Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2022 “Amici!” di Vincenzo Santagati

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

Sarà forse colpa del mare, sarà forse colpa della montagna, ma non si capisce perché in Sicilia è così facile volersi molto bene o molto male.

    A tal proposito, l’On. Raffaele Caccavalle, appena tornato dalla spiaggia, andò a piazzarsi con la sdraio sul terrazzino di casa, lasciando che la brezza gli solleticasse la pancia scoperta.

    “Questo è un paradiso!”, attaccò a mormorare, serrando le dita dietro la nuca, spaziando con lo sguardo lungo l’orizzonte del mare, da nord a sud, fra la costa calabra e il promontorio roccioso di Sant’Alessio Siculo. “Altro che le Antille!”.

    Armato di tale considerazione, l’On. trascorse l’intero pomeriggio ad alleggerirsi il costume dai ciottoli, ricambiando con pontificali alzate di mano gli ossequiosi saluti che dalla strada giungevano al terrazzo.

   Di tanto in tanto, sospinto da una gradevole un’arietta di scirocco, giungeva pure il mormorio dei passanti. “Un uomo così serio! Così ben posizionato!”. Era per lo più un mormorio d’assoluto consenso alla sua persona. “Un influente uomo di stato! Che onore per il comune di Santa Teresa!”. Ma se soltanto ci si fosse affacciati qualche ora addietro dal muricciolo che separa la strada dalla china ciottolosa della spiaggia, l’On. Caccavalle, senza imbarazzo alcuno, si sarebbe lasciato guardare girarsi e rigirarsi sul bagnasciuga come la sirenetta del mare.

    Ebbene sì, il mare fa di questi miracoli! Aumenta l’appetito, asciuga le tonsille, toglie il pudore dal groppone! Ma l’animo umano è debole, si sa, e buono non ci sa stare.

    “Rita!”, prese a chiamare l’On. “Il mio cellulare, per favore!”.

    La moglie si presentò pochi attimi dopo, consegnandoli oltre il telefono un pacco di sigarette e un accendino. “Se ti viene voglia di fumare!”, precisò nelle turchine trasparenze del suo caftano da mare. “Basta che non cominci a chiamarmi di continuo!”. E lo fulminò con lo sguardo, leggermente strizzato nella cornice dei capelli biondo cenere, un po’ crespi per la salsedine.

    L’On. se ne accese una, compose il numero sulla tastiera, attese. “Spero di non disturbare”, disse, appena sentì rispondere. “Che fai?…Come te la passi, amico mio?”.

    Dall’altra parte, c’era Manlio Squillace, attore di professione, con molti ruoli di comparsa nella sua carriera. 

    “No Manliuccio, che Roma, quale Parlamento! Adesso mi trovo al mare”, proseguì l’On. “Per fortuna, gli impegni sono terminati…A una stupida festicciuola, dici?…E chi ti ci porta a una festicciuola per bimbi?…No! Ma quando mai! Volevo solo invitarti…Sai, qua è molto bello, ci si rilassa…Vedi di passare nei prossimi giorni…Si! Certamente!…T’abbraccio forte, Manliuccio!”

    Quella sera l’On. Caccavalle si sentì così pieno di gioia, talmente sereno, da non volersi schiodare dalla sdraio per nessun motivo; rimase sul terrazzino tutta la notte, a guardare la luna sorvegliare il mare scuro, le stelle luccicare davanti l’intero cielo d’estate, il lungomare farsi tappeto ai giovani nottambuli. Solo quando l’aurora roseggiò l’orizzonte e la corona solare sbucò a pelo d’acqua, egli permise ai suoi occhi di chiudersi.

    Il nero dietro la palpebra mostrava una lieve tonalità color rosa e l’aria odorava di salsedine. “T’hanno invitato?”. Una voce irruppe. “T’hanno invitato, si o no?”. Si fece molesta. “Spero t’abbiano invitato!”. Pareva scuoterlo per una spalla. “Non t’hanno invitato, dunque!”.

    L’On. Caccavalle si svegliò di soprassalto. “Chi mi ha invitato?…Dove mi hanno invitato?”. Davanti agli occhi gonfi, umidi di sonno, vide piazzarsi lo schermo del telefono.

    “Guarda, bestione!”, gli disse la moglie e col dito fece scorrere un’interminabile sequenza di foto dentro la chat – AJJMIGLIORI AMICI!!!JJA – . “Questi che si tengono stretti non sono i Falsaperla, gli Scornavacca, i Coccodrillo, gl’Impellizzeri, i Guarnaccia?”, seguitò a domandare. “Questo non è quell’infame, venduto, di Squillace che poche ore fa si lamentava di trovarsi a una stupida festicciola per bimbi?”. E col dito continuava a far scorrere i baci, gli abbracci, le strette di mano, i sorrisi. “Rispondimi ora: codesto ritrovo di farabutti non è forse il battesimo del figlio di Coccodrillo, con tanto di banchetto, regali e brindisi?”

    Il volto dell’On. si raggrinziva intorno agli zigomi, i suoi occhi formicolavano. “Ferma! Ferma! Ci sarà una spiegazione!”. Si mise in piedi, avvicinò il cellulare alle pupille fino a toccare lo schermo col naso.

    “T’hanno invitato o no?”, insisteva la moglie.

    “Se m’avessero invitato, ch’eravamo qua!”, scoppiò l’On.

    “Così gli amici tuoi non t’hanno invitato?”

    “Nossignore!”

    “Raffaele…”

    “Eh?”

    “Sulla Madonna…Non li voglio più davanti agli occhi miei! E soprattutto, non mi portare in casa quella canaglia di Squillace! Non puoi fidarti della gente che finge per guadagnarsi da vivere!”

    “Promesso!…Sulla Madonna!”

    Ciò che quella mattina aveva trascinato la coppia a sragionare era semplice: al battesimo del figlio di Emanuele Coccodrillo, intimo amico sia dell’On. Caccavalle che di Squillace, c’erano tutti tranne i Caccavalle!…Perché?…Come mai?…Quale il motivo dell’esclusione a una cerimonia cattolica della notabile famiglia Caccavalle?…Ma più di ogni altra cosa: perché Squillace aveva voluto mentire, nominando il battesimo del piccolo Coccodrillo una stupida festicciola per bimbi?…Che gliene fregava della figuraccia che i Coccodrillo avrebbero fatto ai suoi occhi a causa del mancato invito?…E infine: non era lui, Raffaele Caccavalle, per esplicita ammissione di Manlio, il più caro amico, quello a cui aveva sempre confidato i fallimenti artistici, l’intimo sudiciume di certe fidanzate, e domandato gentilezze d’ogni tipo?

    Dietro quest’ultima cosa, l’On. ci perse il sonno.

    “Te lo dicevo io!”, commentava la moglie trionfante, stesa di fianco a lui sul letto. “Squillace è un qua qua ra qua! Ma tu non ci pensare! La vita va avanti, caro!”. E allungava il braccio per spegnere la lampada sul comò.

    Invece, l’On. Caccavalle ci pensava, e di continuo.

    In Parlamento, si teneva il petto, strabuzzava gli occhi come chi si sente mancare l’aria. “Che hai?”, domandava sottovoce il compagno di partito, sedutogli accanto. “Stai male?”.

    E lui: “Traditore! Canaglia! Venduto!”

    “Ma con chi c’è l’hai?…Ti riferisci all’On. Zammataro?…All’On. Mucillo?…A quel facciolo del Segretario Polenta?”

    “No! No! No!”, rispondeva Caccavalle, scarruffandosi bruscamente i capelli. “Mi riferisco all’amico mio, a quello là, a lui!”.

    Persino di notte, l’On. Caccavalle rompeva il sonno con un secco colpo di testa. “Figlio di butt..!”, esplodeva al buio, levandosi a sedere sul letto. “Mi deve spiegare la ragione! Io devo saperlo!”. E la moglie, rigirandosi sotto le coperte, mormorava: “Ancora ci pensi!…Dormi, via!”.

   Malgrado l’inconsolabile pena, l’On. Raffaele Caccavalle continuò a frequentare Squillace, ma con uno spirito perverso. Se l’incontro era fissato al bar, Caccavalle, mentre sorseggiava il suo caffè, con un occhio gli rideva, con l’altro gli piangeva; s’era accorto, di fatti, che tutte le espressioni adoperate dall’amico erano piatte, inutili, noiose, quasi non ritenesse meritevole impegnare il cervello più di tanto. In buona sostanza, tra un caffè e l’amaro, Caccavalle s’accorse che Squillace non era “l’amico che egli credeva”; anzi, ancor peggio, che Squillace aveva smesso d’essergli amico. Ciò gli bastò per odiarlo, e tale odio crebbe così velocemente da diventare incontrollabile, fino a esplodere nella frase: “E’ due anni che mi prendi per il culo! Ora basta!”. Così gli urlò in un rinomato bar di Catania, facendo voltare tutti i presenti con le tazzine in mano.    

    Da quel momento, di ogni evento sgradevole, dell’amarezza, delle preoccupazioni, Caccavalle attribuiva a lui la colpa. E del resto, non aveva torto: perché Squillace l’obbligava a odiare, a seppellirsi vivo in un sentimento per cui non era portato. Il poveruomo giunse persino a lasciare il partito dove aveva militato da una vita per fondarne uno proprio, dalle chiare radici nazionaliste.   

    Nell’anno 2021, On. Raffale Caccavalle diventava il Segretario Generale del P.V.S.I. alias Partito dei Valori Storici Italiani. Ai raduni, messo davanti al microfono, l’On. stravolgeva la faccia per enunciare l’intero programma del partito. “Uno!”, attaccava col piglio di certi dittatori. “Lo Stato Italiano va ridotto alle sue funzioni essenziali di ordine politico e giuridico!….Due, piena dignità di costume!…Tre, libertà!…Quattro, la verità al di sopra di tutto!”. A tal punto, iniziava a picchiare il pugno sul leggio e non smetteva di ripetere La verità! fino a quando l’applauso della folla non lo sovrastava, rendendo muto l’astioso movimento delle sue labbra.

    Con queste parole, riusciva a passare un’intera stagione politica, come quello che passa a fischiettare un intero pomeriggio la solita melodia. Poi, però, veniva la volta della solita frase: “Mi ha pugnalato alle spalle!”. E con questa, gravida di significati, ci passava un altr’anno.

    Nell’aprile del 2030, l’On. Raffaele Caccavalle divenne il primo presidente della Repubblica Italiana ad avere cinquant’anni; tuttavia, nemmeno ciò riuscì a placare quell’odio con cui da tempo si riempiva le tasche e imbiancava i capelli. E di fatti, quando pochi mesi dopo l’elezione apprese la notizia che Manlio Squillace, anche lui cinquantenne, aveva ottenuto il suo primo ruolo da protagonista in un film acclamato dalla critica, non ci vide più dagli occhi e stabilì di voler riformare la Costituzione Italiana.

    Intrighi, dispiaceri, frequentazioni di loschi personaggi…Niente era come desiderava Caccavalle, eccetto l’odio per Squillace; stava per indire un referendum di revisione dell’art.1 nella più adeguata espressione – L’Italia è una Repubblica parlamentare, fondata sull’emergenza. La sovranità appartiene al Governo che la esercita a propria discrezione – quando la moglie, a cena, gli domandò: “Raffaele caro, ma chi te lo fa fare?”.

   Lui, col piatto davanti e la testa fra le mani, rispose: “Hai ragione cara, mi dimetto!…A Manlio Squillace, ho dedicato troppi anni della mia vita!”. E così fece, senza ma e senza sé, lasciando il Quirinale per ritirarsi nel comune marittimo di Santa Teresa di Riva, al sicuro dietro le ringhiere del terrazzino di casa, dove rimase in pantalocini, a strapparsi i peli bianchi dal petto fino a gennaio.

    E di Manlio Squillace se ne seppe qualcosa?

   Se ne seppe! Certo che se ne seppe!…Lo scrissero persino i giornali:

Il noto attore Manlio Squillace muore d’infarto nella residenza di Ognina, in circostanze poco chiare –

    In effetti, nessuno riuscì a spiegarsi perché Squillace, trovato l’animo di chiedere soccorso telefonico al 118, spedì l’ambulanza nella parte opposta della città, al civico 89 del Viale Mario Rapisardi, dove abitava una vecchina di ottantott’anni, in perfetta salute, che nulla aveva da spartire con Squillace.

    Solo una donna comprese cos’era veramente accaduto, ma per amore lo tenne per sé.  

    La signora Rita Caccavalle, tornata dalla pescheria con le buste piene di spesa attorcigliate ai polsi, notò una lettera biancheggiare nella cassetta della posta. “Infame!”, mormorò rabbiosamente, appena l’ebbe recuperata. “Il rispetto lo sdegna!”. Aprì quella lettera e, nell’atrio del palazzo, cominciò a leggere:

Caro Raffaele,

Sono molto ammalato, lo sono sempre stato. La mia è una malattia rara, inarrestabile a certi livelli. Si chiama menzogna!

Ebbene si, sono malato di menzogna! Devo mentire a tutti i costi! Così, se mi trovo a destra, dirò sempre di stare a sinistra; se vivo al mare, comunicherò di stare in montagna; e se sto bene, piangerò di star male.

Raffaele mio, t’ho voluto così bene, anche se t’ho dimostrato il male. Ma la mia è una malattia grave, questo almeno lo capisci? La sola cura è il mio mestiere, dove posso fingermi un altro, persino Marco Polo…Tutti, meno che Manlio Squillace!

Ora, però, mi sento pronto. Finalmente potrò volerti bene con sincerità.

A te spetta l’onere di perdonarmi, di concedermi quell’occasione che merita un’amicizia come la nostra…Perché la vita è breve, e bisogna riconciliarsi prima o poi.

Fraternamente,

Manlio Squillace

Quando gli occhi si sollevarono dalla lettera, lo stupore della donna non andò oltre la semplice riflessione: “Ma un malato di menzogna potrà mai guarire dalla menzogna?”. E attese un attimo prima di rispondersi. “Giammai, povera bestia!”. La mente le richiamò l’immagine di certi bisogni che un cane aveva lasciato lungo marciapiede, proprio davanti il portone del palazzo, e sui quali aveva rischiato d’affondare la scarpa poco prima di entrare. “Ecco la fine che meritano le tue parole, Squillace!”. Con la lettera in mano, si precipitò in strada, raccolse quei bisogni, li gettò nel bidone dell’immondizia lì vicino.

    Così terminò una fra le migliori amicizie nate in Sicilia: per mano di una brava donna, sempre devota al marito, alla verità, alla Patria.

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5 commenti »

  1. Mi piace, ma dov’è il resto? Sembra l’inizio di un romanzo…

  2. E’ scritto bene, molto fluido e simpatico. Tuttavia non riuscirei a definirlo un racconto, non vi sono ne sviluppo ne conclusione: l’unica cosa che inizia e finisce è la giornata descritta. Come ha già detto Leonardo, sembra l’inizio di un romanzo e/o l’introduzione del personaggio principale! Mi è comunque piaciuto molto, ti faccio i complimenti per lo stile di scrittura!

  3. Ringrazio per l’apprezzamento. Nel caricarlo qualcosa è andato storto, il racconto è incompleto.

  4. Racconto completo, per chi volesse leggere o continuare la lettura

  5. Molto simpatico! Si legge tutto d’un fiato. Nonostante possa sembrare, a primo impatto, in qualche modo un racconto superficiale, porta con sé un bel sottofondo di riflessione. Mi piace molto lo stile di narrazione esterno fluido e coinvolgente

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