Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2022 “Quel che la signora voleva” di Maria Letizia Mancuso

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

L’irrompere improvviso nella mia vita da bambina di due membri della famiglia Leonatti, madre e figlia, non aveva una data o un evento preciso: erano comparse per la prima volta a casa un pomeriggio qualunque durante il lungo periodo della malattia di mia zia.

Erano due figure inconsuete, sempre vestite in modo preciso, quasi lezioso, e fuori tempo; vivevano al Tiburtino e  nella zona dovevano essere facilmente riconosciute come estranee così diverse, avulse.

L’una, Esmeralda, non sposata, piccola magra, un bel viso dolce, intorno alla cinquantina, molto curata nei capelli e nel leggero trucco, era l’incarnazione di chi non volesse che l’età migliore passasse, attaccata ancora all’idea di un possibile compagno per la vita.

La madre, Rosa, grassottella, sorridente e con un atteggiamento positivo qualsivoglia fosse l’argomento di cui parlasse, era da sempre chiamata, per la struttura del fisico ma probabilmente ancora di più per il carattere e il suo modo di essere, Rosetta, e dimostrava meno anni di quelli che doveva avere.

Con lo stesso colore dei capelli, castano chiaro, per la tinta uguale che faceva loro il parrucchiere, erano più l’immagine di due sorelle che di una madre e di una figlia.

I Leonatti erano di Parana. A metà degli anni cinquanta del secolo scorso le due donne si erano trasferite a Roma per qualche motivo a me sconosciuto visto che non svolgevano alcuna attività lavorativa nella capitale. Ogni anno a primavera tornavano nella cittadina d’origine e in autunno scendevano di nuovo a Roma: una transumanza umana.

Esmeralda aveva sorelle e fratelli di cui avevo appreso l’esistenza dai discorsi che le due donne facevano in salotto con mia madre, davanti una tazza di te e una fetta di ciambellone.

Rosetta era stata una di quelle creature non più bimbe e non ancora ragazze fatte che i genitori mandavano al servizio nelle case di una qualche famiglia benestante quando avevano intorno ai tredici, quattordici anni, per dare loro un po’ di sollievo.

Erano contadini e lei era l’ultima figlia di uno stuolo di fratelli e sorelle. Quando il curato del paesino disse che una signora benestante, giovane, sposata da qualche anno, stava cercando una cameriera perché quella che le prestava servizio era ormai molto anziana, i genitori decisero subito di proporre Rosetta.

Il curato si trovò d’accordo: pensava proprio che quella ragazza, con il suo carattere allegro e gioviale, potesse andar bene e ne parlò alla signora.

Così Rosa entrò a servizio dai Leonatti.

I primi tempi non furono proprio facili, separata dai genitori e dai fratelli e tra persone estranee; si era resa conto però di essere stata subito accolta con molta affabilità.

La cameriera che Rosetta aveva trovato in casa era veramente molto anziana e altrettanto malandata e, riuscendo a fare ormai solo pochissime incombenze, riversava sulla ragazza tutto il proprio sapere per quanto volessero i padroni sulla pulizia, sui pochi ospiti che ricevevano, su quali fossero i cibi più graditi, cosa e come lavare e stirare e altre cose del genere.

Rosetta aveva frequentato le scuole solo fino alla terza elementare ma questo non impediva alla sua intelligenza di svilupparsi, e, non mancandole la voglia di lavorare, nel giro di pochi mesi lustrava e puliva il villino a tre piani senza problemi.

Di una questione la vecchia inserviente l’aveva messa subito al corrente per evitare che toccasse un tasto poco gradito e di pesante cruccio.

Da quando erano sposati, ormai una decina d’anni, i coniugi non riuscivano ad avere figli e l’unico motivo per cui lasciavano la cittadina erano le visite specialistiche.

All’inizio del matrimonio la moglie, sempre accompagnata dal marito che le era molto legato, si era fatta visitare dai medici locali ma poi, visto il risultato nullo delle cure proposte, aveva deciso e preferito rivolgersi a un luminare sul tema.

Così andavano frequentemente presso lo studio di un famoso ginecologo a Napoli, muovendosi a seconda del calendario delle visite e delle cure che indicava.

I viaggi erano sempre preparati con apprensione, non tanto per la distanza o per il costo, ma perché ogni nuova trasferta era la certificazione di un fallimento e un diminuire delle speranze.

Per evitare trasbordi fra corriere e treni, preferivano, per quei due giorni, prendere in affitto una macchina, remunerare il relativo guidatore e fermarsi a dormire in un albergo vicino allo studio medico.

Purtroppo anche quei ripetuti tentativi si rivelarono inutili.

L’atmosfera perciò nella casa era sempre più spesso malinconica: i due coniugi, cosa non frequente a quei tempi, si erano sposati per amore, e continuavano a volersi molto bene, ma la moglie viveva la mancanza di un figlio con un lacerante senso di colpa.

Unica sua consolazione era il pianoforte disposto nel soggiorno al livello primo della casa; spesso lo suonava il pomeriggio e la sera finché il sonno non la vinceva o il marito non la pregava di andare a dormire con lui.

Il signor Leonatti era Preside della scuola superiore della cittadine e forse sentiva meno quella mancanza circondato com’era da ragazzi di tutte le età.

A Rosetta, abituata a stare in una casa contadina e con tanti familiari assipati negli stessi piccoli spazi, il vivere con tanta disponibilità di cibo e vestiti ed avere una larga e comoda camera dove dormire, le era apparsa una sistemazione da Paradiso e non riusciva a nascondere il suo buon umore e l’ottimismo del carattere tanto che era in grado qualche volta di strappare un sorriso o una battuta simpatica alla signora o al marito.

Le due cameriere dormivano in uno stesso locale al piano terra vicino alla cucina e, per questo, a differenza degli altri locali del villino, piacevolmente caldo anche d’inverno nonostante a Parana ci fosse spesso la neve e il freddo.

Fu Rosetta ad accorgersi una mattina di quasi tre anni dopo che era arrivata a servizio, che Giovanna, la cameriera anziana, era spirata serenamente nel sonno e che ora si sarebbe trovata sola ad accudire la casa e i suoi malinconici abitanti.

La prima volta che questi dovettero andare a Napoli, non fidandosi ancora del tutto della ragazza, rimandarono Rosetta presso i genitori, la seconda, e le altre seguenti, le lasciarono le chiavi dell’abitazione e si misero in viaggio.

Ma quelle trasferte si facevano sempre più rare mentre i rapporti fra i coniugi si andavano deteriorando, non solo per la mancanza di un erede che tutti e due desideravano intensamente, ma anche perché la signora, sempre più malinconica e indebolita, non voleva più curarsi, nonostante le insistenze del marito.

Lei aveva sempre creduto e voluto che il suo unico destino fosse quello di una buona madre di numerosi figli; essendole negato, si era convinta che la vita dovesse finire.

Gli sforzi del marito per farla allontanare da quei pensieri erano continui e ogni volta che nella cittadina si presentava una nuova compagnia teatrale o arrivava qualche buona cantante o si organizzava una mostra o un concerto, quasi la costringeva a uscire.

Man mano che la moglie si allontanava dalla vita, era al marito che Rosetta si rapportava per le incombenze domestiche ed era a lui che raccontava, quando le sembrava che fosse dell’umore adatto, gli avvenimenti appresi al mercato o dai paesani che aveva incontrato uscendo.

E spesso, quando aveva poco da fare si fermava a guardare il padrone dipingere, che quello era diventato l’unico diletto dell’uomo dopo l’impegno di Direttore Scolastico.

Poi venne il giorno in cui la signora chiese a Rosetta di sistemarle una delle altre due stanze da letto di cui la casa disponeva: non voleva più dar fastidio al marito con la sua frequente insonnia.

La cameriera si informò sul da farsi presso il signor Leonatti, che le ripeté, come le aveva detto molte altre volte, di accontentare in tutto e per tutto la moglie.

Intanto Rosetta era cresciuta di età e di spigliatezza, non di statura; era rimasta paffutella e dava l’idea di una ragazzetta, più che di un’adulta, scherzosa e vivace.

La prima volta che successe, Rosetta trovò il fatto normale e piacevole; ne seguirono molte altre nella sua stanza a piano terra e la ragazza dopo qualche mese si scoprì in attesa di un bambino.

La prima persona a cui le venne in mente di parlarne fu il curato, non per confessarsi che non riteneva di aver fatto nulla di male, ma per avere consiglio su come si dovesse procedere in simili circostanze.

La risposta fu di parlarne col padre del nascituro e con il Preside, che anzi lui avrebbe sicuramente dato le indicazioni migliori, e Rosetta lo fece.

Il prete non le aveva chiesto chi fosse stato l’uomo e lei non si era soffermata a dirglielo, tanto le pareva ovvio.

Il sig. Leonatti non sembrò molto meravigliato, anzi le disse di non preoccuparsi che il bambino sarebbe stato cresciuto in casa, che di spazio e cibo ce ne erano in abbondanza.

Gli fu dato nome Ermete.

Nella cittadina, prima della nascita, nessuno aveva intuito che la ragazza fosse incinta, le sue rotondità avevano nascosto a tutti l’evento, e, una volta che il bimbo fu conosciuto, la voce dei paesani era solo di apprezzamento per quella famiglia che, invece di scacciare la servetta immonda, aveva accettato di mantenere e crescerne il figlio.

La signora sembrava rinfrancata da quel pargolo che dopo qualche mese aveva cominciato a girare per l’abitazione a quattro zampe, a emettere voci e gridolini che risuonavano dal piano terreno. Aveva perfino, qualche pomeriggio, ripreso a suonare il piano, e convinto il marito che bisognava prendere un’altra persona di servizio in famiglia, almeno per qualche giorno a settimana, perché Rosetta, ora che doveva accudire al bambino, non riusciva a svolgere completamente e bene tutti i compiti collegati alla gestione della casa e a loro due.

Fu scelta la sorella più grande di Rosetta.

Non erano trascorsi neanche due anni che nacque una bimba, Esmeralda. Il terzo prese il nome di Anelito e la seconda cameriera, e sorella di Rosetta, si trasferì definitivamente nella casa.

La signora, però, dopo l’inaspettato e abbastanza lungo periodo di miglioramento, ricominciò a sentirsi molto stanca, ad avere difficoltà nel muovere le gambe, poi perse quasi completamente l’uso di un braccio e nel giro di tre, quattro anni si allettò completamente.

Chiedeva spesso che i bimbi più grandicelli le dessero un po’ di compagnia e le facessero sentire che la casa fosse abitata e viva e questo accadeva in modo spesso talmente chiassoso e confusionario che qualche altro adulto entrava nella camera della signora sgridando i bambini e convincendoli a fare meno rumori e confusione.

Per i bimbi la signora che stava a letto era la loro nonna e si sa che con i nonni si può fare tutto.

Nella cittadina non c’era nessuna condanna e rimprovero per gli avvenimenti della famiglia Leonatti; in quella casa mancavano dei bimbi e i bimbi erano arrivati.

Il terzo maschietto nacque puntuale trascorsi altri due anni; ma la signora non fece in tempo a vederlo, era spirata qualche giorno prima, tra il dolore dei bimbi.

Dopo tre anni da quel lutto e la nascita di un altro figlio, il Direttore, raggiunto anche il limite di età, era andato in pensione,  e considerato che un così lungo periodo di vedovanza fosse sufficiente, chiese a Rosetta di colmare l’unico vuoto rimasto, le incombenze burocratiche del matrimonio e del riconoscimento dei figli.

Rosetta, quando riuscivo a captare qualche discorso fra le tre donne in salotto, parlava di aver curato e accudito la prima moglie e, successivamente anche il marito di entrambe, con molta dedizione e affetto, fino alla fine dei loro giorni.

Prima della morte del Direttore, Rosetta di figli ne aveva avuti otto.

Non era questo che la signora voleva?

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