Premio Racconti nella Rete 2022″Storia di un …Nobile” di Stefano Facciolo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022Si dice che alle favole ci credano solo i bambini. Io voglio raccontarvi la mia, e al termine, se ci crederete, vorrà dire che siete bambini anche voi.
Penso sia il caso di presentarmi. Sono nato nel 1943, a Lobau in Sassonia, Germania. Subito dopo la fine della guerra, mi trasferii a Roma in Corso Umberto al numero 133. Restai lì per sei mesi circa. Ma dato che nasco nobile e con grandi ambizioni, lasciai quella pur bella residenza per trasferirmi, sempre a Roma, in un atelier di alta moda e pellicceria. Le mie giornate le trascorrevo al centro di un salone grande, luminoso, dove potevo fare bella mostra di me e della mia voce. Ah, dimenticavo di dirvi: sono un pianoforte a coda.
“Buongiorno signora. Cosa le posso far ascoltare in attesa che la servano?”
Era la frase che il mio pianista rivolgeva alle clienti. A dire il vero, la diceva solo alle belle donne chi gli giravano intorno o che si poggiavano languidamente su di me ad ascoltare ciò che quelle dita erano capaci di suonare. Altre volte accadeva che, se qualche piacente signorina un po più intraprendente, dopo aver visto il mio sgabello a doppio sedile e il pianista piacente e compiacente, azzardava: “Posso sedermi accanto a lei e suonare qualcosa insieme?”, immediatamente lui le faceva posto ed iniziava a farle una corte spietata. Ed io, discreto, riservato, compiacente, facevo uscire dalle mie corde le note più giuste perché quella corte spietata raggiungesse l’obiettivo. Se usciva qualche stonatura, non la suonavo. Sono sempre stato un buon ruffiano.
Solo una volta mi comportai in maniera sgarbata. Una signora tanto ricca di soldi quanto di ignoranza, mentre era in attesa che le portassero ciò che aveva acquistato, chiese al mio pianista:
“Posso far suonare mio figlio? Magari gli piace e si appassiona.” Non potendo dire di no, il mio pianista fece posto al ragazzino. Tremai. E dal primo tocco, fu come ricevere martellate sulle parti intime. All’ennesima che ricevetti, mi vendicai: feci cadere lo sportello che copre la tastiera sulle mani di quel teppista.
Nel passare degli anni, uno dei figli del proprietario dell’atelier era divenuto il mio pianista. Aveva molta capacità e tanta passione. Talmente tanta, che mi portò con se in uno scantinato, dove insieme ad un contrabbasso, un sassofono, una batteria, una tromba e un paio di chitarre, tutte le sere suonavamo Jazz. Certo, all’inizio il mio lignaggio di aristocratico tedesco, ha fatto un po le bizze. La mia voce calda, profonda e sensuale, poco si adattava a quel ritmo sincopato. Ma Filippo, così si chiamava il mio pianista, fu molto bravo e dolce con me, ed in breve tempo entrai in perfetta armonia con gli altri colleghi strumenti. A dire il vero, anch’io ci misi del mio. Quando al termine della serata si spegnevano le luci e nel locale non c’era più nessuno, tra noi strumenti ci si scambiava opinioni, si provava un accordo che magari non era venuto bene. La sintonia migliore l’avevo con il sassofono, il contrabbasso e una delle due chitarre. Con la tromba ci scontravamo tutti. “Vuoi sempre fare la protagonista con quel tuo essere squillante! Stai sempre un tono sopra a tutti noi” le dicevamo. Ma a lei non interessava amalgamarsi. Rispondeva altezzosa: “Sono nata per essere squillante. La mia voce deve dare la carica, spronare.” Una sera andò via con il suo suonatore. Non la vedemmo più.
Dopo molte serate, e natali e capodanni passati insieme, una mattina mentre eravamo ancora tutti addormentati, si presentarono quattro energumeni. Mi smontarono le gambe, mi legarono stretto così da non poter gridare e dopo avermi messo in verticale, mi portarono fuori dallo scantinato e mi caricarono su un furgone. Non feci in tempo a salutare nessuno dei miei colleghi strumenti. Feci appena in tempo a vedere un mio simile, molto più giovane di me, molto più magro di me, tutto nero e con un filo che pendeva da una parte, che prendeva il mio posto. Fui portato in un magazzino e lasciato lì, insieme ad altri dozzinali, anonimi mobili.
Qual è secondo voi la preoccupazione che può avere un anziano? Io credo che sia la solitudine. La solitudine e l’essere dimenticato. Credo che non ci possa essere una condizione peggiore: tutto ciò che sei stato, tutto ciò che hai fatto nella tua vita, ad un certo punto sparisce nell’oblio del tempo. E tu non sei più nessuno!
E dopo che i quattro energumeni, lasciatomi lì da solo se ne andarono, credetemi, ho avuto la conferma di ciò che ho appena detto.
Quando ero giovane, sentii dire che esiste un Dio che, se invocato, lotta contro le ingiustizie. Ad onor del vero, io non l’ho mai invocato, ma qualcuno deve averlo fatto per me.
Un mattino di primavera (chissà perché queste cose avvengono sempre al mattino?) i quattro energumeni della volta scorsa, vennero a prendermi. Mi caricarono sul loro solito furgone e mi portarono in una villa di campagna. Dopo avermi slegato e rimontato le gambe, fui posizionato al centro di un salone. Ero circondato per due lati da una libreria, godevo di una bella vista sulla campagna, e di fianco avevo un camino. Dopo tanta triste solitudine vissuta in quel magazzino, e forse grazie a quel Dio di cui sopra, qualcuno aveva scelto di mettermi nel posto giusto e degno per un anziano aristocratico tedesco come me!
Il mattino successivo venne a prendersi cura di me un signore tanto piccolo e piegato su se stesso, quanto competente. Mi spolverò in ogni dove; tonificò con olio di lino il mio corpo e le mie articolazioni. Delicatamente sottopose le mie corde vocali ad una seduta di stretching. Al termine di questo trattamento ero perfettamente ristabilito e finalmente potei tornare a far sentire la mia voce in tutta la sua pienezza.
Non so se da quattro anni sto vivendo un sogno, ma se così è, non mi svegliate. Sono al centro di questo salone e delle attenzioni del mio nuovo compagno pianista.
Cosa mi piace di più di lui? Essere carezzato dalle sue dita lunghe, affusolate, morbide ma nello stesso tempo autoritarie; è per me un rapporto sensuale. Tanto è maggiore il calore, la delicatezza che c’è nel contatto tra me e quei polpastrelli, tanto più è capace di entrare in me e trasferirmi tutto il sentimento che mette nell’eseguire un brano, tanto più io riesco ad unirmi a lui. Ed è a questo punto che la mia voce e le sue dita diventano due perfetti amanti che unendosi sprigionano una delle più belle meraviglie della natura: la musica!
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La “voce” del pianoforte mi piace. E’ coerente con la sua origine aristocratica, ma anche abbastanza umile da ammettere che occorre confidare nella buona sorte, oltre che nel lignaggio…
Qualche ripetizione, ma nel complesso un ottimo lavoro. Complimenti!
Mi è piaciuto cogliere tra le righe il carattere del suonatore della tromba, specchiato allo strumento stesso. Un bel racconto!