Premio Racconti nella Rete 2022 “Il cinico” di Fabio Coluccini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022Alain teneva in mano, capovolta, la bottiglia di Glen Grant acquistata, come di consueto, nel minimarket dietro al grande Hotel che prendeva il nome della strada statale. Il liquido giallastro colmava inesorabile altri due bicchieri, ed il buio tutt’intorno era violato da una musica lieve ed allegra che proveniva dalla piazzetta di fronte allo chalet, dove alcuni animatori scorgevano sorrisi sinceri nei visi dei bambini in vacanza con le loro famiglie. Yves accese inebriato un’altra sigaretta in attesa di bagnarsi di nuovo le labbra con il suo scotch whisky preferito, poi annuì con spontanea convinzione quando Alain gli propose di invitare per un drink, la giovane di cui era segretamente innamorato, rassicurandolo sulla presenza di un’amica: – …tranquillo, c’è una sua amica, una nuova, mai vista da queste parti! – gli disse. Accettò senza starci troppo a pensare ed accolsero, con sorpresa, la risposta affermativa ed immediata delle ragazze, al loro invito.
I due amici bevvero ancora, ad oltranza, fumarono erba ed aspettarono quieti.
L’incontro con le due giovani fu impacciato e freddo ma la situazione sarebbe cambiata di lì a poco. Violane, l’amica mai vista da quelle parti, aveva lunghi capelli biondi che le coprivano un bel faccino sottile e pallido, nel quale spiccavano due limpidissimi occhi azzurri. L’abbigliamento casual della ragazza non riusciva a nascondere del tutto un misurato senso di superiorità e l’aria tremendamente snob. Il lieve fastidio che lo sguardo basso e distaccato di lei causava in Yves, non frenò minimamente i suoi intenti. Mentre Alain cercava di intrattenere la sua amata, riservandole dolci sguardi e sonore risate, Yves sferrò un attacco frontale, senza preamboli né giri di parole:
– Violane!… proprio un bel nome! Ben adatto ad una ragazza misteriosa come te. – disse, sicuro di sé.
– Grazie! – rispose lei, infastidita.
– Mi concedi una passeggiata? Voglio raccontarti una storia e conoscerti un po’, mi incuriosisci tantissimo… ti va? – continuò Yves, imperterrito.
– Mmh, non lo so… due passi qua intorno, giusto cinque minuti, poi torniamo qui dalla mia amica… va bene, dai! – cedette lei, imbarazzata.
– Perfetto! – fece Yves, alzandosi goffamente dalla sedia di plastica.
I cinque minuti passarono in fretta ed i due neo-conoscenti si ritrovarono ben presto a camminare, l’uno accanto all’altra, diretti verso la spiaggia. Yves le raccontò fandonie colossali e, non riuscendo a metterla bene a fuoco, ammoniva se stesso, così saturo di torpore ed egotismo.
Neanche un’ora dopo, le Perseidi di Agosto disegnavano linee rette nel cielo limpido di quella notte di San Lorenzo ma Yves Prevet guardava altrove, avido, con accanto la giovane Violane, oramai violata, vigorosa, ammiccante, distesa seminuda sulla sabbia inumidita, lontana da occhi indiscreti. Promise alla ragazza che si sarebbero certamente rivisti il giorno dopo ma ciò non avvenne mai, lui sparì immediatamente dalla circolazione e quell’estate finì schiacciata dalla sentenza impietosa delle serate alcoliche, condite da un’irragionevole gioia e da un cauto senso di clamore.
Sei mesi dopo, Yves Prevet, il cinico, come lo avevano ribattezzato gli amici del collettivo, per il modo con cui utilizzava il suo fascino innato e l’espressione altera per adescare donne avvenenti di ogni età o estrazione sociale, avanzava lento e claudicante, in piena notte, lungo la strada deserta che conduceva al vecchio cantiere navale, quando udì dietro di se uno strepitare di pneumatici sull’asfalto bagnato dalla pioggia recente. Marie, la giovanissima ragazza dai capelli neri che camminava accanto a lui e che lo sorreggeva amorevolmente per un braccio, intenta a contenere l’ebbrezza alcolica che lo affliggeva, fece un balzo istintivo di lato, stordita dallo spavento. Yves si voltò lentamente e fu assalito da una luce accecante che si avvicinava sempre di più fino ad inghiottirlo. Il frastuono che ne seguì avrebbe interrotto il sonno di una marmotta dell’Alaska, un’auto lo colpì con la fiancata all’altezza del gomito e come una foglia al vento lo fece roteare su se stesso prima di stramazzare a terra battendo il capo sul ciglio dell’asfalto. La macchina sterzò bruscamente verso sinistra, aumentò ancora la velocità fino a perdere aderenza, iniziò a sbandare e terminò la sua corsa sull’acciaio del guardrail della corsia opposta. Yves, disteso a terra sopra ad una pozza di sangue che si espandeva sempre più, con l’occhio sinistro che per metà riusciva a tenere aperto, scrutò l’automobile che lo aveva investito, il motore era ancora acceso e nessuno si muoveva all’interno. Si sentì lucido e sobrio nonostante la ferita alla testa e le ossa fracassate. Tentò inutilmente di fare leva sulle braccia per provare a sollevarsi ma erano due blocchi di cemento. All’improvviso vide una persona sbucare di corsa ed avvicinarsi all’automobile, era una donna alta con i capelli neri, la vide aprire lo sportello del passeggero e salire. Riconobbe in lei, Marie, la ragazza con la quale aveva trascorso quell’ultima, splendida settimana e quando realizzò che non era corsa subito da lui per sincerarsi di come stesse, ebbe un tuffo al cuore. Attraverso il lunotto posteriore la intravide avvicinarsi con le labbra al viso del conducente e baciarlo con smodata passione, quindi fu accecato dalla rabbia ed emise un gemito sordo ed inquietante. L’auto si mosse, fece una manovra e si rimise sulla carreggiata. Yves provò di nuovo a rialzarsi spinto dalla collera ma le forze lo avevano abbandonato, alzò leggermente il collo per cercare di scorgere colui che sedeva alla guida dell’auto e riuscì a mettere a fuoco il profilo di un viso sottile, sormontato da una chioma di capelli. Se solo ne avesse avuto la possibilità lo avrebbe strangolato e poi avrebbe rivolto le sue attenzioni a colei che lo aveva preso in giro così spudoratamente. Lo sportello si aprì ed il conducente scese, percorse quei pochi passi che lo separava da Yves e si fermò a mezzo metro da lui, in silenzio. Yves, inerme ed inferocito, provò a gridare ma non emise alcun suono, fissava con gli occhi iniettati di sangue quella figura in controluce che osava sfidarlo ed umiliarlo, vide che aveva un ventre prominente, da bevitore, ma il resto della corporatura era esile ed aggraziata, quasi femminile. La figura fece ancora un passo verso di lui accarezzandosi dolcemente la pancia con fare materno e finalmente Yves riuscì a metterla bene a fuoco, in mezzo a dei lunghi capelli biondi svolazzanti e mossi dal freddo scorse due occhi azzurri, freddi, limpidi e beffardi che celavano distacco e superiorità. Superiorità e snobismo.
La figura parlò: – É un maschietto! -.
Yves trasalì, riconobbe la donna che aveva di fronte, ricordò tutto e finalmente capì.
– Maledette!…Maledette! Voi….maledette!…è mio figlio!… – disse con un filo di voce.
Serrò gli occhi, sentì lo sportello richiudersi e l’auto ripartire, la rabbia aveva lasciato spazio ai dolori e all’angoscia più profonda. Era stremato. Quando li riaprì, l’automobile che lo aveva malridotto era ferma qualche metro più in là con il motore acceso ed i fari puntati dritti verso di lui. Sul suo viso scesero spontaneamente delle lacrime ma, prima che esse poterono toccare il suolo, Violane completò la sua opera d’arte. Il rumore assordante degli pneumatici sull’asfalto concesse all’ultimo respiro vitale di Yves Prevet, il tempo necessario per esaurire la sua debole spinta e nel frammento conclusivo della vita, un desiderio infimo e pungente gli attraversò rapido la mente: un ultimo bicchiere di Glen Grant, colmo fino all’orlo.
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