Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2022 “Il Fabbricante di stelle” di Francesco Stampatore

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

“Bentornati alla Olympus! Non ci aspettavamo di rivedervi così presto!” disse l’uomo seduto all’ingresso della sala d’aspetto: un omino dal fisico esile, statura piuttosto modesta, occhiali dalle lenti progressive in silicato, una sterpaglia color cenere da lui spacciata per capelli, insomma i tipici cliché del segretario medio. “Oh Ernesto, il fatto che tu abbia sottovalutato il mio operato nel corso degli anni mi addolora” rispose Iris con uno sguardo da cerbiatto, ed Ernesto, tentando maldestramente di nascondere il suo imbarazzo, provò a giustificare la sua affermazione: “No io non volevo dire quello… noi siamo ben coscienti delle sue doti da talent scout, ci tenevo solo a farle sapere che noi della casa discografica non smettiamo mai di restare meravigliati dalla sua bravura”, “Oh ma suvvia, non è tutto merito mio, mi è risultato facile addestrare un ragazzo dal talento cristallino come lui” disse Iris fissando me con tutt’altra espressione, facendomi arrossire. “Avverti il direttore della nostra presenza” ordinò Iris con insolita serietà, “Nessun problema, il ‘messaggio’ verrà recapitato” rispose Ernesto sghignazzando. Per qualche minuto, nell’attesa di una chiamata dai piani alti, l’unico suono a regnare era l’ennesima canzoncina di sottofondo di un qualche emergente troppo street per essere pop, troppo pop per essere street; il mio sguardo viaggiava all’interno della sala, a tratti estasiato da un arancione acceso che adornava le pareti, risaltando l’enorme scritta “Olympus”. Successivamente cominciai a crucciarmi riguardo la buona riuscita del colloquio, sentivo un peso tale sullo stomaco da distrugger ogni parvenza di fiducia in se stessi; un disagio che chiunque avesse avuto un minimo di spirito d’osservazione avrebbe potuto cogliere nei miei occhi, ed Iris istantaneamente entrò in sintonia con il mio stato d’animo sussurrandomi dal nulla: “Sei splendido oggi”, per un attimo dimenticai l’ansia che mi attanagliava, ed il battito del mio cuore divenne una sinfonia di tamburi quando Iris proseguì dicendo: “I giovani talenti sono il meraviglioso frutto della ‘Natura’ intorno al quale io, con premura, ho costruito una serra per farli sentire a casa, in un ambiente nel quale potessero germogliare in tutto il loro splendore, e tu, mio caro, sei il fiore all’occhiello del mio giardino”.

La voce di Ernesto mi riportò alla realtà: “Scusate, il direttore vi attende nel suo ufficio”, ci fu un iniziale stizza da parte mia, ma fu rapidamente smaltita. Ernesto con fare “virgiliano” aprì la porticina color nocciola posta accanto alla sua scrivania e ci guidò lungo un corridoio angusto, spoglio, simile a quello di un manicomio, accentuando un netto contrasto con la vivacità ed il calore percepito nella sala precedente. “Scusate per i corridoi, ci siamo appena trasferiti e stiamo ancora ristrutturando” spiegò Ernesto, “Oh io invece trovo delizioso tutto ciò! Rispecchia l’anima dell’edificio in maniera così sincera” rispose Iris con apparente innocenza, ed il vispo vecchietto si ammutolì. Lungo una successione geometrica di imponenti portoni di un metallo grigiastro con sfumature marroncine ad accentuarne l’aspetto decadente, fui rincuorato dalla comparsa di volti familiari che, con superflui scambi di convenevoli, restituirono un animo panteista ad un atmosfera permeata dal mero nichilismo. Ascoltavo il trio di bestiacce disquisire “amabilmente” su questioni tecniche: “Amiche mie ve lo ripeto, l’aspetto più importante di un cantante è la ‘bellezza’, se l’estetica non si attiene ai canoni della società, come potreste mai pensare di fare colpo sul grande pubblico?”, disse Alanna, il soprano del trio, “Sciocchezze, l’aspetto fondamentale di un artista è la comunicazione, la capacità di trasmettere all’ascoltatore la vera essenza della propria arte, incantare con la ‘saggezza’ delle proprie parole”, rispose Minervina, il contralto, “Le vostre affermazioni mi deludono profondamente ragazze! È ovvio che l’aspetto fondamentale di un musicista è il saper dare la ‘caccia’ alla fetta di ascoltatori che porta maggiore profitto! Con canzoni che siano studiate ad hoc secondo le tendenze di quel determinato periodo” spiegò Artemisia, il mezzosoprano; proseguendo il cammino rincontrai Marco, occupato a fare un discorso ispirato ed illuminante alla fila delle giovani promesse del rap mondiale: “Allora manica di falliti! Siete pronti a far parte di questo spietato ambiente? Siete pronti a mostrare al mondo cosa sia il vero hip hop?”, “Signorsì signore!” rispose la fila di soldatini, “Il rap è una ‘guerra’ signori miei, un continuo trascendere dal proprio nemico, annientandolo a colpi di flow, barre e punchlines! Siete sicuri di potercela fare?”, “Signorsì signore!”, “Bene! Quindi adesso preparatevi che tra un po’ cominceremo a registrare!”, “Signorsì signore!” e si dissiparono tra le statiche ombre dei portoni. Come ultima componente rividi Febo perso in uno dei suoi innumerevoli soliloqui: “Oh come vorrei sentirmi meno solo, come vorrei che la mia ‘poesia’ fosse compresa a pieno da qualcuno, ma vago da anni nel deserto dell’umana ottusità…” il resto dei suoi deliri divenne solo rumore bianco per me ed andai avanti senza degnare di uno sguardo quel cumulo di sterile retorica.

Giunsi al cospetto di una porta color guscio d’uovo, alla cui estremità superiore risplendeva un rettangolino ricoperto da vetro parzialmente zigrinato, con appeso un cartello con scritto “Dodekatheon”. Appena Ernesto, con qualche esitazione, aprì la porta fui proiettato in uno scenario meravigliosamente distopico: lo sfarzo, un agglomerato di virtuosismi traducibili in dischi d’argento, d’oro, di platino e di diamante, poster di cantanti e gruppi, foto e ritratti omaggianti grandi eventi musicali, disposti in un ampio cerchio di cartelli stradali, i quali, con tono ieratico, puntavano e risaltavano l’ego smisurato della sagoma possente di un omaccione abbandonato pigramente tra i bracci di una rossiccia poltrona girevole ricamata, probabilmente, insieme alla sua stessa pelle; accantonando nella penombra una donna alta, dalla massa corporea sconosciuta data dagli abiti eccessivamente larghi e decorati da un impressionante numero di motivi floreali, ed il cui cuoio capelluto era sovrastato da un impalcatura tale da far invidia alla Reggia di Versailles. “Prego si accomodi” esclamò il direttore con voce roca, profonda, forgiata negli abissi della mascolinità: “Piacere Fausto, il tuo futuro datore di lavoro, il ‘fabbro’ creatore e demiurgo delle più grandi stelle della musica moderna, qui sul tavolo ci sono il tuo contratto ed una piccola tabella allegata, apponi la tua firma su queste caselle, alzate i tacchi e levatevi dal mio ufficio”, “Io ehm… ok”, agguantai e studiai i documenti in questione. Il contratto era il solito connubio di clausole fittizie e cavilli burocratici, la tabella, invece, fu la visione a dir poco funesta che mi destò dal torpore fanciullesco: “Ehm mi scusi direttore, con tutto il rispetto, qui dice che il mio primo album uscirà il 3 Maggio alle 00:47”, “La programmazione è tutto, specialmente ad inizio carriera”, “Direttore… Qui dice che avrò relazioni sentimentali con 2 cantanti, una pallavolista, una modella, una influencer, uno scrittore ed un ambasciatore francese”, “Le ultime due sono relazioni per rendere il tuo personaggio più controverso ed affascinante per il pubblico”, “Direttore… Qui dice che il mio ultimo album uscirà tra 5 anni, il 27 Dicembre alle 01:15”, “Mh, previsione fin troppo ottimistica non credi? Ma vedrò di fare il possibile”, “Direttore…” mormorai con voce rotta, quasi piangendo, “Qui dice che morirò per overdose da eroina… a 31 anni… il 5 Gennaio alle 16:08…”, “Orsù andiamo, sono solo delle previsioni sulla tua vita formulate sulla base di analisi statistiche provenienti dai risultati di percorsi di altri 5.274 artisti vissuti prima di te, non è nulla di definitivo” disse il direttore mostrando un sorriso a dir poco agghiacciante, “Io… io… io non…”, “Per caso le sovviene qualche dubbio?” “Dubbio? Ma vi siete per caso ammattiti tutti? Io questa roba non la firmo!” esclamai sbottando, ed in tutta risposta ottenni dal direttore l’occhiataccia di uno sguardo glaciale, estraneo alle fragilità umane: “Prego?”, “Perché mai dovrei farlo? Perché mai dovrei vendere l’anima a delle persone spregevoli come voi?”, “Perché noi possiamo salvarti la vita”, sostenne con tono seccato la donna in penombra, con lo sguardo fino a quel momento chino su un oceano di cristalli digitali, e che invece ora si innalzava con durezza, mi trapassava, facendomi sentire un’inesistente proiezione sulla cornea, un ammasso di carne insipida modellata su uno stampo: “Saremo anche parassiti nella società” proseguì la donna “Paradossalmente, però, sei tu a nutrirti di noi. Tutto ciò che vedi qui è un profondo pozzo di Nulla allestito a puntino e ne sei consapevole, ma voi giovani, nella vostra presunzione, ci sprofondate inesorabilmente. Tu, ragazzo mio, incarni l’archetipo della mediocrità e come tale non avrai nulla se non amori effimeri, ipocriti, e qualche premio a riempirti la pancia”, “N-no non è vero, io ho la fiducia di Iris che…”, “Direttore io mi congederei se non le dispiace”, “Ma certo Iris, non serve neanche che tu me lo chieda”, “Oh ma che gentile! Direttore lei è il mio preferito!”, mi accinsi ad un innaturale torsione per intravedere, con la coda dell’occhio, Iris che, con una pigra curvatura delle labbra, mi mostrò un sorriso arido, appassito. Il secco tonfo della porta accompagnò la ripresa del discorso da parte della donna: “Ascolta ragazzo comprendo la tua riluttanza, anch’io non valgo niente come te, l’unico motivo per il quale questo accidioso organismo non mi abbia ancora rigettato è il mio ‘matrimonio’ con il proprietario dell’etichetta discografica, che non è mica il fannullone che sta alla mia destra” indicando con tono di scherno il direttore, “Ehi ma come ti permetti sgual…”, “Comunque” interruppe la donna, “Firma dai, permetti alla tua anima di gioire dei fugaci attimi della vita”, ed Io, ormai psicologicamente annichilito, firmai ed uscii chiudendo lentamente la porta.

Ora sono qui, a cercar sconsolato una via di fuga. Ma ho osservato la tabella tenendo ben a mente tutti gli avvenimenti e le date. Credono di essere furbi ma io lo sono più di loro. Cambierò il mio destino. Devo farlo. Arrivo nell’atrio, saluto con naturalezza il portiere, varco l’uscita con un sorriso smagliante e con la convinzione di poter…

Sono in mezzo alla strada, la mente è offuscata da vuoti di memoria riguardo a ciò che ho vissuto lì dentro, l’unica cosa che ricordo è di aver firmato un contratto il che è un bene, mi rende felice. Osservo le case, le strade, le luci, i volti consumati dallo stress degli automobilisti rimasti in coda per interminabili ore, tutto mi sembra così diverso oggi, così vivace. Chissà quante avventure mi aspettano d’ora in poi, impossibile fare previsioni. Spero di avere una vita sana, duratura, amori sinceri e profondi, ed una carriera che permetta a me, al mio aspetto belloccio, al mio comportamento da bravo ragazzo, alla mia inseparabile amica chitarra, di diventare immortali.

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