Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2022 “Via delle Primule 33” di Primula Galantucci

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

Michael osservava dalla finestra, come faceva tutti i giorni alla stessa ora, il fluire giocoso dei suoi compagni che si catapultavano correndo e schiamazzando fuori dall’Istituto in attesa del pulmino che li avrebbe riaccompagnati alle loro rispettive abitazioni.

Non capiva il perché, dopo le lezioni, tutti volessero andare via. Si stava così bene lì e loro invece preferivano uscire, stare seduti su quel mezzo scomodo e freddo per lunghe ore, percorrere strade trafficate e piene di smog per poi dover ritornare il giorno successivo. Chissà com’erano le loro abitazioni. Michael non riusciva proprio a immaginare cosa ci fosse di così diverso in quelle case rispetto al posto dove invece lui viveva.

Michael non aveva mai posseduto una casa, la sua dimora era sempre stata l’Istituto Comprensivo “De Amicis”. Conosceva a menadito ogni locale disposto su tutti e tre i piani e ogni anfratto di quell’enorme edificio, tanto che quando giocava a nascondino con i suoi compagni riusciva sempre a vincere mimetizzandosi talmente bene con l’arredamento circostante che nessuno era capace di trovarlo.

Non sempre però poteva giocare con i suoi coetanei.

Michael soffriva di un lieve autismo misto a dislessia che alcune volte, quando era particolarmente emozionato o nervoso, lo portava a dire esattamente il contrario di quello che effettivamente stesse pensando. Se in uno di quei momenti particolari, per esempio, qualche bambino gli chiedeva: “Michael, ti va di giocare con noi a nascondino?”, pur essendo quello il suo gioco preferito era capace addirittura di rispondere di no.

I suoi compagni quindi si mettevano a giocare tra di loro, pensando che lui non ne avesse voglia, come avveniva sempre quando facevano i dispetti a Masha, la bambina che avevano preso di mira perché non parlava perfettamente la lingua italiana, vestiva male e spesso non si lavava. Michael non accettava di partecipare a quegli scherzi stupidi che consistevano quasi sempre nel lanciarle piccoli pezzi di carta appallottolati, che rimanevano incastrati tra i suoi capelli cespugliosi, o spruzzare del deodorante sulla sua sedia, sotto il banco e a volte addirittura nel suo zaino o sul suo cappotto.

Masha piangeva dalla disperazione non capendo il motivo di questa avversione nei suoi confronti. Si sentiva diversa, così si isolava restando in disparte, le altre bambine la evitavano volontariamente. L’unico alunno con il quale riusciva a scambiare qualche parola era Michael, lui la trattava come un’amica, la consolava e si arrabbiava schierandosi contro tutti gli altri per difenderla.

Michael aveva un animo sensibile, non sopportava la maleducazione e i comportamenti di cattivo gusto che per i suoi compagni invece sembrava fossero tra i passatempi più divertenti che avessero a disposizione.

Per quanto riguardava gli studi Michael era un piccolo genio, riusciva a memorizzare libri interi e ricordava perfettamente qualsiasi cosa venisse spiegata in classe durante le lezioni, allo stesso tempo però dimenticava fatti precedentemente avvenuti che per lui non avevano più importanza.

Era come se il suo cervello, al ricevimento di nuove informazioni, desse spazio alle stesse andandone a pescare altre più vecchie per cancellarle. Così dimenticava anche gli sgarbi e il rancore.

Non conosceva la cattiveria, neanche quando i suoi compagni scherzando lo prendevano in giro: per lui tutto si tramutava in un gioco; anche i rimproveri delle sue insegnanti lo erano.

“Michael! Ma è mai possibile che ogni giorno al termine delle lezioni te ne stai li impalato a guardare fuori dalla finestra?”

La voce della maestra Caterina lo faceva trasalire ogni volta, era come un tuono a ciel sereno e lui aspettava ogni giorno quel richiamo, faceva parte del gioco. Le lezioni finivano sempre allo stesso modo, nel preciso istante in cui la sua maestra andava a chiamarlo.

“Si può sapere che cosa ci trovi di così interessante lì fuori? Perché non esci anche tu dall’aula al termine delle lezioni invece di farmi impazzire a cercarti?”

La maestra fingeva di arrabbiarsi con lui e Michael si divertiva un sacco e incominciava a ridere a crepapelle, correndo intorno ai banchi, perché voleva essere acchiappato da Caterina.

“Vieni qui birbantello che non sei altro, che cosa c’è da ridere?”

“Maestra Caterina, mi diverte l’idea di farla impazzire a cercarmi…”

Michael non riusciva quasi a parlare tante erano le risate che gli provocava quella scena ricorrente che amava ripetere ogni giorno interpretando sempre lo stesso copione.

Immaginava che la maestra Caterina fosse vestita con abiti da strega, poi da funghetto velenoso colorato con pallini rossi, infine da melanzana con una corona da regina sul capo e con ognuno di questi costumi la vedeva correre intorno ai banchi perdendo sempre qualcosa dalle mani: a volte le cadeva il registro contenente i nominativi e gli indirizzi degli studenti, che lui conosceva a memoria, a volte perdeva qualche penna sul pavimento o i gessetti colorati della lavagna.

Michael pensava che durante la corsa la maestra si fermasse di tanto in tanto per cercare quegli oggetti e che lui magicamente riuscisse a trovarli e a restituirglieli per renderla contenta del suo operato.

Queste scene erano soltanto frutto della sua fervida fantasia ma nella mente di Michael apparivano talmente reali da divertirlo sempre tanto.

Quando alla fine della corsa intorno ai banchi Michael si lasciava afferrare dalla maestra attendeva con frenesia un immancabile abbraccio.

A quel punto si sentiva protetto e trovava il coraggio per chiedere ciò che da sempre lo tormentava: “Maestra, perché tutti i bambini vanno a casa e io invece devo restare qui?”

“Perché i tuoi compagni devono recarsi presso le proprie famiglie per fare i compiti.”

Rispondeva la maestra cercando di usare il tono più convincente possibile.

“Ma anche io devo fare i compiti?”

Michael avrebbe voluto imitare i suoi compagni, ma non aveva una famiglia. I suoi genitori erano stati interdetti per abuso di sostanze stupefacenti e non essendo in grado di accudirlo era stato affidato a un centro pedagogico sin dai primi mesi di vita dove se n’erano occupati gli assistenti sociali.

“Michael, tu sei l’allievo più diligente dell’intero Istituto e per questo motivo hai il privilegio di vivere qui e di fare i compiti direttamente con noi maestre. E adesso fila, basta giocare, andiamo a studiare!”

Temendo che Michael ponesse qualche altra domanda, alla quale non avrebbe saputo come rispondere, la maestra Caterina, prendendolo per mano, lo accompagnava nella sala ricreativa.

Era da circa una settimana che Masha non si faceva più vedere a scuola.

Michael la aspettava ogni mattina, guardava arrivare il pulmino che trasportava i suoi compagni e attendeva che si svuotasse completamente, trepidante nella speranza di vederla scendere per correrle incontro, ma niente. Masha non c’era più.

Michael era sempre più triste e la sua classe non era più quella di una volta. I suoi compagni non gli chiedevano mai di giocare insieme a nascondino e lui non poteva più occuparsi di Masha, farla sorridere e spiegarle i termini italiani con i quali esprimersi correttamente. Tutto era diventato brutto senza di lei.

Michael aveva deciso di andare a cercarla e quel giorno, alla fine delle lezioni, era salito sul pulmino insieme ai suoi compagni. Aveva scelto un posto in fondo, per lasciare spazio agli altri di uscire prima di lui, poi alla fine del giro avrebbe chiesto all’autista di essere accompagnato all’indirizzo corrispondente all’abitazione di Masha.

Era arrivato in via delle Primule e dopo aver suonato al citofono di quel cancello arrugginito, non ottenendo risposta, aveva percorso un lungo vialetto polveroso che attraversava un prato incolto, pieno di rovi e popolato da gatti randagi e galline. Alcuni bambini scalzi e sporchi si rincorrevano, con dei bastoni in mano simulando una lotta, tra le cataste di tronchi secchi e di copertoni afflosciati.

C’era un cattivo odore di sterco e di immondizia in decomposizione.

Il numero civico 33 corrispondeva alla piazzola di una roulotte dalla vernice scrostata e un tendalino a brandelli che riparava la porta d’ingresso, come fosse una tettoia, dai raggi del sole e dalle intemperie.

Una signora dal volto rugoso e dall’età indefinita lo aveva accolto con diffidenza facendolo entrare. Era la madre di Masha ma dall’aspetto sembrava essere la sua bisnonna.

L’abitacolo era stretto e pieno di letti a castello, c’era una puzza nauseante mista a muffa, umido, cibo rancido e urina di gatto.

Così era questa la casa di Masha, viveva in queste condizioni igieniche precarie?

Masha era uscita per prendere una gallina che avrebbero cucinato quella sera stessa, sua madre lo aveva invitato a cena. Gli aveva confidato che la figlia non volesse più tornare a scuola.

Appena Masha lo aveva visto gli era corsa incontro felice e si erano abbracciati a lungo.

Michael l’aveva convinta a riprendere gli studi e il giorno dopo erano saliti insieme sul pulmino che li avrebbe condotti a scuola.

Rimaneva soltanto un piccolo problema: come giustificare la sua breve fuga alla maestra Caterina che si sarebbe sicuramente arrabbiata con lui.

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4 commenti »

  1. Una storia molto delicata, sembra quasi una fiaba, anche per la modalità della scrittura. E c’è un lieto fine.

  2. Racconto molto piacevole, sia per la scrittura che fluisce con naturalezza che per il sentimento di tenerezza che pervade tutta la storia. Tratta temi interessanti ed attuali. Fa sorridere il nome della via di Masha che sembra un piccolo cameo dell’ autrice.

  3. Racconto scorrevole pervaso di tenerezza che mi ha fatto venire alla mente la famosa frase di Fabrizio De André riportata su una lapide nei vicoli di Genova “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”. Complimenti

  4. Complimenti, è un racconto che scalda l’animo.

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