mondo. Lo stato di agitazione di quel periodo raggiunse picchi folli in Jessica ma era tutto sommato prevedibile visto che aspettava un’occasione del genere da tutta una vita; quello era il suo momento ma non sarebbe stato l’ultimo canto del cigno bensì il coronamento di un percorso prevedibile vista la straordinaria bellezza della mia principessina. Per sei giorni si destreggiò tra borse con catene one stud in nappa, cinture reversibili in vitello lucido, shorts in washed taffetas, bomber imbottiti in faille, blazers in diagonal crepe stretch e chi più ne ha più ne metta: sempre elegante e sprezzante della folla ammassata che la fissava con stupore, fotografi, stilisti, modelli e personaggi di spicco del mondo dello spettacolo ai quali elargiva occhiate maliziose, ogni centimetro di passerella era un palcoscenico che aveva l’onore di ospitare una delle migliori performance mai viste dal 1943; era una danzatrice del ventre che, con i suoi movimenti, richiamava gli antichi culti della fertilità, era una pattinatrice che sciava su un ghiaccio sul quale sono scivolati in tanti nella storia ed era un diamante non più allo stato grezzo, bensì puro come un’increspatura sugli specchi d’acqua del lago di Fusine.

Contemplavo gli antri bui riempirsi di una luce propria che investiva ogni lago sotterraneo ed ogni goccia di rugiada che, intrepida, fuggiva dalla stalattite di origine e si infrangeva sulla roccia: finalmente Jessica si fece ilare ed io avrei potuto condividere quella gaiezza inebriandomi del suo amore. Il settimo giorno si presentò in camerino ma non era raggiante come le altre volte, o meglio, mostrava sempre il suo straordinario sorriso che non lasciava traspirar alcun dolore, ma le coordinate che tracciavan le rotte delle iridi sue eran insolite, non sembravano comunicare gioia o fierezza bensì seguivan rotte dispersive e senza logica alcuna. Nell’ultima serata di galà Jessica sfilava apparentemente come al suo solito finché, all’improvviso, passò da esser l’albatro in volo ad esser l’albatro di Baudelaire ramingando sbilenca, cempennante e destando il clamore ed il riso generale. Svenne. Cadde dalla passerella. Rimasi attonito. Tutto si fece buio.

Al risveglio Jessica era ebra del tempo passato in coma ma subito notò che, oltre al fatto di essere sul lettino d’ospedale affianco ai genitori venuti dritti da Los Angeles nonostante gli innumerevoli impegni ed il fatto che, quelle due schifose bisce, non si fossero mai realmente curati di quella povera disgraziata nemmanco quand’era in fasce, c’era qualcos’altro d’inconsueto, forse addirittura nel suo stato di convalescenza, e non le ci volle molto a capire di non riuscire a muover neanche un singolo arto se non gli occhi e la bocca. Poco dopo un signore piuttosto tozzo, dal volto abbastanza barbuto da poter celare l’espressione angustiata che lo attanagliava, e con il tipico camice bianco entrò nella stanza pronto ad “accogliere” la fanciulla al suo risveglio dandole a malincuore la peggiore delle notizie: a quanto pare la caduta non la lasciò fisicamente integra ecco… Provocandole una grave frattura cervicale… E la conseguente tetraplegia. Jessica vide volatilizzarsi davanti a se ogni sogno di gloria. Era diventata del tutto insignificante agli occhi della vita. Non avrebbe più potuto provare alcun piacere. I giorni, le stagioni, gli anni sarebbero trascorsi e nel loro divenire lei sarebbe stata sostanza immobile, ma non com’Iddio nella metafisica aristotelica, bensì come scipito scoglio affacciatosi sulla costa: il mare avrebbe potuto eroderla, sbriciolarla se avesse voluto, e lei non avrebbe potuto battere ciglio se non, in caso di una tempesta particolarmente violenta, affondare frammento per frammento. Nel più totale sconforto da parte di tutti i presenti il dottore volle fare ulteriori accertamenti per assicurarsi di non dover fare qualche altra funesta affermazione riguardante lo stato di salute della poverina. Seguitando in un’accurata analisi attraverso tac ed altre diavolerie della medicina moderna lo sguardo insofferente del dottore, in un attimo di distrazione, s’accorse della mia presenza… e se ne disgustò profondamente.

Egli si alterò in una maniera che nessuno in quel momento si seppe spiegare ed anche io, confesso, ne rimasi basito; uscì fuori dai gangheri insistendo sul fatto che me ne dovessi andare via ma io non capivo in che modo un animaletto parco come me nel porsi verso gli altri potesse causar un qualche tipo di fastidio; io, perdiana, che me ne stavo in un angoletto buio ripiegato su me stesso a percepir il cordoglio di Jessica ed a soffrirne. Il dottore s’armò di guanti e pinze per portarmi via ma io non ne volli sapere, m’avvinghiai iroso a lei, alla sua mestizia, per farle sentir l’amore viscerale che m’avrebbe tenuto in vita solo per renderle migliore l’esistenza; lottavo con disperazione per starle accanto, tra mugugni e lagrime, per non soccomber alle tristizie di quel dannato dottore. Dannata sia la sua stirpe! Dannato sia chi lo ha raccomandato e chi gli ha concesso quello stupido foglio di carta! Ha proprio ragione chi afferma che al giorno d’oggi la laurea la regalino veramente a tutti. Ad ogni suo strattone tutt’intorno a me si cominciava a sgretolare però io rimanevo aggrappato a Jessica persino con i denti provocandole ferite profonde, ma suvvia tutto è giustificabile quando è l’amore ad agire, tutto si può perdonare ad un povero innamorato. Tutt’intorno si sgretolava ed io cominciai a scrutare una luce che non era di beltà e di gioia, bensì l’alienante e nauseabonda luce al neon che funzionava solo a momenti alterni perché, evidentemente, i soldi della sanità pubblica non riescono a garantire nemmanco un corretto funzionamento delle strutture ospedaliere.

Cominciai a vedere la luce ma scavai dentro di me esumando le ultime forze rimaste per ribellarmi alle angherie del dottore, ma ahimè questa signori miei non è una storia dove a vincere è l’amore, bensì sono i potenti dal cuore arido e dall’animo improntato al raziocinio ed all’egoismo. Alla fine crollai, fui portato via da lei e fui sdraiato sul freddo metallo, nudo ed inerme, quasi a sembrar patetico. L’aria era ghiacciata, pungente, ed ogni folata erano come brinicle a trafiggermi la pelle, l’unica cosa che mi parve di udire era l’odiosa voce del dottore che, sconcertato, chiese: “Signorina cosa diamine ci faceva una taenia solium nel suo intestino?”, “Beh dottore… la comprai da un sito russo qualche tempo fa perché desideravo d’esser magra senza sforzo alcuno…”, “Magra senza sforzo alcuno?”, “Sì sul sito mi avevano detto che era una roba tranquilla, che non avrebbe comportato alcun danno alla mia salute perciò…”, “Dunque mi faccia capire, lei ha ingerito di sua spontanea volontà un verme solitario?”, “Sì ma…”, “Per caso si rende conto di aver mandato a farsi benedire il suo futuro per un mero atto di egoismo verso il suo corpo?”, “Io…”, “Mi dica solo se si rende conto che, da qui fino alla sua morte, rimarrà paralizzata dal collo in giù”, “Sì…”, “Orbene, perdonatemi signori ma io debbo andare a pranzo che son sveglio dalle 5 di stamattina per tentar di salvar vite per le quali ne valga davvero la pena, con permesso…”, “Stia tranquillo vada pure che di questa figliastra inetta ora ce ne occuperemo noi”  

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1 commento »

  1. Il racconto è opera di un virtuoso della parola che la usa da giocoliere esperto sino a farla somigliare ad una musica barocca, non ci si può distrarre, bisogna lasciarsi prendere totalmente dal suo corso, pena la perdita del senso. Ma anche la storia funziona, con l’atteso finale sorprendente. Bravo.

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