Premio Racconti nella Rete 2022 “Una sera all’improvviso” di Francesca Gaidella
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022Fra quattro ore e tre minuti arriviamo a Napoli. Tutto secondo i programmi, il treno è partito in orario.
Non so perché ma quando si viaggia viene subito – e dico subito appena il mezzo su cui si è inizia a muoversi – una gran voglia di mangiare; la chiamano la sindrome del viaggio. Infatti prima ancora della fermata di Lambrate ho già allungato i panini a Lorenzo e Rinaldo. Mario invece che è seduto davanti a me, ha chiuso gli occhi. Non dorme, lo vedo, sta pensando a quando fra dieci giorni riprenderemo il treno, questa volta per Roma e saremo in tre. Non riesce proprio a stare qui con noi, lui è sempre là.
Nella postazione a quattro a fianco a noi ci sono solo due passeggeri. Sono due ragazzi giovani. Uno alto, elegante, è in camicia, ha risposto la giacca sull’appendiabiti ed è già immerso nel suo pc con le cuffiette. Sta guardando “Perfetti sconosciuti”, deve averlo iniziato da prima perché stanno già litigando tutti.
L’altro, più basso, faccia rotonda, occhi scuri, jeans e maglietta, ha appoggiato sul tavolino un’ insalata di songino, carote, mais e tonno. Anche lui deve avere la sindrome del viaggio, ma quanto è più salutare il suo piatto rispetto ai panini imbottiti di formaggio e affettati che ho propinato ai miei figli!
Mi avvicino a Lorenzo e gli sussurro: “Pensa tra poche ore saremo allo stadio per la partita del Napoli, proprio come volevi tu”. Mi guarda con gli occhi che sorridono.
“Che palle! Speriamo almeno che sia divertente perché certo non era il mio di sogno. Voglio arrivare lì all’ultimo minuto perché odio aspettare” rimbrotta Rinaldo. Gli rispondo che non ho la minima idea di come siano gli ingressi non essendo mai stata al San Paolo.
Dalla parte del ragazzo dell’insalata sento: “Signora, è molto semplice, in che settore siete?”, è lui che parla. Gli spiego che non lo so perché i biglietti ce li ha mio marito che sta dormendo e lui: “Non si preoccupi, vi aiuto con piacere. Sa non ho vizi particolari, non fumo, non bevo, ma non ho mai perso una partita del Napoli da quando avevo 18 anni”.
“Grazie mille” gli rispondo sorridendo “Sa anche Lorenzo non perde una partita del Napoli alla TV da quando aveva 4 anni. Ha visto la figurina Panini di Hamsick e da quel momento è stato amore, una sorta di illuminazione, così forte che ha trascinato tutta la famiglia. Mi chiamo Federica, piacere”.
E lui: “Avete qualche parente napoletano?’”. Gli dico di no, noi siamo lombardi da generazioni. E lui: “Mi sta dicendo che un bambino milanese tifa Napoli senza avere parenti napoletani?” . Annuisco. “Che un bambino milanese ama il Napoli così tanto, tutto con il cuor suo?.” Gli occhi gli brillano, guarda dritto verso Lorenzo, che tiene come sempre lo sguardo verso il basso. La sua proverbiale timidezza.
“Lorenzo, ciao mi chiamo Salvatore”. Lorenzo muto lo guarda. “Le sai le canzoni dello stadio?”. “Un poco”- abbozza Lorenzo. “Allo stadio cantano tutti e se non sai bene le parole non riesci a cantare. Ti va di sederti qui vicino a me che le scriviamo su un foglio? A cussì entri con le parole in mano e appena si inizia puoi cantare anche tu.”.
Mentre aspetto il solito silenzio di Lorenzo che dovrò rompere con frasi di circostanza, Lorenzo risponde: “Va bene; mamma mi dai un foglio?” , mi accarezza la gamba e si alza per cambiare posto.
Cerco nella borsa, ma ho solo la prenotazione stampata della casa che affittiamo. Salvatore pronto mi dice che va benissimo: “Forse è meglio che scriva tu, Lorè, perché così capisci la tua calligrafia. La prima canzone che si canta, all’inizio dell’allenamento e poi alla fine della partita, è Una sera all’improvviso”.
Lorenzo, che odia scrivere perché è lento e dobbiamo chiedere sempre la foto delle pagine di scuola ai suoi compagni perché le sue sono incomplete, ha la penna in mano e guarda le sue labbra come Mosè davanti a Dio.
Salvatore inizia: “Dimmi se il mio ritmo va bene. Iniziamo. Un giorno… all’improvviso… mi innamorai di te … Il cuore mi batteva … Non chiedermi … il perché … Di tempo ne è passato…Ma sono ancora qua … E oggi come allora… Difendo la città… Alè… alè… alè…”
Li guardo stupita, sono concentrati, tremendamente concentrati. Solo la voce di Salvatore e la mano di Lorenzo che si muove. Chiudo gli occhi e mi faccio cullare da questa nenia dolce e ritmica. Mi accompagna fino a Napoli Afragola.
Quando ci salutiamo, Salvatore ci dice che vorrebbe incontrarci davanti allo stadio prima della partita: ci verrà a cercare lui. Ci scambiamo i numeri di telefono.
“Federica, Lorenzo, Federica, Lorenzo” è la voce di Salvatore che riconosco non so come in questa cosa rombante in cui siamo immersi: sciarpe azzurre, cartoline di Insigne e Mertens, gagliardetti, “Ciro, vieni ccà”, “Stò ccà”, “Vattenne”, “Uhé”, “Mangia”, “Chè vuoi”. Persone a piedi, in moto, in motorino, a due, a tre, in quattro, verso un luogo ben noto con riti e ritmi ancestrali . Mario è nervoso, non sopporta la ressa, Rinaldo ci sta stranamente vicinissimo, Lorenzo al contrario sembra essere pienamente a suo agio. Dai tornelli arrivano delle urla fortissime. Ci sono persone appese alle sbarre dello stadio e che le scuotono come per romperle. “Non se possono cambiare le regole a cussì, stò stronzo d’un presidente”. “E’ 40 anni che vengo allo stadio e mò ci deve essere il mio nome sul biglietto”. “Pasquà tu mi acconosci, fammi passare”. Salvatore ci raggiunge e con una voce calmissima parla a Lorenzo. “Non ti devi spaventare, quando c’è il primo calcio tutto s’acquieta” e Lorenzo fa cenno di capire alla perfezione.
Tocca finalmente a noi entrare, ma c’è un problema anche con i nostri biglietti: sono stati comprati da un sito di compravendita dichiarato illegale dieci giorni fa. Mario è affranto :“Noi siamo venuti da Milano apposta, li abbiamo pagati, hanno il marchio SIAE”. Il poliziotto: “Mi spiace ma qui c’è scritto Geringer dall’Olanda, e voi non siete né Liam nè Jan nè Halm nè Chris, quindi non potete entrare”. Con tutto il corpo proteso, Mario quasi lo supplica: “Mio figlio deve entrare, mi dica cosa posso fare…”. E lui “ Provi al tabaccaio di via FiordiGrotta, ma mancano 10 minuti all’inizio della partita e la vendita si chiude 5 minuti prima, se corre… saranno 2 km…”. Michele mi guarda: “Io ci provo, Salvatore tu puoi stare con loro?”. Salvatore annuisce e Michele scompare correndo con in mano il cellulare su Google Maps.
Lorenzo non dice nulla, al contrario di Rinaldo che inizia a imprecare in merito alla disorganizzazione dei suoi genitori, al fatto che non voleva venire, che ora non si vede neanche la partita, che aveva perso una festa di compleanno, che non verrà mai più in vacanza con noi. Salvatore accarezza la testa di Lorenzo e gli racconta di quando da ragazzino aveva visto per la prima volta Maradona con suo zio.
Io rimango lì in piedi, ma sprofondo sul treno per Roma, quello di fra dieci giorni, sul taxi che ci porterà in ospedale, nei giochi che farò con Lorenzo la sera prima dell’intervento, nel sorriso che gli farò quando lo lascerò tra le mani degli infermieri vestiti di verde, sono schiacciata sulla porta della sala operatoria che si chiuderà, nel terrore, nel nulla. Mi sento soffocare.
“Federica, se Mario non ha chiamato, significa che non ha trovato i biglietti; Federica mi senti?”. Le parole di Salvatore mi scuotono. “Federica, se vuoi, Lorenzo può entrare allo stadio. Può venire in curva con me”. Sono confusa. Salvatore scandisce lentamente: “Federì, se tu vùoi, può entrare con me. Tu mi devi dire solo se tu vùoi”.
Guardo Lorenzo e dalla mia bocca sento uscire queste parole: “Lorenzo, tu te la senti di entrare allo stadio con Salvatore?” E Lorenzo con un tono squillante che quasi non riconosco dice: “Sì”.
Guardo Salvatore, non so se dirgli che Lorenzo sarà operato, che forse il rumore sarà troppo per lui, che a volte gli gira la testa così forte che vomita, che parla poco (ma forse questo l’ha capito) e che l’oncologa ha detto di osservarlo sempre, di registrare tutto quello di insolito gli succede, che deve mangiare spesso e riposare… Ma non faccio niente e dico: “Va bene”.
“Bene, allora venite con me verso l’ingresso della curva e aspettate dove vi dico”. Camminiamo nel piazzale che si sta svuotando di tutti i rumori, Salvatore mi racconta che ha molti amici nella polizia perché è un poliziotto penitenziario che lavora a Milano e che sta aspettando il trasferimento a Napoli perché sua moglie è incinta del terzo figlio. Ha tutta la famiglia qui e non vede l’ora di tornare. “ Il primo ho dato retta a mio padre, il secondo lo dovevo a mia moglie, mo’ però il terzo lo chiamo Diego”.
Ci lascia e si avvicina ai poliziotti oltre i tornelli, parlano fitto fitto senza gesti, non sento quello che dicono. Dopo pochi secondi, Salvatore si gira sorridendo e viene verso di noi.
“Lorenzo entriamo. Vieni vicino a me, stai qui dentro la mia giacca che fa anche caldo. Non dire niente e rimani lì fino a quando te lo dico io. Quando passiamo il tornello, tu segui il movimento dei miei piedi, il destro con il destro, il sinistro con il sinistro. Tutto chiaro?”. Lorenzo annuisce e lo abbraccia forte: le sue braccia gli arrivano alla cintura.
Così questo mostro a quattro gambe, con un gran sorriso contornato dalla sciarpa di un Napoli lontano e una pancia rigonfia con i bottoni strangolati, va verso l’ingresso della curva B, sposta il tornello dondolando a destra e sinistra. Il mostro è dentro, cammina verso gli spalti, ancora con le quattro zampe in perfetta sintonia; si volta verso di me e urla . “Ci vediamo qui all’uscita, forza Napoli sempre”. Mi sembra che il “sempre” sia uscito dall’ombelico. Alle scale, la giacca si apre ed eccoli salire insieme. Hanno girato l’angolo, non li vedo più.
Sono presa da una felicità potente e infantile, di quelle che ti scuotono tutto il corpo.
“Mamma tu sei completamente pazza” mi dice Rinaldo. “Ora che Lorenzo è a posto, cerchiamo dove guardarla ‘sta maledetta partita? Cosa dici di quella pizzeria? E papà? ”.
Oddio, l’avevo dimenticato, lo vedo lontano arrivare di corsa.
“Non li ho trovati, ho corso come un pazzo ma avevano chiuso, ho offerto tutto quello che avevo, ma non potevano venderli.” Arranca, fatica a parlare, forse ha pianto. “Mi spiace” sussurra. Si guarda attorno: “Dov’è Lorenzo?”.
Rinaldo interviene subito: “Papà calmati, Lorenzo è dentro, è in curva con Salvatore, adesso andiamo a mangiare?”.
Segue un momento di silenzio. Mario mi fissa e dalla bocca esce un sibilo deforme:“Cosa? Lorenzo con Salvatore? In curva B, da solo? Tu hai acconsentito? Tu sei matta! Non lo conosciamo, non abbiamo niente di lui! L’hai incontrato tre ore fa sul treno e gli hai dato tuo figlio, come hai potuto?”. La voce gli trema: “Gli hai detto…se sta male… se vuole sedersi… se è stanco…”. Abbozzo che Salvatore è una guardia penitenziaria che sa fiutare le situazioni difficili, meglio di un impiegato delle poste, ma lui urla: “Tu sai chi c’è in curva a Napoli? Tu lo sai? Genny a carogna ti dice qualcosa? Tu sei completamente fuori di testa. Se gli succede qualcosa …” Urla, urla, urla, ma io sono felice, sempre più felice e leggera, sto volando.
All’improvviso il terreno trema e un boato enorme esplode alle nostre spalle. Non capiamo cosa stia succedendo, il cemento si muove e risuona, siamo frastornati, solo una voce più nitida dice Pietor e una molto più grande Zelinski, e ancora Pietor… Zelinski e ancora Pietor … Zelinski e ancora; suona anche il mio cellulare. Lo prendo in mano, c’è un messaggio di Salvatore, c’è una foto: c’è Lorenzo, in braccio a lui, sorride, ha in mano un megafono e sotto la scritta “Lorenzo con in mano il megafono della curva B. A dopo”.
Allungo il telefono a Mario che è ancora tutto rosso, con la giacca e la bocca aperta; quasi me lo strappa. Lo guarda, mi guarda. Ci abbracciamo forte, ma solo un attimo perché se siamo troppo vicini le nostre paure e le nostre speranze fameliche rischiano di divorarci.
Rinaldo irrompe :“Ho fame, andiamo in quella pizzeria, che abbiamo già perso un goal?”.
“Sì, amore, andiamo, abbiamo ancora almeno 80 minuti”.
C’è una brezza invernale tiepida del Sud; il cielo è nero, di quel nero che ti acquieta e aggiusta tutto.
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Un buon flusso narrativo, trascinante e carico emotivamente.
Mi è piaciuto. Devo ammettere che mi sono affezionata al personaggio di Salvatore
Grazie del tempo dedicato alla lettura e dei commenti preziosi ed emozionanti.