Premio Racconti nella Rete 2022 “Il compleanno di Alice” di Antonella Landi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022Non aveva una lira. Era il compleanno di Alice e lui non aveva una lira.
Masticò due imprecazioni colorite e una mezza bestemmia, mentre guidava un Vitara non suo, sudicio e pieno di attrezzi strani, un goniometro azimutale, un teodolite, un piombino ottico, uno squadro agrimensorio, qualche bussola topografica. Suo padre era geometra, l’auto era sua, ma quella notte serviva a lui, per questo senza star lì a pensarci tanto gliel’aveva sottratta dal parcheggio in via Pacinotti, c’era saltato sopra ed era partito – il pedale pigiato fino in fondo, gli occhi fissi sul buio della strada – verso Lastra a Signa.
Addosso aveva il giubbotto da lavoro. Lo chiamava così anche se un lavoro non ce l’aveva, cioè, per avere lo aveva avuto, ma lo aveva perso, come gli altri prima di quello. Dal ristorante lo avevano mandato via dopo aver fatto due conti sulla sparizione dal frigo delle birre fresche e aver capito che a scolarle era stato lui, tra una lavastoviglie e l’altra; dalla ditta di catering lo avevano cacciato perché – sosteneva il capo dei camerieri – aveva un’aria vaga da cialtrone, non si presentava bene al cospetto degli ospiti, i capelli lunghi legati in una coda maldestra, la barba trascurata, la casacca con le frittelle di sugo a solo mezz’ora dall’inizio del turno; dalla ditta di traslochi invece se n’era andato lui, che mica voleva spezzarsi la schiena a vent’anni.
Quella sera era teso, teso e frustrato, ce l’aveva a morte con se stesso per la sua incapacità di essere affidabile e duraturo in qualsiasi impiego, per non essere riuscito a risparmiare un po’ di soldi con cui fare il regalo ad Alice, che compiva gli anni e sognava un regalo ben preciso, quello e nient’altro. Di niente le importava, se non di quel desiderio che accarezzava fin da quando era bambina, mentre i genitori ostinati ogni primo febbraio ripetevano: no. Va bene tutto, ma quello no.
Si lasciò alle spalle le luci di Firenze e s’infilò nella campagna scura. Aveva rallentato, adesso, guidava con più calma. Aveva bisogno di ripassare il suo progetto e anche di tenere sotto controllo la strada, che aveva percorso una volta sola, la settimana prima, per esplorare il luogo, sondare il terreno a mettere a punto il piano al momento piuttosto improvvisato che gli girava in testa.
Lasciò la statale e inforcò un viottolo sterrato che prima scendeva degradando e poi riemergeva da una buca grazie a un’erta su cui le ruote del Vitara inizialmente slittarono.
Non era la prima volta che soffiava di nascosto la macchina a suo padre: da quando si vedeva con Alice lo faceva spesso per andare a prenderla sotto casa e dividere con lei ogni serata in un posto diverso. Se optavano per un giro in città, fissavano direttamente in centro e si spostavano a piedi, ma quando lui si metteva in testa di portarla nei romantici dintorni ci volevano le ruote, ci voleva un motore, ci voleva soprattutto un abitacolo, benché polveroso e pieno di terriccio e d’erba come quello, dove chiudersi e baciarsi. Com’era stata bella la sera trascorsa appena fuori Fiesole. Si erano appostati nei pressi della Pensione Bencistà, su un punto strategico della collina da cui si contemplava tutta la piana su cui giace Firenze. Da quando l’aveva conosciuta, sentiva di non aver bisogno d’altro per essere felice, gli bastavano la città in cui viveva e che amava da sempre con invariata intensità, e quella ragazza di cinque anni più grande di lui, che era entrata nella sua vita qualche mese prima e gli aveva fatto perdere la testa. Avrebbe fatto tutto, per Alice.
Per lei, del resto, solo per lei si trovava a percorrere una strada di campagna in piena notte il trentuno di gennaio millenovecentonovantadue. Riconobbe in lontananza la serie di baracche in legno coi tetti a onduline già viste la settimana precedente, quando era andato in perlustrazione; rallentò ancora, spense i fari, parcheggiò distante. Scese dal Vitara, accostò la portiera senza sbatterla. Cercava di evitare ogni rumore. Ai piedi calzava i soliti scarponi lisi di quando accompagnava il padre nella rilevazione di qualche terreno: avevano la para consumata ma ci si correva bene e forse, quella notte, ci sarebbe stato da correre.
Per evitare il sentiero battuto, procedeva aprendosi varchi tra i cespugli. Pensava fosse meglio circumnavigare l’area e giungere alle baracche prendendole da tergo. Ma mentre lo pensava, con lo scarpone pestò un ramo secco a terra: un cane abbaiò, altri cinque, dieci, quindici gli si accodarono all’istante e questa no, non ci voleva. Avevano un abbaio vicino all’ululato, cupo e roco, eppure allegro, non minaccioso, semmai allarmista, ma senza ombra d’ira. Lui restò immobile sotto il mantello buio che lo riparava e i cani, di lì a poco, presero a tacere a turno, finché intorno non fu di nuovo quiete. Fu allora che riprese a muoversi, con calma, lentamente. Il suo tentativo di non farsi percepire dai cani, però, era ridicolo, come il loro abbaiare inquieto gli dimostrò di lì a poco. I cani ti respirano nell’aria, captano la tua presenza senza il bisogno di vederti né di udirti, a loro è sufficiente percepire il tuo inconfondibile odore umano, a cui di giorno anelano, ma che la notte li allerta, preoccupandoli. Decise così di proseguire, di andare fino in fondo, anzi, di sfruttare addirittura il caos di quelle voci per procedere senza troppa esitazione, controproducente in quella circostanza, e raggiungere la meta quanto prima.
A dispetto delle tenebre, riconobbe subito il cancellino, lo aveva memorizzato bene quando era venuto a farsi una mappa mentale del luogo, era il secondo da sinistra, era quello che doveva aprire. Dal tascone interno del giubbotto da lavoro estrasse un paio di cesoie da ferro; gli tremavano le mani, ma cercò di dominarsi e di dare un taglio netto al punto giusto. Non vedeva niente, procedeva alla cieca. Una cosa liscia e calda gli attraversò il dorso della mano, come una grossa lumaca umidiccia e veloce che lo fece trasalire ma al contempo lo rassicurò. Troncò la catena, spalancò il cancello, allungò un braccio verso il buio. Le dita della mano si allargarono per afferrare meglio, per avere una presa salda, sicura. Si strinsero intorno a una collottola che assunse la forma di un pugno tiepido, facile da acciuffare e trattenere. La tirò verso di sé, trascinandosi dietro una decina di chili, forse dodici. Allungò anche l’altro braccio, allargò anche l’altra mano, perché soccorressero gli altri due che si erano intrufolati dentro la baracca così, a intuito, senza poter indovinare cosa stava per succedere, senza sapere se sarebbe andato tutto bene.
Andò tutto bene.
Strinse a sé una pelliccia, di cui lui distinse solo la parte bianca perché riluceva all’alone della luna, sbucata all’improvviso. Apparteneva a Gambone, un esemplare di bracco inglese che il cacciatore gli aveva mostrato quel giorno, messo in svendita perché nato con l’imperdonabile difetto di aver il terrore degli spari, di non avere la tempra venatoria, di mostrarsi insomma innocuo, pacifista, mediatore.
“Anziché un milione e duecentomila lire quanto l’ho pagato – aveva detto – lo faccio la metà, perché non voglio che mi resti sul groppone: è un buono a nulla, è solo un costo, non vale niente”. Lui però, che sul groppone di quel tipo ci avrebbe tirato volentieri una legnata, non possedeva neanche seicentomila lire.
Strinse a sé il cucciolo, si allontanò correndo sugli scarponi dalla para consumata, lo sistemò dentro il Vitara, avvolto dentro una coperta vecchia, e scappò via. Dopo tanto tempo e una frustrazione inconsolabile, tornò a sentirsi fiero di sé.
Era diventato un ladro, ma domani Alice avrebbe avuto il regalo che sognava da una vita.
Molto bello. Si legge tutto d’un fiato e il finale non è scontato. Scritto molto bene. Bravissima.
Ben scritto, mi è piaciuto.
Un racconto molto bello, complimenti! La scrittura è molto fluida e accattivante, non mi sono staccata un attimo! Anche la trama è molto semplice, ma non è un difetto, anzi, è esattamente il punto forte di questo racconto. La scrittura fluida e la trama lineare ti portano senza esitazione ad un finale non aspettato (fino all’ultimo, non si riesce ad immaginare cosa stia per succedere).
Molto bello, complimenti!
Condivido con gli altri commenti: aspettavo succedesse qualcosa di terribile e tragico. Invece la delicatezza della chiusura è veramente bella, e fa simpatizzare col maldestro protagonista. Brava!
Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno lasciato un commento. Mi fa un immenso piacere che il racconto sia gradito, GRAZIE!
Tenero, delicato, scorrevole .
Sono subito entrata in empatia con il ventenne squattrinato e apparentemente inaffidabile che finisce per fare la cosa “giusta”.
In sottofondo una campagna Fiorentina accogliente anche di notte. ?Si percepisce fin dall’inizio una marachella in atto portata avanti nel racconto con finezza che fa venir voglia di accompagnare il protagonista in questa sorta di sortita notturna.
Davvero bello. Ho apprezzato particolarmente il modo di presentare il personaggio, che permette un’immedesimazione istantanea. Complimenti anche per l’effetto creato verso il finale, quando si crea una tensione che rimane in bilico per tutto il tempo, con la paura che possa succedere qualcosa di orribile da un momento all’altro… e invece no! Complimenti