Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2022 “Zio Paperone” di Emanuele Di Muro

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

Loris Scardicchia ha terminato il suo intervento che, di fatto, sancisce la fine della riunione. Siamo in una sala orribile nel seminterrato, ribattezzata Il Braccio della morte, messaci malvolentieri a disposizione dal Direttore. I direttori non vedono mai di buon occhio le assemblee sindacali: secondo loro portano solo rogne. Ma sono fisime. I direttori vedono nemici dappertutto. In realtà non c’è nulla di più noioso e inconcludente di una riunione di un sindacato di insegnanti di musica.

Abbiamo formato una fila sbilenca per complimentarci con Scardicchia. Lo conosco da parecchi anni, da quando si chiamava semplicemente Lorenzo (Loris è il nome d’arte da quando è diventato leader del Sindacato NoteLavoro) e studiava pianoforte in conservatorio, nella classe di Fausto Monaco. Ma di tanto in tanto integrava privatamente, in gran segreto, con un altro Maestro, un Famoso Concertista, che, per la sua avidità, è tuttora soprannominato zio Paperone. 

Scardicchia non tardò a scoprire che “il gran segreto” era condiviso da altri suoi compagni di classe e che la casa pariolina di zio Paperone era di fatto una specie di dépendance del conservatorio.

Scardicchia si mise sotto per conseguire il primo obiettivo: quello di prendere il diploma. Cosa che, anche se non brillantemente, fu realizzata.

Brillantemente. È l’avverbio più utilizzato nel lessico dei pianisti: “si è diplomato brillantemente al Conservatorio di…”. Nei curricula, nelle locandine, nei programmi, è tutto un brillantare. Nemmeno Alpha Centauri. 

Scardicchia, come detto, non si diplomò brillantemente. Prese un voto basso. 

Alla fine dell’esame era molto avvilito.

Hai suonato onestamente, provò a consolarlo Monaco. 

Ecco, pensò Scardicchia, sul mio curriculum potrei scrivere onestamente: “si è diplomato onestamenteal Conservatorio di…” No. Stona. Che c’entra l’onestà con la musica?

Dopo il diploma, Scardicchia decise di tentare la strada del concertismo. Abbandonò il buon Monaco e si affidò completamente alle cure di zio Paperone, aumentando il numero delle lezioni private. 

Non tutti quelli che studiano musica sono destinati alla carriera professionale. Scardicchia non era fra questi e quella vecchia volpe di zio Paperone l’aveva capito dopo i primi secondi della prima lezione. Ma un Maestro non guasta mai le illusioni di un allievo. «Chi è che diceva che il mondo è tutta un’ illusione?» Si chiedeva Zio Paperone frugando tra le sue lontane cognizioni di scuola media. «Insomma, questo qui, Scardicchia, sogna. E lasciamolo sognare! Chi sono io per demolire i sogni?»

Scardicchia si trovò dunque a frequentare assiduamente il quartiere Parioli, anche tre volte a settimana. Eppure, pur intascando i calorosi incoraggiamenti di zio Paperone (che il cambio intascava 200.000 lire esentasse di onorario), aveva la sensazione di non compiere grandi passi avanti.

Al termine della lezione, la giovane moglie di zio Paperone (ex allieva del Maestro) lo riaccompagnava alla porta.

La casa pariolina era molto grande; un lungo corridoio – tappezzato di attestati, locandine e foto del Maestro in piena azione concertistica – collegava la stanza degli Steinway all’ingresso. La giovane-moglie-ex-allieva e Scardicchia lo percorrevano in silenzio, lei con un incedere maestoso e delicato insieme, lui rasoterra come un basset-hound.

Scardicchia, in quel luogo di trionfi che aveva ribattezzato il Tunnel dei trofei, si sentiva più o meno come nella scena finale di Profondo Rosso.

Una foto, grande come un poster, collocata pochi passi prima di sfociare nell’ingresso, lo colpiva più delle altre: raffigurava il Maestro durante un’esecuzione del Quinto di Beethoven. Vi campeggiava una vistosa dedica, scritta da qualcuno col pennarello: “Al Maestro-Imperatore”. Il fotografo aveva colto il momento esatto in cui la mano destra del pianista era staccata dalla tastiera e si elevava in alto mentre la sinistra era quasi appoggiata sull’avambraccio destro. A Scardicchia sembrava sempre che, in quel fermo immagine, il Maestro-Imperatore gli facesse il gesto dell’ombrello, come a dirgli: “tu non arriverai mai dove sono arrivato io”.

Giunti all’ingresso, la giovane moglie apriva la porta e, sorridendo, mormorava ciao, alla prossima. Lui, gli occhi a terra, si limitava a un goffo cenno con la mano e un attimo dopo veniva ingoiato dal semibuio scalone liberty del palazzo.

Un giorno successe una cosa diversa. Scardicchia uscì dalla lezione particolarmente abbattuto e lei, inaspettatamente, gli sussurrò:

«La Polacca-Fantasia è molto migliorata.»

Scardicchia alzò lo sguardo e fu quasi abbacinato dagli occhi di lei, azzurri come il cielo dagli aerei. Scoprì che era bellissima. Una bellissima ragazza già vecchia.

«Davvero?» Chiese lui.

«Carla?» Si udì la voce di zio Paperone dall’altro capo della casa.

«Certo,» concluse lei aprendo in fretta la porta, «io sento tutto.»

Scardicchia, galvanizzato, raddoppiò gli sforzi e le lezioni e cominciò ad intravedere un certo progresso.

Le frasette sussurrate nell’ingresso con Carla, pian pianino, si trasformarono in piccole conversazioni. Lei, che stava sempre chiusa in casa come la moglie di Barbablù, sembrava contentissima di quei brevi scambi. Un giorno gli sussurrò: ormai non accompagno al pianoforte, accompagno alla porta. Lui scoppiò a ridere e lei pure rise, di una risata opaca, ma, forse, troppo sonora.

Nella lezione successiva Scardicchia si cimentò con la Waldstein. Si sentiva bene, sentiva le sue mani volare. Zio Paperone taceva e lo guardava torvo. Quando il Rolex Daytona, appoggiato su un piccolo tavolino accanto alla tastiera, segnò le 18, zio Paperone diede due colpetti di tosse e accennò ad alzarsi. Scardicchia capì che questa pantomima significava la fine della lezione. Interruppe il passaggio, si alzò a sua volta, depose nel vassoio d’argento il consueto onorario e meccanicamente gettò un’occhiata verso la porta a vetri, aspettando che apparisse lei

Zio Paperone intascò le banconote, rimise il Rolex al polso, fece un brusco cenno con la mano e marciò con decisione verso il Tunnel dei trofei, seguito subito da Scardicchia.

Alla porta, il Maestro-Imperatore sibilò con disprezzo: 

«Altro che concertista, tu finirai con l’insegnare Educazione Musicale alle Scuole Medie!» E chiuse violentemente la porta.

Scardicchia rimase parecchi secondi immobile nel semibuio. 

L’anatema di Zio Paperone era il più terribile che un essere umano-musicale potesse ricevere. Equivale a minacciare un poliziotto della Omicidi di recapitare le contravvenzioni.

Scese penosamente lo scalone liberty.

Un’idea gli si era infilata dentro come un’erba grama. 

Qualche giorno dopo si recò al Ministero e si fece dare i moduli di domanda.

Durante le lezioni successive, Zio Paperone continuò a tacere. Bofonchiava un grazie solo quando Scardicchia deponeva le banconote nel vassoio.

Carla non era più comparsa. Forse era stata chiusa a chiave in una stanza segreta. Adesso era sempre Nadine, la domestica filippina, che lo accompagnava alla porta.

Qualche settimana dopo, Scardicchia ricevette una raccomandata dal Ministero in cui gli veniva comunicata la sua posizione nelle Graduatorie di insegnamento. Era in zona retrocessione, ma sospettò che alcuni titoli fossero stati conteggiati in modo non corretto. Un amico gli suggerì di recarsi a un sindacato per effettuare un controllo e, eventualmente, compilare un ricorso.

 Scardicchia prese il suo faldone e si recò senza entusiasmo al sindacato NoteLavoro, semplicemente perché era il più vicino a casa sua.

Fu ricevuto da una dirigente, una bella donna dinamica e luminosa. Sicuramente hanno sbagliato alcuni conteggi, gli disse; noi possiamo compilarti il ricorso, ma devi iscriverti. Scardicchia esitava. Se te lo seguiamo noi, questo lo vinci, aggiunse lei sorridendogli e carezzando il faldone. 

Scardicchia ebbe un brivido che nemmeno mentre suonava le Consolazioni. Pensaci, concluse la dirigente porgendogli un biglietto da visita, e la prossima volta chiama pure il mio diretto.

L’indomani Scardicchia si recò da Zio Paperone e gli comunicò che avrebbe lasciato le lezioni. Questi ebbe un vero e proprio attacco di rabbia. Maestro, mi ha detto che finirò alle Scuole Medie, tanto vale che smetta. Che c’entra, gridò il Maestro, bisogna studiare ancora, studiare di più, la musica non ti regala nulla! Questo non è sempre vero, Maestro, mormorò Scardicchia in pp, fissando il vassoio d’argento.

 Stavolta nemmeno Nadine lo accompagnò. Percorse da solo, quasi correndo, il Tunnel dei trofei, mostrando il dito medio medio al poster del Maestro-Imperatore.

Alla fermata dell’autobus, si mise a fissare le finestre della casa, sperando di scorgere Carla. Avrebbe voluto salutarla un’ultima volta, ma probabilmente si era spenta per inedia e il Maestro l’aveva seppellita nel giardino condominiale. O forse l’aveva mangiata.

Passò del tempo. Una mattina Scardicchia era in camera sua, intento a sistemare una quantità di scartafacci. La madre entrò silenziosamente, lo guardò per un pezzetto e gli disse:

«Senti, Lorenzo, ci pensavo ieri…»

«Mi hai spaventato!»

«Scusa.»

«Che vuoi?»

«È parecchio che non suoni il pianoforte.»

«È vero.»

«E perché?»

«Non ne ho più voglia.»

«Oh Dio!»

«Stai per sederti sulle bozze della Proposta.»

«Scusa! Qui posso?»

«Ma cosa vuoi?»

«Come cosa voglio! Mi hai detto che non vuoi suonare più! Non posso crederlo, dopo tutti…»

«I sacrifici. Sì lo so, hai ragione. Vi ridarò tutto. Va bene?»

«Che c’entra, Lore’, non si tratta di questo. Certo, soldi se ne sono spesi, e quanti!… È che mi dispiace.»

«Per favore, ora non metterti a piagnucolare.»

«Ma quel Maestro dei Parioli dove andavi a lezione? Dicevi che era il migliore.» 

«Come Togliatti, sì.»

«Si faceva pagare, eh, il migliore!»

«La qualità costa.»

«All’anima, Lore’, centomila lire a lezione! Nemmeno il dentista.»

«Centomila lire l’ora. È diverso. E poi erano duecentomila.»

«Cosa?»

«Le altre centomila le mettevo io. Non ve l’ho mai detto perché mi avreste preso per scemo. E magari un po’ era vero.»

«Dio mio! Duecent…»

«Sì, ma’, duecentomila. Duecentomila.»

«Ma come! Tuo padre non arriva a novecentomila lire al mese…»

«Mammina, ti prego. Ho da fare.»

«Peccato, però. Eri così bravo!»

«Ero abbastanza bravo.»

«Beh, nella vita si può anche essere abbastanza bravi, no?»

«Io credo di no. Diciamo che bisogna essere bravissimi. Bravissimi e basta.»

«E se uno non è bravissimo e basta che fa?»

«Il sindacalista, mamma.» 

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4 commenti »

  1. Come direbbe un mio collega teatrante, proponi una brillante comicità!
    Carla sembra la personificazione dei capelli di Sansone, tolti quelli..tra le parti che trovo più originali ed azzeccate riporto “l’incedere rasoterra”.

  2. Grazie del commento, Nicola!

  3. Mi piacciono l’architettura del racconto e l’ironia amara ma non cinica.

  4. Grazie, Simona, dell’apprezzamento. Sull’ironia, è la misura che volevo trasmettere. Grazie!

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